Marcia della pace 2024

«Fateci camminare insieme a voi»

L'appello dei detenuti perchè solo uniti ci si può salvare e costruire un mondo senza conflitti

Pubblichiamo il messaggio letto da padre Marcello Mattè, cappellano del carcere della Dozza, lunedì 1° gennaio in Piazza Nettuno in apertura della Marcia della pace a nome della comunità del carcere bolognese della Dozza.

di Marcello Matté *

Per l’ottava volta a Bologna la pace si mette in marcia. Non è una marcia trionfale, perché ancora trionfa tristemente la guerra. Non è la marcia di una parata, perché nei nostri giorni la pace ancora si nasconde intimidita. È la marcia di chi sincronizza il passo per camminare insieme, verso un futuro di pace. Qualcuno si sforzerà di moderare il suo passo. Qualcuno si impegnerà per accelerarlo. Tutti per camminare insieme. «Se vuoi arrivare in fretta, cammina da solo – dice l’adagio -, ma se vuoi andare lontano cammina insieme». Se vuoi futuro cammina insieme.

Accogliete noi comunità del carcere nella vostra marcia, perché chi è andato fuori strada possa ritrovare la via e non sentirsi perduto. Nessuno si salva da solo. Non si salverà da solo chi è stato espulso dal gioco perché ha sbagliato. Per quanto sia stato devastante il male compiuto, non ci sarà salvezza per nessuno nella sola ritorsione. Non si salverà da solo chi avremo buttato dietro il muro di un carcere perché da solo si arrangi a venirne fuori. Ma non si salverà nessuno nemmeno fuori dal carcere, se pensa di poter amputare dalla convivenza civile chi si è reso colpevole. Non ci sarà pace nel nostro futuro se avremo impedito il futuro a chi non trova pace per il male compiuto. Non ci sarà pace nel nostro futuro se non sappiamo nel presente costruire le condizioni perché chi ha compiuto il male e chi l’ha subìto possano incontrarsi nella pace e incontrare finalmente pace. Nessuno di noi è per sempre da una o dall’altra parte. Per questo non facciamo agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Non si salverà nessuno, nemmeno il giusto, finché rispondiamo al male con il male.

Dalla comunità del carcere chiediamo che la detenzione sia il tempo di un’assunzione di responsabilità: da parte del reo e da parte della società «civile», anche nei confronti delle vittime dirette e indirette. Dalla comunità del carcere chiediamo accoglienza perché possano mettere radici i progetti di riscatto e di futuro buono per tutti. La sentenza emessa «in nome del popolo italiano» non è uno scarico di responsabilità: «Te la sei cercata, adesso arrangiati a venirne fuori». La sentenza emessa «in nome del popolo italiano» è un’assunzione di responsabilità anche da parte di quel popolo del quale tutti siamo parte (pure il condannato e ancor più le vittime) nella maturità umana e civile di chi sa che rispondere al male con altro male moltiplica il male, senza altri effetti magici proclamati da una propaganda «ignorante». Non si costruisce la pace con le armi; non si insegna la convivenza chiudendo nell’isolamento.

Non ci riconosciamo in quel progetto – sociale o ecclesiale – che affida alla società civile la giustizia riservando la misericordia alle «anime belle» che sappiano dare qualcosa in più. Noi della comunità del carcere siamo convinti che non c’è misericordia sanante senza giustizia, ma nemmeno giustizia efficace senza misericordia, senza compiere i passi necessari per portare il «cuore» anche delle istituzioni presso i «miseri» («miseri-cor») che hanno immiserito con il reato la propria e altrui umanità. Ci riconosciamo in una società civile e matura che risponde al male con un progetto di bene, laborioso per il colpevole e non meno per la società, perché vi riconosciamo il sapore del futuro e della pace. In questa direzione siamo pronti ad assumerci la nostra responsabilità verso le vittime, verso i condannati e verso le persone che prestano servizio professionale alla giustizia. Non vogliamo fare notizia, vogliamo semplicemente prenderci cura delle persone. Non vogliamo mettere nessuno a tacere, perché nessuno è solamente «nessuno». In carcere non c’è mai silenzio. Fuori c’è troppo silenzio sul carcere. Marciamo, insieme, con passi rumorosi perché il silenzio non sia complice del male.

* cappellano carcere della Dozza

condividi su