Messa in ricordo degli anziani morti di Covid

Bologna, cattedrale

Quella di oggi è per me una delle celebrazioni più importanti degli ultimi mesi, piena di tanta umanità, insieme a tutti i nostri fratelli e sorelle che vivono nelle Residenze e strutture per gli anziani dell’ASP e che sperimentano in queste settimane tanto doppio isolamento. Ricordiamo quanti sono morti a causa della pandemia e preghiamo per coloro che ne sono nuovamente minacciati.

Sentiamo ancora di più la fatica e vorremmo che l’amore del Signore ci aiuti ad essere perseveranti per non arrenderci mai di fronte al male, subdolo, capace di approfittarsi delle nostre debolezze. E’ una celebrazione che illumina dolcemente di speranza il buio del cuore, oscurità che, come il virus, toglie il gusto della vita, che ci fa soffrire perché di tante persone amate ci sono rimasti solo gli infiniti ricordi che riempiono il nostro cuore come i capelli del capo, quelli che Gesù conta.

Ma loro non ci sono più e questa assenza fa male a chi ama. La Santa Liturgia nel giorno del Signore ci fa contemplare oggi la luce di quella prima domenica che illuminò il buio del sepolcro e dona speranza a chi vive la notte dell’orto degli ulivi. Oggi sono asciugate le lacrime amare e disperate e sentiamo la presenza di Gesù che libera da quella tortura che è la solitudine. Noi ci siamo sentiti soli, loro sono stati soli. Non possiamo mai accettare che una persona sia condannata a questa tortura, alla quale non vogliamo mai abituarci. Aiutare la solitudine degli altri libera dalla mia.

E sconfiggere la solitudine si può: non servono macchine sofisticate, serve solo l’amore. Fin dall’inizio Dio non vuole che l’uomo stia solo e continua a mandarci gli uni dagli altri. Dio stesso non vuole stare solo e ci ha creati a sua immagine, ci ha donato la libertà per potere essere amato e ha mandato Gesù perché capissimo che siamo anche noi figli, non degli oggetti o frutto del caso. E per questo vuole che nessuno sia mai lasciato nella solitudine.

“Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza”. Quando non c’è speranza tutto viene avvolto dalla rassegnazione e questa spegne la bellezza della vita e rende tutto amaramente vano. La nostra fede è sempre poca – ma ricordiamo che ne basta quanto un granellino di senapa – e con questa anche noi crediamo che “Gesù è morto e risorto” e che “Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti” e che andremo incontro al Signore in alto perché “così per sempre saremo con il Signore”.

Stare insieme per sempre. Questo è il nostro futuro e questo Gesù vuole fin da oggi per tutti. Ecco perché il nostro ricordo diventa scelta di stare insieme e non è rivolto al passato, ma al futuro. I nostri cari non sono solo dietro a noi o dentro il nostro cuore ma avanti a noi. Essi sono stelle che penetrano l’oscurità del cielo, che vediamo quando c’è il buio e essi ci aiutano ad orientarci nel cammino a volte così faticoso della vita, nelle notti oscure del rimpianto, quando la nostalgia ci confonde e ci fa sentire smarriti perché misuriamo l’insignificanza del nostro essere davanti all’enormità del creato.

“O Dio dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua”. Sì, tutta la nostra vita è attesa. Proprio come viene descritto dal Vangelo di oggi. A volte l’attesa, come in queste settimane, si fa difficile, perché non vediamo facilmente la soluzione e si fa spazio in noi la disillusione.

Così nonostante il nostro desiderio ci abbandoniamo al sonno che conquista i nostri cuori e ci fa sentire smarriti. La lampada è nelle nostre mani, ma ha sempre bisogno dell’olio dell’amore. Sempre. Quando non lo abbiamo possiamo anche averle ma non danno luce, non fanno riconoscere la gioia, la bellezza della vita perché questa cerca lo sposo, anela al senso, desidera l’amore che la realizza e la rende piena. Perché tutti noi questo cerchiamo e Dio è amore, è lo sposo che attendiamo e per il quale pensare la nostra vita, non come obbligo, ma come nostra gioia. Anche perché viene per noi.

