Messa per il decennale della beatificazione di Padre Giuseppe Girotti

Scriveva Papa Benedetto XVI: “La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata”. Gesù si fa vittima perché non ci siano più Abele e perché anche per Caino ci sia salvezza. I martiri sono testimoni del suo amore, riflesso della sua santità, dono di verità e di bene, sentinelle che con la loro vita aiutano a cercare l’alba, a credere alla luce quando tutto intorno è buio, a sentire l’amore di Dio quando si è abbandonati da tutti.

Oggi ricordiamo un beato, un martire, Padre Girotti a dieci anni dalla sua beatificazione, ringraziando Papa Francesco per la sua scelta. Con lui contempliamo una moltitudine immensa di santi, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, che tengono rami di palma nelle loro mani e gridano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”. Sono quelli che hanno attraversato la grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello (Ap. 7,9). È una moltitudine antica e contemporanea, di ieri e di oggi, di santi innocenti, vittime inconsapevoli di una violenza che divora la vita, di persone che consapevolmente hanno resistito al male, che non si sono compromessi, che hanno confessato l’amore di Cristo cercando la giustizia e non smettendo di amare. “Ci stanno davanti come luci in una notte buia, scuotono la nostra memoria, scuotono il nostro cuore. Non vogliono provocare in noi l’odio: ci dimostrano, anzi, quanto sia terribile l’opera dell’odio.

Vogliono portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male”, disse sempre Papa Benedetto XVI ad Auschwitz. Davanti al male e al pericolo tutti i discepoli di Gesù scapparono, lasciandolo alla folla che lo insultava gridando “salva te stesso”, schernendolo, invitandolo a pensare per sè, insomma a non dire “I care” ma “me ne frego”, come fanno tutti, con opportunismo e a qualsiasi prezzo.

I martiri, però, non sono eroi, come se per resistere al male bisogna essere superuomini o superdiscepoli. Sono rimasti perché hanno amato. Infatti resta chi ama, magari pieno di paure e di incertezze, ma con un amore più grande delle sue paure. Quanto è importante avere la luce personale del proprio amore accesa! Questa luce è la santità, l’amore che non finisce già oggi, su questa terra, luce nella notte oscura dell’impero delle tenebre, notte che cancella la vita, che non sa e non vuole difenderla, che addirittura chiama libertà e diritto la possibilità di spegnerla, invece di aiutarsi, fragili come siamo, in questa in realtà debolissima condizione umana!

Abbiamo tutti un grande debito verso padre Giuseppe, figlio di questa terra, di questa Chiesa e figlio di San Domenico, e non possiamo e non vogliamo dimenticarlo. Lo capiamo ancor meglio oggi, giorno in cui il nostro rendimento di grazie si unisce alla memoria della liberazione del nostro Paese dalla guerra e da tutto ciò che l’ha causata, l’ideologia nazista e fascista. È il giorno della liberazione dalla guerra e dalla cultura della guerra, dall’idea mitica e ipocrita dell’uomo superiore, dalle politiche razziste o antisemite, dal disprezzo della vita di quanti erano considerati inutili perché malati o asociali, dalla discriminazione politica o per le idee, dal soffocamento di ogni libertà attraverso l’imposizione, a cominciare da quella ottenuta dai mezzi di comunicazione. E la pace stessa non è mai una volta per tutte.

Essa richiede sempre l’impegno a difenderla, ripudiando la guerra, facendo crescere il diritto e gli strumenti pacifici in grado di applicarlo. Padre Girotti non aveva smesso di essere cristiano e umano. Lui, uomo di studi, avrebbe potuto restare distante dai problemi. Era amante della Parola di Dio, che ha predicato con la sua vita e lui stesso è diventato Vangelo, perché questo non è mai lettera morta ma viva, comunicazione di amore che genera vita, che fa combattere contro il male anche quando questo diventa un sistema di morte. Come accadde per tanti, anche Padre Giuseppe venne catturato con l’inganno, tradimento insopportabile e da miserabili proprio come fu il bacio di Giuda a Gesù.

