Dal 3 al 14 ottobre una mostra alla Corte d'Appello

Beato Livatino: «Sub tutela Dei»

L'inaugurazione lunedì 2 ottobre alla presenza di autorità civili, militari e religiose

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Sub tutela Dei. Sotto la protezione di Dio.

È questo il titolo della mostra sul giudice Rosario Livatino, assassinato dalla mafia nel 1990 e proclamato beato nel 2021, che è possibile visitare fino al 14 ottobre (su prenotazione), presso la Corte d’Appello di Bologna. Un luogo altamente simbolico per la città e l’esercizio della giustizia. L’inaugurazione lunedì scorso alla presenza di numerose autorità civili, militari e religiose proprio dell’aula Bachelet della Corte d’Appello di Bologna, nel grande complesso giudiziario di Piazza dei Tribunali.

Il taglio del nastro è stato di Luisa Guidone, Assessora comunale alla legalità democratica e contrasto alle mafie. All’inizio della mostra i visitatori sono accolti dalla ricostruzione audio degli ultimi momenti di vita del cosiddetto «giudice ragazzino». Poi una carrellata di panelli che raccontano la vita, la fede e l’impegno nell’esercizio della giustizia di Livatino in un territorio non facile del nostro paese. Alcuni video completano il percorso. La replica integrale del convegno è disponibile sul canale YouTube di 12 Porte e di Aeca. La mostra è prenotabile online all’indirizzo info@mostralivatinobologna.it sino al giorno precedente la chiusura.

Il resoconto del Convegno di lunedì 2 ottobre alla Corte di Assise di Bologna.

Lunedì 2 ottobre 2023, alle ore 15,15, presso la Corte d’Appello di Bologna, si è inaugurata la mostra “Sub Tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino”, alla presenza di esponenti delle autorità civili, militari e religiose, magistrati, ex magistrati, avvocati, professori universitari, funzionari per l’ufficio del processo, studenti di Giurisprudenza. Il taglio del nastro è stato di Luisa Guidone, Assessora comunale alla legalità democratica e contrasto alle mafie. Alle 16,30 è poi iniziato il convegno inaugurale, per raccontare alla società civile la storia di tenebra e luce di Livatino, per fare entrare dentro di noi una vita molto più ampia e perché quel fatto non diventasse, con il tempo, l’ennesima, archeologica, commemorazione di una delle tante ferite della giustizia, recuperata per l’occasione nelle soffitte della retorica. Donatella di Fiore, capofila del comitato organizzativo della mostra, ha ricordato come l’idea di portare l’esposizione a Bologna, in un momento particolarmente delicato come quello che stiamo vivendo, nasce dalla volontà di fare sperimentare agli operatori del diritto l’unica cosa che dà il coraggio della libertà: la bellezza, “per non dimenticarci – dice la Di Fiore – quelli ideali condivisi che ci motivano e che ci ispirano nel portare a termine il nostro lavoro”.

Oliviero Drigani, presidente della Corte d’Appello di Bologna, ha ricordato che è “il silenzio ciò che ci consente di approfondire all’interno del nostro animo e della nostra mente quei tre minuti in cui è avvenuto l’omicidio di Livatino, per fare sì che il suo ricordo riempia le emozioni e i cuori dei ragazzi e degli adulti”, sottolineando anche l’importanza di fare bene il proprio lavoro ogni giorno, con umiltà. Dopo avere ringraziato la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, la Regione Emilia-Romagna, l’Arcidiocesi, il Comune, la Città Metropolitana e l’Ordine degli Avvocati di Bologna e l’Associazione Aeca per il patrocinio, Giuseppe Colonna, Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici di Bologna, ha sottolineato che “l’UGC è un’organizzazione nata per essere al servizio della collettività bolognese e non, che dialoga con tutti, credenti e non credenti, perché ciascuno possa esprimere liberamente il proprio pensiero”. Nel video mostrato ai partecipanti, il cardinale Matteo Zuppi ha ricordato come “ciascuno di noi è chiamato a essere operatore di giustizia, anche se poi c’è chi la esercita per tutti”. Livatino – prosegue il cardinale – “è un grande testimone, perché non ha mai condizionato la propria professionalità all’ambiente intorno; è stato un uomo attento all’altro, e, allo stesso tempo, attento all’esercizio indipendente della giustizia. È infatti in questa direzione – continua il presidente della Cei – che va intesa la frase attribuita a Livatino secondo la quale “alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”.

Ma gli sguardi ammirati dei partecipanti erano rivolti anche a don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera: “A cosa serve la cultura che riceviamo – si è chiesto don Ciotti – se restiamo ciechi su ciò che abbiamo accanto? Il contrasto alle diverse forme di violenza è un impegno anche evangelico, e la Chiesa ci invita a guardare sì verso il cielo, ma senza distrarci dalle responsabilità che abbiamo verso la terra, anche se, per stare fermi e in silenzio, gli alibi non mancano”. Livatino – ha ricordato ancora don Ciotti – “era credente e credibile. Talmente credibile da avere infine sperimentato il martirio. La sua pace veniva dall’unione con Cristo, di cui offriva lo sguardo a ogni persona, perché riteneva ogni vita unica e necessaria alla multiforme armonia del mondo”. Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia e in passato collega di Livatino, per la prima volta ha raccontato pubblicamente di quell’incontro: “ricordare Livatino è sempre stato per me un momento di grande dolore, ma anche di grande gioia, la gioia di averlo conosciuto.

Rosario è stato il magistrato che mi ha accolto alla Procura di Agrigento quando sono arrivato lì nel luglio del ’88”. Anche il sostituto procuratore Stefano Dambruoso ha voluto ricordare il suo incontro con Livatino, pur non avendolo conosciuto personalmente, perché è stato “il primo magistrato a sedersi sulla sedia che era stata di Rosario” dopo il suo assassinio. Salvatore Insenga, cugino minore di Livatino, ha ricordato la loro infanzia e come Livatino avesse “cuore e orecchie molto grandi, per ascoltare tutti, e un sorriso disarmante, un sorriso che accordava sempre, anche quando era stanco e preoccupato, alle nostre vite, che per lui, per quanto acerbe, erano vite su cui valeva la pena gioire, sempre”. Inoltre, ha sottolineato come Livatino non volvesse essere definito giudice anti-mafia, perché diceva che il suo compito era essere come Cristo, essere pro, anti nessuno, permettere a tutti di cambiare, anche a costo di rimetterci in prima persona. E Cristo finì male, proprio perché osò mettere in discussione il potere, che opprimeva la gente e che, temendo di perdere il consenso, lo fece fuori come un delinquente. Rosario Livatino era «pericoloso» perché era un vero mentore, apriva la strada, ti prestava il coraggio che non avevi, come i veri padri. E proprio come i veri padri pagò di persona. Il magistrato Ignazio De Francisci ha ricordato come grazie a Livatino “possiamo imparare che la vita può essere felice solo quando è impegnata per gli altri, il suo umanesimo era integrale”, non solo mentale o verbale: affermare la vita altrui, costi quel che costi, per trasformare i desideri di vita attraverso la morte, come mostra la mafia, in desiderio di vita attraverso la vita, come mostra Livatino. La replica integrale del convegno è disponibile sul canale YouTube di 12 Porte e di Aeca. La mostra è prenotabile online all’indirizzo info@mostralivatinobologna.it o su eventbrite sino al giorno precedente la chiusura, prevista per il 14 ottobre.

Bruna Capparelli

 

Qui la diretta streaming del Convegno.

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