Presentazione al Tempio – Giornata Vita Consacrata

Il profeta Malachia parla di un angelo che è come “il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai”. L’amore di Dio è tutt’altro che uno scolorito e compiacente legame, che deve soltanto rassicurare e dare risposte solo se richiesto, senza porre domande che inquietano. Dio è il primo Altro e chi ama Dio impara a riconoscere e ad amare gli altri, tutti, non le categorie o le convenienze. Siamo entrati pellegrini, come è la nostra precaria condizione umana, nella casa del Signore e ci accoglie la sua Parola, l’angelo che parla a quel santuario che è la coscienza di ognuno di noi, a quel tempio vivo che è la Chiesa, a quella famiglia che sono le nostre comunità. Non si è cristiani senza una madre, ciò significa essere concretamente fratelli e sorelle, che imparano ad amare e quindi ad essere legati, perché il fuoco della Sua Parola, quello che Gesù vorrebbe acceso, è amore che ci insegna a pensarci insieme. Il Signore è luce e accende la nostra luce, la lampada della nostra vita.

La luce si confronta con le tenebre, ci aiuta ad affrontarle per liberarci dal nemico della vita che in tanti modi la spegne, la fa nascondere per le paure e per il banale egoismo. Il nostro è un Dio dei vivi che ama la vita, ma mai da soli, mai senza gli altri o usandoli, possedendoli, perché questo è il contrario dell’amore. Il Suo amore è un segno di contraddizione per chi vuole imporre la religione per non pensare, il culto di sé senza sacrificio, che rassicura senza coinvolgimento e senza uscire da sé. L’amore vero fa trovare se stessi ma uscendo da sé, unendosi ad altri. In questa celebrazione vediamo la bellezza e il valore della vita, vediamo quanto è preziosa sempre, e ci aiutiamo a riscoprire il valore della nostra vita consacrata. È una luce che acquista tonalità diverse, ma è sempre la luce di Dio, come i nostri carismi, nostri perché sono della nostra vita, affidati a noi, legati alle nostre persone. Eppure, perché siano nostri, debbono essere di tutti. Non c’è possesso vero con l’io ma solo con il noi! Il possesso richiede sempre il plurale perché sia singolare!

Oggi rinnoviamo le promesse e ricordiamo il “primo amore”, quello che ha dato avvio alle vostre famiglie – perché sono e siano tali – e alle nostre scelte personali. Lo facciamo non per nostalgia o per abitudine, ma per alimentare oggi quella fiamma, per farci minori e non minoranza spaventata che alla fine diventa arrogante perché chiusa.  Nella società della forza, del successo, la vostra vita è da sempre segnata dalla “minorità”: farsi piccoli per proteggere i piccoli e per compiere le grandi cose di Dio. Siate un segno di contraddizione per un mondo che cerca e impone ben altro, e siate contenti di contraddire un mondo ipocrita, violento e manipolatore, che svuota di senso le parole, che spreca le risorse, che pensa che il rispetto sia lasciare soli, che inganna consapevolmente e non vuole combattere l’ingiustizia di cui discorre e alla quale si abitua. Siete segno di contraddizione per un mondo che non sa amare perché fa l’idolatria dell’io, che si accontenta della superifcie e non cerca l’interiorità. Siamo pellegrini di speranza. Non diventiamo anche noi facili e dissennati profeti di sventura, spesso senza accorgersene, smettendo di sperare, piegando tutto alle regole e accontentandosi di misure avare, mentre l’amore supera ogni misura. I profeti di sventura sono complici del male, a volte dicendo di combatterlo, perché interessati o ossessivi agenti di divisione.

Se guardi solo la pagliuzza finisci per esserne prigioniero e non combatti il male di cui finisci per esserne presuntuoso e sciocco complice. Gesù ci raccomanda la fraternità perché altrimenti il Caino che è in noi ci farà credere di essere esclusi da Dio, proprio perché non ci pensiamo assieme a nostro fratello Abele che non riconosciamo più. Indossiamo le armi della luce (Rm 13,11-14) e prendiamo in braccio la sua tenerissima e umanissima presenza per metterci tutti a parlare a di Gesù. Come Anna. Qualcuno avrà pensato: ma che le è preso? Non lasciamoci intimorire dal mondo. L’incontro con il Signore e la Sua luce rende ogni incontro una comunicazione vera, non virtuale, di apparenza, di convenienza. Come accade? «I cristiani non sono anzitutto quelli che “parlano” di Dio, ma quelli che riverberano la bellezza del Suo amore, un modo nuovo di vivere ogni cosa». Come cercare un mondo nuovo, libero dall’idolatria del possesso e dell’io?

«La missione, intesa nella prospettiva di irradiare l’amore del Cuore di Cristo, richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita» (DN 209). Innamorati, non dei perfetti che conoscono le regole ma non sanno amare, e nemmeno dei sacerdoti dell’individualismo. L’amore inizia col farsi toccare il cuore dalla presenza di Dio nella nostra vita, sentendola, come Simeone e Anna, qualcosa di personale e di pubblico, per me, per i miei occhi, ma anche per tutte le genti, per tutti quelli che lo aspettano, unendo le mie e la altrui attese. Non perdiamo tempo a discutere di questioni secondarie e non permettiamo che queste conquistino il nostro cuore, lo intasino, lo inaridiscano, lo gonfino di vano orgoglio o lo insteriliscano, tanto che non abbiamo la passione di trasmettere la vita! Trasmettiamo quello che viviamo perché «gli altri possano percepire la bontà e la bellezza dell’Amato attraverso i nostri poveri sforzi». Non è ciò che accade a qualsiasi innamorato? Il bene si comunica da sé proprio per questo, al di là delle nostre intenzioni, calcoli, programmi! Solo così gli altri non fanno sforzo per amarlo.

Aiutiamo la Chiesa ad essere madre per tutti e di tutti, ad insegnare a tutti a sentirsi fratelli e ad esserlo, in una dimensione affettiva che non sia seconda a niente ma, anzi, sia la prima, quella più importante perché permette ogni relazione di amore. Una madre che cerca senza sosta gli ultimi degli ultimi, che non si arrende, che ha una passione libera per star loro vicino e non asseconda le giustificazioni ipocrite di chi non ama. Una madre che sa che bisogna lottare contro il tempo, perché il male porta via il debole. Una madre che mantiene le promesse perché madre e non matrigna, credibile perché vive quello che dice, che conosce le contraddizioni dei suoi figli e non li giudica con il finto puritanesimo degli ipocriti ma con la speranza di chi cerca per loro un futuro diverso, quello che sa essere la vera volontà dei figli.

Una madre che non si stanca di dare fiducia, che garantisce per chi non ha protezione e cerca futuro, che si pensa famiglia in un fortissimo individualismo prevalente. Una madre che non ci guadagna mai con i suoi figli più piccoli (quanto è offensivo e volgare pensarlo, per colpire la sua libertà e la difesa dei piccoli!) ma dona tutto quello che ha per loro. In questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte. «Ci muoviamo in una società di consumatori seriali che vivono alla giornata e dominati dai ritmi e dai rumori della tecnologia, senza molta pazienza per i processi che l’interiorità richiede» (DN 9). E questo produce tante sofferenze. Si diventa se stessi solo quando si acquista la capacità di riconoscere l’altro, e si incontra con l’altro chi è in grado di riconoscere e accettare la propria identità.

Il Signore ci renda luminosi, senza timore di donare, di perdere, perché attraverso di noi la bellezza raggiunga tanti che attendono un mondo diverso.

 

Bologna, Cattedrale
02/02/2025
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