Accadde così a Boves per Don Giuseppe Bernardi, Antonio Vassallo e don Mario Ghibaudo, per il nostro don Giovanni Fornasini,  cui fu chiesto di andare a benedire una salma. Gli venne detto che c’era un partigiano ferito cui occorrevano urgenti cure da una persona di fiducia e questa persona poteva essere il prof. Diena, medico chirurgo. Sulla macchina che attendeva di fronte alla chiesa vi era effettivamente una persona sul sedile posteriore con un braccio fasciato. Padre Girotti fece trasportare il finto ferito ma la macchina era seguita a distanza da altre tre o quattro, anch’esse occupate da forze fasciste della Repubblica Sociale. Il medico Diena era un ebreo. Come sappiamo, Padre Giuseppe morì il giorno di Pasqua, l’1 aprile del 1945, poche settimane prima della liberazione del campo di sterminio. “Tutto quello che faccio – aveva detto al suo Priore – è solo per la carità”. Padre Giuseppe era proprio figlio di San Domenico, umile, che indicava il segreto di tanta sapienza solo nella carità del Vangelo. E la carità, da umile amico di Gesù, la esercitò fino alla fine, sempre disponibile ad ascoltare, ad assolvere, a privarsi della sua piccola porzione di cibo per soccorrere i più giovani. Padre Manziana riteneva che quello che ha caratterizzato la personalità di Girotti fosse stato soprattutto il suo impegno nel salvare gli Ebrei e verso i poveri e i bisognosi. A Dachau pronunciò un’omelia sull’unità dei cristiani il 21 gennaio 1945, celebrando con cristiani di varie confessioni. Disse che occorreva rieducare la nostra infelicissima Europa e che “la Chiesa di Cristo era in quel tempo (e lo è ancora oggi), l’unico rifugio dell’ordine naturale nella politica e nella vita sociale, familiare, individuale ed economica, che fu, è e sempre sarà l’unico rifugio del senso di umanità, di amore e di misericordia; rifugio della verità, dei principi della retta ragione, della civiltà e della cultura”. E l’azione della Chiesa suppone l’unione. Ecco, per questo siamo sobri, vegliamo perché il nostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Il cristiano fa tutto per la carità di Cristo che riempie il suo cuore e dona forza, ripone la spada nel fodero, affronta mite e umile di cuore la forza terribile del male, ma non si lascia abbrutire da questo e lo sconfigge, perché il male porta solo la morte e non genera vita, perché solo l’amore porta la libertà e la pienezza della persona. Questo è il valore della nostra Chiesa ma anche di quella casa comune che è l’Unione Europea. Lo dobbiamo a Padre Girotti per la sua eredità e di tutti coloro che hanno perso la vita nella tragedia della guerra.

 Lo dobbiamo al Vangelo che Gesù ci ha affidato e che ci rende fratelli tutti. Scriveva Bonhoeffer, morto solo pochi giorni dopo padre Giuseppe, anche lui recluso in campo di concentramento a poca distanza d Dachau: “Noi poveri, noi ricchi, eguali nella sventura, noi buoni e noi malvagi, noi uomini dalle molte cicatrici, noi testimoni di coloro che sono morti, noi ostinati, noi scoraggiati, noi duramente tormentati da lunga solitudine, fratello, noi te cerchiamo, te noi chiamiamo. Fratello, tu m’ascolti? Fratelli, vedemmo in grave pericolo e tememmo soltanto la nostra morte. Signore, dopo questi tempi di lotta, donaci i tempi della custodia. Fa’ che dopo tanto errare possiamo vedere l’inizio del nuovo giorno! Ti sento camminare con passi coraggiosi e fieri. Tu non vedi più l’istante, vedi tempi futuri. Fratello, quando il sole mi sarà scomparso, vivi tu per me! Lungo disteso sul mio pancale fisso la parete grigia. C’è fuori una mattina estiva che gridando di gioia alla campagna non è ancora mia. Fratelli, finché dopo la lunga notte non spunti il nostro giorno, noi resistiamo!”.

Forti nella carità raccogliamo la sua e la loro testimonianza perché il seme dell’amore dia frutto di pace e giustizia per tutti e perché non abbiamo paura di cadere a terra donando tutto di noi, amando fino alla fine, perché solo così il seme della nostra vita darà frutti, quelli che restano, come la santità e la beatitudine del mite Padre Giuseppe.

Alba, Cattedrale di San Lorenzo
25/04/2024
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