È una gioia particolare riflettere con voi da questo luogo così importante per la vostra città e per tutta la regione, che ha in San Francesco un riferimento speciale. I santi aiutano a vedere e ad avere forza. Quando partiamo da qui siamo diversi: le lacrime sono asciugate, gli orgogli che ci accecano sconfitti o perdonati, le diffidenze che tanto ci allontanano si sciolgono in amore per il prossimo, le paure in fiducia. Ecco, la comunione dei santi permette questi miracoli ed è questa comunicazione che unisce a Dio e tra di noi, circolazione di doni che protegge e sostiene, anche al di là delle nostre scelte e comprensioni. Dio ci vuole santi perché lui è santo. Ci prende con sé, ci chiama ad essere suoi. E noi non siamo suoi per eredità o per merito, ma solo per amore suo e nostro, fosse solo una “lacrimuccia” alla fine della vita o un piccolo bicchiere d’acqua offerto, una visita o un vestito donato, ma donato solo per amore. La santità è amore pienamente umano e pienamente spirituale e divino, amore che cambia il mondo. È proprio vero che l’amore muove tutto e che, se manca, tutto si distrugge o finisce. I santi ci aiutano a vedere l’amore che realizza la vita, che ci fa trovare quello che cerchiamo nel profondo, di cui abbiamo bisogno noi e il prossimo. La santità è personale e sempre collettiva, unisce agli altri, non ha senso per sé! Quella è la gloria degli uomini, penosamente convinti che esibendosi, curando l’apparenza, imponendosi, sono se stessi. La santità è mia e di tutti, regalata come deve essere per le cose dell’amore, felicità vera perché unisce al prossimo. La santità è Dio che trova e attiva finalmente quella capacità di amare che abbiamo nel cuore, la sua immagine, e che noi stessi troviamo e ritroviamo facendoci amare da Lui e imparando da Lui. Non siamo santi perché perfetti, ma diventiamo “perfetti” perché amiamo, perché sentiamo la gioia di essere amati da Lui, pieni di amore che ci spinge ad amare il prossimo. È amore che copre tanti peccati e ci libera dalla nostra fragilità, perché solo questa è forza vera. Dio è Amore, amore vero, non un surrogato, benessere per sentirci tranquilli.
L’amore, per certi versi, riempie la nostra vita di complicazioni, fa soffrire per l’amato, affronta le inevitabili avversità della vita, ma noi stiamo bene quando amiamo non quando non abbiamo problemi! Dio ci insegna un amore vero, non rubato, comprato, imposto, finto tanto che fa diventare oggetti le persone. Ma l’amore non è un desiderio impossibile! L’amore che Gesù ha rivelato, che ci ha annunciato, e soprattutto che ha vissuto. Gesù non ha fatto una predica: ha vissuto, ci ha mostrato come si ama, come ama il Padre, a metterlo in pratica perché l’amore si capisce quando si vive e non in astratto o una seduta. Gesù ci ha insegnato a chiamare Dio Padre e a capire la volontà di Dio come quella di un Padre per noi, non di un estraneo che ci piega ai suoi voleri! Se non è un Padre, la volontà di Dio resta altrimenti oscura e a volte incomprensibile. È un Padre, di cui sentiamo il suo l’amore e che sappiamo che, come un Padre, ci aspetterà sempre. Dio ama perché è amore e non può non amare – come l’amore vero – fino alla fine. “Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita”, dirà al figlio maggiore che aveva perduto la fraternità con il più piccolo. Il padre non perde la sua paternità: è sempre il suo figlio e ci fa ritrovare a noi la fraternità, così facilmente infranta. È il suo amore che non finisce e che ci aiuta a superare il limite della vita, quello che sperimentiamo tutti i giorni e quello che sperimentiamo – tutti – all’ultimo giorno. Come cantavano i bambini a Bologna: «Non so dire ancora che farò. Se sarò una stella gigante o un puntino nel cielo. Ma so di sicuro che senza Amore non vivrò. Perché l’Amore è il più grande motore. Per imparare a vivere insieme. Per cancellare il male col bene e dagli atlanti ogni confine. Perché l’Amore è il solo motore di quell’aereo che è chiuso nel cuore e che ha bisogno di un grande aviatore per atterrare senza dolore. Ma se guardo intorno vedo che non è più rotondo questo nostro mondo, ma perché? L’han diviso come una torta e non gliene importa… Non sanno ancora che senza Amore Non vivrà. Perché l’Amore è il più grande motore che tiene il tempo del nostro cuore e fa girare e sembrare infinita come una giostra la nostra vita. Perché l’Amore è il solo motore per superare le nostre paure e per far aprire le serrature a tutti quelli che han chiuso il cuore. Perché l’Amore è il più grande motore per imparare a vivere insieme, per cancellare il male col bene e dagli atlanti ogni confine».
