Veglia per la Giornata di preghiera per le Vocazioni

Ognuno di noi scopre e riscopre la sua chiamata, il senso della sua vita, solo scoprendo l’altro. La vocazione è assolutamente personale, anzi l’espressione di sé che dà senso e sapore a tutto quello che facciamo. Eppure la capiamo e la maturiamo solo in relazione al prossimo. E chi, meglio dell’Altro che è Dio, intimo a noi stessi più di noi e, allo stesso tempo, nel prossimo, può aiutarci a trovarla? Dio non è mai riducibile al nostro io, non è compiacente, non segue noi ma ci aiuta a seguire Lui, non promette felicità e benessere individuali isolandoci dagli altri ma, al contrario, ci aiuta a capire che la nostra ferita si rimarginerà se curiamo quella degli altri. Lui mette su casa con noi e ci insegna ad essere familiari, ci addomestica, nel senso che ci aiuta a pensarci in relazione. Non ci ammaestra, non ci rende automi! Ci rende suoi con il suo amore e ci fa sentire amati. È esattamente il contrario di credere di essere se stessi affermando il “prima io”, imposto dalla mentalità comune. Il “prima io” produce tanta solitudine e fragilità, perché siamo spinti a cercare ossessivamente conferme e prestazioni, a vivere banalmente per noi stessi. E quando viviamo per noi stessi costruiamo degli inferni e vi finiamo dentro. Dio non ci possiede, ci ama e ci lascia per questo liberi. Conosce le nostre fragilità e non ci distrugge mai perché Lui è la verità della nostra vita e questa è luce che “illumina dolcemente” tutta la nostra esistenza, anche le parti più nascoste dove solo Lui con il suo amore può arrivare (e faremmo bene a lasciare a Lui il giudizio, a ricordarci che non capiamo tutto di noi stessi immediatamente, e che spesso non finiamo mai di intenderlo). Dio ci aiuta a comprendere la nostra vita perché ama, perché ci lega eppure ci lascia liberi, proprio perché l’amore è possibile solo se scelto liberamente. Ci fa trovare una casa, prende casa con noi e ci rende capaci di essere familiari. E davvero non è mai buono che l’uomo sia solo! Non è buono per l’uomo e quindi per Dio! Anche Gesù non può stare solo e chiama una famiglia, la sua casa, dove amarsi perché il mondo diventi casa.

Con Dio scopriamo e riscopriamo la nostra vocazione. Non smettiamo mai di farlo, a tutte le età! Non assecondiamo la tentazione di moltiplicare le esperienze per non affrontare quella vera di andare dentro di noi, di scoprirsi e scoprire l’amore! La nostra generazione in particolare crede di poter ricominciare quando decidiamo noi, gioca cercando di essere quello che non è. La chiamata è essere quello che siamo. Non smettiamo mai di capirla perché ciò avviene solo vivendo, a volte facendo quello che non avremmo voluto e pensato eppure era più nostro delle sensazioni o dell’istinto.
San Francesco scoprì cosa gli era veramente dolce fermandosi a toccare il lebbroso come faceva Gesù, e per amore di Gesù si trasformò quello che gli sembrava amaro e impossibile. La nostra vocazione è ad amare e la perdiamo, o non la capiamo più, proprio quando ne facciamo – a volte penosamente – ruolo, esibizione, considerazione, insomma quando la pieghiamo a noi stessi e non per gli altri. Siamo una generazione che cerca con tanto affanno se stessa, con molti mezzi e tanto tempo di introspezione come nessun’altra ha mai avuto e che pochi in realtà hanno. Ma per trovare noi stessi dobbiamo capire con chi vivere e costruire la relazione con Gesù, sentendolo finalmente familiare.