I nostri cari aspettavano la luce di qualche persona amata. E’ questa l’amarezza più grande, quasi più grande della morte stessa. Non abbiamo potuto stare vicino, non ci avevano vicino. La fine, certo, viene per tutti, lo sappiamo ma a maggiore ragione vogliamo accompagnare le persone che amiamo nel loro tratto ultimo, quello più faticoso, che vogliamo unire alla via che non vediamo.

Il buio della solitudine è ingiusto e causa tanta sofferenza. Che disperazione per chi non aveva più nulla di personale nelle proprie giornate! Ecco, Gesù è andato loro incontro, stava con loro in quella notte e in tutte le notti di sofferenza, non li ha abbandonati perché loro avevano la lampada accesa perché pieni di tanto amore che cercava amore.

La vera stoltezza della vita è pensare di poterne fare a meno, di credere che ci si salva da soli, di stare bene pensando a sé, di vivere per se stessi, di allungare gli anni ma non avere amore. Il consumismo porta a disprezzare l’olio dell’amoreed è questo davvero stolto. La saggezza è portarlo in piccoli vasi, come i piccoli gesti nei quali si mostra l’amore. La vita ha valore sempre, è sacra perché dono di Dio, dal suo inizio alla sua fine, anche quando sembra insignificante, ne banalizziamo la fine o smettiamo di curarla.

Facciamo tesoro della sofferenza loro e nostra per scegliere con determinazione non di aggiustare qualcosa, ma di cambiare il sistema. Questo è il vero coraggio che ci è chiesto e anche la richiesta di non c’è più. Nell’Enciclica “Fratelli Tutti” Papa Francesco scrive: “Abbiamo visto quello che è successo agli anziani in alcuni luoghi del mondo a causa del coronavirus. Non dovevano morire così. Ma in realtà qualcosa di simile era già accaduto a motivo delle ondate di calore e in altre circostanze: crudelmente scartati. Non ci rendiamo conto che isolare le persone anziane e abbandonarle a carico di altri senza un adeguato e premuroso accompagnamento della famiglia, mutila e impoverisce la famiglia stessa”. (FT35)

E poi aggiunge: “Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”. Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare.

Che non ci dimentichiamo degli anziani morti per mancanza di respiratori, in parte come effetto di sistemi sanitari smantellati anno dopo anno. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato”.

Ecco perché dobbiamo con intelligenza e umile determinazione sconfiggere l’unico nemico che è il virus e che è il virus della solitudine e fare di tutto perché gli anziani restino a casa, dove sono un nome, una storia e loro si sentono un nome e una storia. Molti degli operatori sono stati gli occhi, le mani, la presenza di chi non poteva essere presente e hanno raccolto il loro desiderio di avere accanto le persone amate, a volte espresso apertamente, altre silenziosamente con le lacrime e con gli occhi.

Ogni persona quando muore vuole lasciare e portare con sé l’amore, ascoltare e dire “ti voglio bene”, come ha detto la donna francese vittima del terrorismo islamista a Nizza. “Dite ai miei figli che li amo”. Noi abbiamo come l’obbligo di pensare con coraggio, visione, intelligenza, umanità un sistema che aiuti gli anziani a stare a casa e perché le residenze siano l’ultima risposta e non quella inevitabile perché non ce ne sono altre.

E fin da oggi possiamo impegnarci per trovare i modi che, rispettando rigorosamente l’indispensabile sicurezza, permettano tanta comunicazione con i cari e anche che qualche parente possa essere vicino, perché esserci è decisivo per garantire il nutrimento dell’amore che fa vivere e con questo anche quello materiale, perché spesso mangiano solo se c’è quell’altro.

Se non c’è futuro per gli anziani non c’è futuro per tutti. La loro debolezza ci insegna a capire la bellezza e la benedizione della vita anche quando ne rivela ancora di più perché c’è solo quella. Il Signore protegga la loro fragilità e accolga chi ci ha lasciato nella casa del cielo, dove la solitudine è sconfitta e troviamo il compimento nella pienezza dell’amore.

08/11/2020
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