Solo l’amore non finisce e non ci fa finire. E siccome il nostro è sempre così debole, incerto, sempre da confermare, Dio ci dona il suo che completa il nostro, lo realizza, ce lo fa scoprire. Gesù non ci chiede di diventare perfetti con chissà quali sacrifici – che non abbiamo nessuna intenzione tra l’altro di fare. Lui non ci chiede di essere quello che non siamo, ma quello per cui siamo stati fatti: per amare! Questo ci chiede, perché serve il nostro amore e perché sa che solo amando stiamo bene. Infatti siamo brutti, spenti, noiosi, inutili, quando non amiamo! Al contrario, siamo davvero noi stessi, belli, luminosi, attraenti, tanto che nessun fitness potrebbe renderci così, quando trasmettiamo l’amore con la comunicazione più profonda, comprensibile, personale sempre sorprendente, tenerissima che c’è, l’amore. Ed è una trasmissione che non finisce, perché è quella di Dio, l’origine e la fine della nostra vita. I santi ci aiutano a vedere questo, a capirlo: rendono umano l’amore di Dio, proprio come le stelle del cielo che ci orientano nella notte e ci danno speranza nella disperazione del buio. Santi e Sante e non perfetti. Questo è importante, perché spesso pensiamo di non poter essere santi, perché non siamo perfetti. Anche il più presuntuoso tra noi – e lo siamo tutti e purtroppo esserlo ci allontana dagli altri, non ci fa chiedere aiuto, ci rovina, perché non siamo isole e siamo tutti mendicanti di amore e tutti bisognosi di aiuto – sa che non è perfetto. Facciamo fatica a riconoscere il nostro peccato, ad esempio! Anzi, invece di pensare che ci rovina, che portarcelo addosso ci fa male, ci pensiamo rovinati se chiediamo perdono. Siamo rovinati quando non lo facciamo, perché ne restiamo prigionieri! Ma Dio ci perdona, non ci giudica! Ci ama quando siamo noi stessi e ci può amare proprio fragili come siamo. Ci salva, non ci condanna. E il perdono nessuno se lo può dare da solo. I santi vedevano il proprio peccato e lo combattevano non per fare penitenza o essere perfetti, ma perché amavano, amavano Dio e quindi il prossimo e quindi per questo vedevano tutto quello che faceva male all’amato e a se stessi. Chi ama poco non sa perdonare e si perdona poco perché pensa di essere a posto, non ha il problema di cambiare, di crescere, di amare di più, di togliere quello che impedisce di amare. Ma, ripeto, è sempre e solo un problema di amore. Chi non ama resta solo. Chi ama trova tanti fratelli e sorelle, trova perdono e trova Dio, amore. Non amiamo perché siamo perfetti, ma siamo perfetti se amiamo, così come possiamo, più che possiamo! Non ci ama chi dice «fa’ come ti pare», ma chi ci aiuta ad amare, a essere diversi, a uscire da noi, perché l’amore è sempre una porta che si apre verso l’esterno.
