«La vita non è tolta, ma trasformata»: è una delle affermazioni più emblematiche della Liturgia dei defunti.
Su questa certezza si fonda la consuetudine dei credenti di onorare i defunti: è un ricordo da custodire e coltivare, ma è molto di più; è celebrare un modo nuovo di essere uniti, di essere fratelli, di essere in cammino. Certo, la morte sottrae la presenza fisica, rompe i vincoli dell’affetto, ma non spezza i legami dello spirito.
Si potrebbero ricordare le struggenti parole di San Paolo ai Romani: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Né morte né vita potrà mai separarci dall’amore di Dio».
L’amore di Cristo, lui che con la sua morte ha vinto la morte: questo è il legame infrangibile che ci unisce gli uni agli altri, e che la morte non può spezzare perché in lui tutti vivono.
Una delle espressioni più alte di questo legame è la celebrazione della messa in suffragio dei defunti.
L’usanza di pronunciare i nomi dei defunti durante la messa è antica come il Cristianesimo.
L’eucaristia è adorazione del Dio dei viventi, è ringraziamento, è richiesta di perdono, è implorazione di aiuto. E quando la offriamo in suffragio dei defunti è anche un grande atto di carità e di misericordia. Lo si fa lasciando una piccola offerta, che è un gesto concreto di partecipazione.
Sappiamo bene che la miglior vita che possiamo vivere in questo mondo, non sarà mai all’altezza della santità e della perfezione di Dio.
Il purgatorio non è un inferno temporaneo: è la sofferenza di un desiderio struggente, è sete di una pienezza tanto attesa e così poco cercata durante la vita terrena.
In questo cammino, la preghiera dei vivi, soprattutto la messa, è un aiuto grande, è un segno di amicizia, un vero sollievo.