La lettera al presbiterio

Zuppi: “Condivido con voi la sofferenza”

Dopo la scomparsa di altri due sacerdoti diocesani per Covid, l'arcivescovo invita alla speranza

BOLOGNA – Dopo la scomparsa di don Eugenio Marzadori e don Aldemo Mercuri, l’arcivescovo ha rivolto ai sacerdoti e religiosi della Diocesi un invito alla speranza.

“Siamo vagliati come grano, come tutti, e questo ci offre occasione di dare testimonianza, proprio quello per cui abbiamo detto eccomi alla chiamata del Signore”. E’ un passaggio della lettera datata 14 aprile e indirizzata ai sacerdoti e ai religiosi dell’arcidiocesi dal cardinale Matteo Zuppi.

Un testo pubblicato a pochi giorni dalla morte per Covid di don Eugenio Marzadori e don Aldemo Mercuri e nella quale l’arcivescovo afferma “sento il bisogno di condividere la sofferenza di queste ore”.

Ecco il testo integrale della lettera:

“Carissimo,

sento il bisogno di condividere la sofferenza di queste ore nelle quali, dopo padre Gabriele Digani, sono morti a causa del COVID, a brevissima distanza, due nostri confratelli, don Eugenio Marzadori e don Aldemo Mercuri. Ci lascia sgomenti, quasi increduli, come avvenuto nei primi mesi della pandemia e anche in questa sua seconda interminabile ondata, che non riusciamo nemmeno a numerare, perché in realtà senza soluzione di continuità.

Hanno potuto ricevere i sacramenti e ringrazio di cuore quanti di noi, a vario titolo, prestano servizio nelle strutture sanitarie. Mi ha commosso ascoltare il racconto di don Santo e don Paolo che portavano la comunione a don Eugenio. «Finito di pregare, con tutta la poca voce che aveva mi disse: “Anche un Ave Maria per favore!”, con la stessa voce supplichevole con la quale i pazienti di solito mi chiedono di dar loro un po’ d’acqua. Si vedeva che quella preghiera era per lui necessaria ma non aveva le forze per recitarla e chiedeva a me di aiutarlo». «C’è una preghiera della liturgia bizantina che dice: “concedici Signore una fine cristiana, pacifica, senza vergogna”.

L’ho sempre trovato affabilissimo e sorridente, ma soprattutto incentrato sull’essenziale. Domenica lo vado a trovare e gli parlo per l’ultima volta. Quasi dorme. Preghiamo; almeno, lui prova a segnarsi e a scandire le parole. Non articola bene le parole, ma prova a emettere un suono. Alla fine tace, poi prova a dire qualcosa, non capisco, ripete, con le ultime forze scandisce: “Avanti!”. Non vorrei dare alle sue ultime parole un peso che esse non hanno, ma avendo avuto l’onore di servirlo negli ultimi giorni del suo cammino fra noi, direi che hanno perfettamente senso. Un uomo si conosce veramente alla fine, dice il Siracide, beh, direi che ho conosciuto un vero prete. Grazie Signore». Sì, grazie Signore.

In questi mesi tutti, anche noi, abbiamo sperimentato qualcosa che sapevamo bene ma che ci ha raggiunto con vivezza nuova: la fragilità della vita, così esposta alla vigliaccheria del virus, subdolo, che toglie il respiro. Sentiamo il peso di tanta sofferenza, di una pandemia che ha trasformato tutto e ferito nel profondo. E poi da preti sentiamo la scomparsa di tanti fratelli che ci hanno lasciato in questi mesi. Nessuno è insostituibile, certo, ma l’assenza ci addolora e ci interroga. Chi di noi ha accompagnato qualche fratello o ha ascoltato la disperazione di chi non ha potuto stare vicino alla persona amata, conserva nel cuore tanta drammaticità. A volte ci sentiamo storditi, un po’ come i due discepoli di Emmaus che parlano di Gesù e non lo riconoscono, che riferiscono notizie di speranza ma impossibili e che non cambiano certo la consapevolezza della fine che hanno nel loro cuore.

Ecco, proprio in questo vorrei dirti che sento tanta consolazione. Siamo vagliati come grano, come tutti, e questo ci offre occasione di dare testimonianza, proprio quello per cui abbiamo detto eccomi alla chiamata del Signore. Siamo credenti e credo che in questo tempo ci è chiesto con la necessaria semplicità di spezzare il pane dell’amicizia di Dio presente e quello della fraternità con le nostre comunità e tra noi. Siamo pieni di Gesù. Non abbiamo certo tutte le risposte.

Abbiamo Gesù, la risposta che apre il cuore e la mente e fa ardere il cuore nel petto. Essere pieni dell’amore significa entusiasmo interiore. Possibile con tutti questi problemi? La tristezza, l’amarezza, ci rendono fragili e ci spingono a credere necessarie ben altre risposte. L’essenziale di cui abbiamo bisogno è questo entusiasmo interiore, il suo amore che fa ardere il cuore nel petto, forza debolissima che vince il male e per il quale non ci arrendiamo alle difficoltà. Conosco e conosciamo i tanti problemi, le sfide, le molte domande, le fatiche di tante assenze, l’incertezza di non potere prevedere. Sento però che la nostra forza è solo questa gioia sofferta che ci fa condividere quello che abbiamo tra di noi e con tutti e ci spinge a continuare a gettare il seme che è la nostra vita. Siamo preti e il nostro ministero dona tanto e riceve tantissimo in amore. È la forza di Gesù, la nostra vera forza, che viviamo assieme e che a me dona tanta consolazione anche pensando a te e al tuo servizio. Vorrei che lo sapessi.

Continuiamo a camminare assieme, da viandanti come siamo, da mendicanti di luce e di senso, come tutti e da seminatori che sanno che niente andrà perduto. Come non sono perduti i nostri fratelli. In pace”.

Sub tuum prasidium confugimus, sancta Dei Genetrix; nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.

Con tanta amicizia,

+Matteo

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