San Francesco di Paola ci fa sentire amati e per questo sicuri, come avviene con le persone che ci amano. Lo cerchiamo, come un amico, una persona su cui contare perché ci aiuta, ci protegge, ci corregge, ma sempre con amore e per amore. Lui era proprio considerato luce fra le tenebre che avvolgevano il suo tempo. San Francesco si pensava minimo, ma non per buttarsi via ma per amare tanto e tutti. Stava solo non per non avere problemi, ma per essere vicino a Dio e al prossimo. Chi butta via la nostra vita è la presunzione, l’orgoglio, non l’umiltà! Anzi! Questa non è mai mediocre e ci rende semplici, liberandoci dalle complicazioni dell’orgoglio, e veri invece di ipocriti, come chi cura solo l’apparenza, disponibili e instancabili perché l’umile aiuta, serve e quando si ama non si sente la stanchezza. Perché per amore, come diceva S. Agostino, ci stanchiamo volentieri. L’umile compie le cose grandi di Dio, impossibili ai grandi e presuntuosi. I minimi fanno cose grandi. Umiltà, humus. I grandi buttano via il tanto che hanno perché se lo tengono per sé e fanno tutto per sé. Nella nostra società viene messa enfasi sull’essere diversi, unici, speciali. Spesso diciamo come siamo diversi dagli altri e sprechiamo energie e tempo a fare classifiche e confronti, invece di esercitarci a sentire nostro quello che è altrui e viceversa, come chi ama. L’umiltà ci fa gioire del fatto che apparteniamo tutti al genere umano, ci fa trovare quello che unisce e non quello che divide. Simone Weil diceva che l’umiltà è amore senza ritorno su di sé. È la radice dell’amore. È l’unica forma lecita di amore per sé.
San Francesco di Paola era umile e così lo capivano tutti perché parlava la lingua dell’amore che tutti intendono e di cui tutti hanno bisogno. Aiutava i poveri e il re di Francia, senza distinzioni. E poi era andato da Paola al mondo, sempre a casa con tutti perché amico di Dio e tutti si sentivano a casa con lui. Non aveva frontiere e distanze. L’amore arriva ovunque e ci fa sentire a casa con tutti e tutti si sentono a casa con chi ama. Per questo si interessò di tante questioni concrete, perché l’amore – sempre e solo quello vero, gratuito, cioè veramente senza interesse personale, quello per il prossimo, che tratta tutti come i suoi e non solo quelli della sua famiglia – affronta i problemi, non li evita, non li rimanda ad altri, non fa finta e poi lascia solo il prossimo. San Francesco cercava e trovava la soluzione di questi, con intelligenza, visione. Lui era nel mondo, perché era nel mondo, ma non era mondano e non si faceva condizionare dalle sirene del successo personale, che ci fa perdere l’umiltà ma anche noi stessi, perché la vanagloria è proprio vana, inutile, ed è ingannevole il successo conquistato ingannando. L’ascesi, infatti, altro non era che combattere per avere un cuore capace di amare, di liberarsi dall’egoismo, allargando il cuore alla carità verso i poveri. Era un uomo spirituale, che non vuol dire fuori dal mondo, anzi, significa vedere tutto e tutti con gli occhi di Dio, quelli dell’amore. Pregava e insegnava a pregare. La preghiera è come restare da soli nella grotta del nostro cuore per entrare in colloquio con Dio. Questo lo rese uomo libero per tendere a Dio, per rifiutare il male, combatterlo, per accogliere con compassione e tanta umanità quanti ricorrevano a lui, per guarire e curare. La preghiera diventava carità concreta, specie verso i più poveri, come gli operai o le vittime delle angherie e dei soprusi dei potenti che la giustizia non era in grado di contrastare. E per questo era libero di denunciare apertamente le malefatte dei potenti, minacciando loro castighi divini. Il re di Napoli, Ferrante d’Aragona, indispettito, un giorno mandò i suoi soldati a Paola per arrestare Francesco, ma egli si rese invisibile ai loro sguardi, nonostante stesse pregando davanti al tabernacolo mentre perquisivano la chiesa. Francesco non faceva mancare la sua voce di denuncia e nello stesso tempo di conforto ai tanti senza speranza e senza mezzi. Si narra che il barone di Belmonte, Galeazzo di Tarsia, recatosi a visitare il frate per ottenere la guarigione da una malattia, fu invitato a portare le pietre come tutti gli altri operai. Ancora a Paterno, un grande amico di Francesco si recò dal frate per riceverne l’ultima benedizione. San Francesco trasse di tasca un piccolo pane bianco tra lo stupore di tutti che sapevano che non portava mai cibo con sé, consegnandolo. L’amico conservò il pane per cinque anni. Durante una terribile carestia lo riprese e lo trovò fresco e fragrante e poté sfamare ben sette persone. L’amore rende bella la vita anche a distanza, l’amore non si consuma. La carità non ha limiti e sappiamo che la carità è solo amore.