Creiamo, quindi, una casa. Coinvolge tutto noi stessi e genera qualcosa di nuovo, come sempre, l’amore. Non è mai una ripetizione e crea vita, liberando dalla paura di amare. Senza una casa si vive soli o sempre come in un albergo, senza responsabilità, senza relazioni vere e profonde, ma anche terribilmente più soli. Spesso siamo incerti e abbiamo paura del definitivo, delle delusioni, date o ricevute, come se voler bene fosse limitativo di altre esperienze possibili. Quello che è definitivo è il suo amore, da rinnovare e scoprire con la fedeltà nostra al suo e al nostro amore. Il contrario è pensare di potersi lasciare aperte tutte le possibilità, che ci rendono prigionieri di tante sensazioni e che ci fanno, in realtà, restare uguali. Nella confusione degli infiniti incroci e possibilità, la vocazione è trovare la via per uscire dal labirinto e trovare l’amore, cioè essere se stessi uscendo da sé. Ed è il suo amore che rende perfetto il nostro. Chi ama rischia? Certo! Ma se vogliamo è il rischio più sicuro, perché sappiamo che l’amore non finisce, che troveremo la risposta, il senso. Ecco la roccia, che è la sua parola che sarà sempre di amore, e riuscirà a darci forza più dei venti e delle piogge, terribili, che l’ottimismo irresponsabile dell’individualismo non sa affrontare. Il problema non è trovare tutte le sicurezze, per certi versi le risposte: il problema è l’amore perché questo è la risposta! E fidarsi di Dio ci aiuta a fidarci di noi stessi, del prossimo e a credere nell’amore anche quando non lo abbiamo, lo sentiamo poco, ci sembra vano. Il Signore chiama perché ama. Ci cerca per amore, non per interesse. Non è Lui che fa un piacere a noi, ma il contrario. Siamo diversi e siamo arrivati – come deve essere – da luoghi, che vuol dire anche itinerari, diversi. La Chiesa è già quella casa con molte dimore, l’Arca di Noè che protegge dal diluvio dove si conservano tutte le creature, tutte salvate ma anche tutte diverse e amate. Non sono io la casa ma la costruisco, non sulla mia misura ma su quello che serve e che mi fa scoprire perché sono utile, il mio valore, quello che non posso darmi da solo o che non impongo con l’orgoglio. E la Chiesa è sempre una casa per tutti.

Costruiamo una casa di amore, di fraternità, dove tanti possono trovare quello che cercano e di cui hanno bisogno. Costruiamo la Chiesa, cioè la sua famiglia. Quanto c’è bisogno di uomini che vivono per gli altri e non per se stessi, che si mettono al servizio e riconoscono questo. Maturiamo il gusto per l’altro anche tra noi, smettendola con i giudizi malevoli e cercando di riconoscere sempre il dono che è o che può essere, dando valore, sempre nella grande chiarezza, che solo l’amicizia e la fraternità possono permettere. Dio conosce e riconosce quello che siamo anche sempre oltre il nostro peccato e la nostra miseria personale, è fedele alla nostra vocazione e ci aiuta a ritrovarla anche quando sembra compromessa. Non restiamo senza l’amore di Dio nei campi o con i buoi perché la vocazione direi che è piuttosto scoprire la perla preziosa o il tesoro nascosto nel campo della mia vita e trovare il cento volte tanto. Costruiamo questa casa comune di amore fraterno e con tutti. Siamo singoli ma fatti per il plurale. Ed è questa casa di tante dimore la nostra, ma insieme. Ecco, seguirlo. È la prima ed è l’ultima parola che ci rivolgerà: seguimi. Ci aiuta oggi a diventare uomini e donne di speranza e di pace e a vivere queste non in una dimensione del futuro, ma del presente.

“Nonostante fallimenti e battute d’arresto, il bene che seminiamo cresce in modo silenzioso e niente può separarci dalla meta ultima: l’incontro con Cristo e la gioia di vivere nella fraternità tra di noi per l’eternità. Questa chiamata finale dobbiamo anticiparla ogni giorno: la relazione d’amore con Dio e con i fratelli e le sorelle inizia fin d’ora a realizzare il sogno di Dio, il sogno dell’unità, della pace e della fraternità”.

Bologna, cattedrale
17/04/2024
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