San Francesco fu un vero artigiano di pace. Chiese di pregare giornalmente per la pace e la concordia “la quale è tanto necessaria per tutti che, se Dio quanto prima non ci riguarda con gli occhi della sua santa misericordia, corriamo fortuna di vedere grandi miserie”. E sappiamo come la guerra è la madre di tutte le miserie, anche di chi pensa di vincere. “La pace è una santa mercantia, quale merita di esser comprata assai ben cara”. Senza la pace davvero tutto è perduto e per tutti. “Lavorate di continuo anco al vostro interiore, acciò che rendendovi grate a Dio, otteniate da lui ciò che domanderete”. Se siamo noi personalmente uomini e donne di pace la sapremo chiedere e trasmettere anche agli altri. Per questo sono proprio felice di essere qui in questo tempo di tanta violenza e guerra. San Francesco di Paola ha sempre difeso la causa dei poveri e degli emarginati e la guerra produce solo povertà, dolore, morte. “A chi ama Dio niente è impossibile”. Si fece anche ambasciatore di pace in un momento storico in cui focolai e battaglie si registravano in diverse parti della terra. “Amate la pace – scriveva ancora – perché è molto meglio di qualsiasi tesoro che i popoli possono avere”. La pace è davvero una santa mercanzia che merita di essere comprata ben cara. Se si perde questa mercanzia tutti perdono tutti, anche chi vince perde. E la pace, invece, è una mercanzia che rende tutti ricchi! E questo lo chiede ad ognuno. Ci chiede di cambiare!
Papa Giovanni Paolo II proprio qui disse queste parole così dirette e esigenti, ancora tanto importanti: “Soprattutto carità, umiltà, bontà: tutto questo è – direi – la consanguineità spirituale di San Francesco. Sappiate incarnare le virtù che hanno reso grande San Francesco in modo che possiate debellare il male sociale che, agli occhi di molti, ha oscurato l’immagine di questa regione. Se saprete essere tra voi aperti e sinceri, se avrete il coraggio di cancellare l’omertà che lega tante persone in una sorta di squallida complicità dettata dalla paura, allora miglioreranno i rapporti tra le famiglie, sarà spezzata la tragica catena di vendette, tornerà a fiorire la convivenza serena, e questa generosa terra riprenderà quel ruolo che le appartiene: essere terra di San Francesco, la terra in cui fioriscono la carità ed il perdono”. È la forza di questa vostra terra, piena di vita, capace di tanta spontanea accoglienza come abbiamo visto, in molte occasioni, con chi lottava per sopravvivere in mezzo al mare!
Chiediamo di essere anche noi operatori, artigiani di pace. Significa dare futuro all’umanità perché non c’è futuro senza pace. La guerra, dichiarata o no, nasce nei cuori e nelle menti e finisce nelle mani. È il seme dell’odio e della divisione, che abbiamo combattuto troppo poco perché è sempre fertile, purtroppo, e che fa nascere la morte, inghiotte la vita. Artigiani di pace tutti, piccoli e grandi, analfabeti e accademici, nessuno è escluso! Non è cosa per specialisti!
Si è guastata la pace perché è diventata un sentimentalismo, una visione romantica come se questa fosse fuori dalla vita o per alcuni addirittura irresponsabilità! Come se responsabile è chi prepara la guerra e non chi difende la pace! La pace non significa essere fuori dal mondo ma sognare e rendere concreto, a partire da noi, un nuovo mondo, anzi l’unico mondo possibile, perché non c’è futuro senza pace! Certo, tutto sembra complesso e quindi impossibile da cambiare. Pace è una parola decisiva. Davvero si perde tutto senza, solo che ce ne accorgiamo dopo e se ne accorge chi ha perduto quel tutto che è la persona che amava.
Cosa ci chiede di combattere? Non la persona ma il vero nemico che come leone ruggente (1 Pt 5,8) cerca chi divorare. Combattiamo il male quando è nelle cose piccole, ad iniziare dal combattere ogni seme di odio, di inimicizia, di corruzione. Noi possiamo dire che siamo per la pace solo se il male non ha potere su di noi. E la pace inizia nella preghiera, perché siamo pieni di Dio in un mondo di manipolazione, competizione, sospetti, rivalità, difese aggressive, rabbia, ostilità, aggressione, così che diventa un mondo in guerra. Pregare è sentire e volere la pace che lui ci dona.
Pregare ci tiene svegli, ci fa soffrire con chi soffre, ma ci fa anche sentire la pace di Gesù e, quindi, dopo ce la fa vivere. Pregare impedisce che i nostri cuori si appesantiscano (Lc 21,34) e ci fa avere compassione della tanta, indicibile, enorme sofferenza di un mondo che è davvero un ospedale campo. La pace nel mondo e la pace nel cuore non possono essere separate. Un no alla violenza del cuore e della mente. Dire no ai giudizi significa operare contro la cultura della morte in tutte le sue manifestazioni, dall’aborto all’eutanasia, dalla pena capitale al lasciar morire in mezzo al mare. Diceva Nouwen che più diciamo no al male più scopriamo l’onnipresenza della morte. Quando si ama poco non ci si accorge del male, insomma. Quando si ama è insopportabile l’inimicizia e amiamo anche il nemico perché l’amore è più forte della morte. Noi non possiamo amare i problemi ma possiamo amare le persone e l’amore delle persone ci rivela il modo di affrontare i problemi! Purifichiamo il nostro linguaggio dalle parole che fanno male o offendono l’altro. Umilmente ma fermamente con San Francesco vogliamo attraversare il mare tempestoso della guerra. Il dialogo non è mai debolezza, Ma perché questo risolva davvero i conflitti c’è bisogno di una comunità internazionale forte, che imponga, se serve, un quadro per arrivare a trovare soluzioni che possono esserci sempre, come vediamo, anche con i propri nemici, anzi proprio con i propri nemici. Ma se la comunità internazionale si impegna piuttosto a preparare la guerra, rende inutile il dissuadere con la minaccia della forza e la stessa legittima difesa! Occorre cercare con tutti i modi le vie per preparare un quadro nuovo, capace di offrire le garanzie per una pace giusta e sicura. È un sogno o l’unica via possibile, indispensabile, davanti a tanta sofferenza che grida solo che ci sia la pace? Non a qualsiasi prezzo, ma ad ogni costo! E niente è perduto con la pace e tutto è perduto con la guerra. Soprattutto la sfida di trovare i mezzi degni dell’umana creanza, come diceva Papa Paolo VI. Altrimenti la guerra distrugge tutto.
“Deponete dunque ogni odio e ogni inimicizia, guardatevi diligentemente dalle parole più aspre e, se ne uscissero dalla vostra bocca, non vi rincresca trarne il rimedio dalla stessa bocca da cui vennero inferte quelle ferite. E così perdonatevi a vicenda e poi non pensate più all’ingiuria arrecatavi. Il ricordo della malvagità è infatti ingiuria, colmo di follia, custodia del peccato, odio della giustizia, freccia rugginosa, veleno dell’anima, dispersione della virtù, tarlo della mente, confusione dell’orazione, lacerazione delle preghiere fatte a Dio, abbandono della carità, chiodo infisso nelle nostre anime, peccato che non viene mai meno e morte quotidiana. Amate la pace, perché è molto meglio di qualsiasi tesoro che i popoli possano avere. Sappiate certo che i nostri peccati muovono Dio all’ira. Per questo correggetevi e pentitevi dei vostri peccati passati, poiché Dio vi aspetta a braccia aperte. Ciò che nascondiamo al mondo, non si può nascondere a Dio: convertitevi sinceramente. Vivete in tal modo da ricevere la benedizione del Signore e la pace del Dio nostro Padre sia sempre con voi”. Dalle “Lettere” di San Francesco da Paola (Lett. del 1486; cfr. ed. A. Galluzzi, Origini dell’Ordine dei Minimi, Roma 1967, pp. 121-122; qui testo leggermente adattato).
