Lutto

Morto il dehoniano p. Enzo Franchini

Per anni fece parte della Comunità di via Nosadella e fu all'origine della rivista «Il Regno»

Si è spento all’età di 91 anni nella comunità di Bolognano d’Arco, dopo molti anni di ministero trascorsi a Bologna dove fu all’origine de «Il Regno». L’omelia di padre Marcello Mattè.

Giovedì 8 luglio nella comunità dehoniana di Bolognano d’Arco, in cui viveva da alcuni anni è morto padre Enzo Franchini.

Nato il 16 giugno 1930 a Ziano di Fiemme, fece la professione religiosa nella Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (dehoniani) nel 1947 e fu ordinato prete a Bologna il 24 giugno 1956.

Fece parte della comunità dehoniana di via Nosadella che, negli anni tra il Vaticano II e il post-Concilio, fu all’origine della rivista «Il Regno» e di quello che poi diventò il Centro editoriale dehoniano. A partire dalla prospettiva dell’informazione ecclesiale, prima a «Il Regno» e poi a «Settimana», padre Enzo è stato una delle figure più significative della stagione post conciliare e del rinnovamento pastorale ispirato dal Vaticano II in Italia.

Ha collaborato anche con la Cei e in particolare con l’Ufficio catechistico (stesura del Catechismo degli adulti). Ha prestato servizio in alcune parrocchie della diocesi di Bologna (Santa Teresa del Bambino Gesù, Sasso Marconi, Santa Maria della Carità).

L’omelia di Padre Marcello Mattè ai funerali di padre Enzo Franchini

«La vita nel corpo l’ho vissuta nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me».

Enzo non ha reso vana questa consegna, non ha reso vana la grazia di Dio. Noi ne siamo testimoni, la sua vita ne è testimone. Vissuta nella gratitudine per i doni ricevuti, nella certezza di non averli meritati e nel timore – sincero e tormentato in un figlio di Dio – di non avervi corrisposto. Per scoprire infine, ogni volta, che tutto è Grazia.

Confidava un’illuminazione ricevuta: «Anch’io credevo di dover servire Dio nel fare le ciambelle col buco. E, sulle prime, Dio sembrava darmi corda, e non mi ha lesinato farina, uova e zucchero per quel tanto che mi serviva comunque ad addestrarmi alla disponibilità. Poi, candidamente, ineffabilmente, Dio mi manda a dire che la bottega in cui lavoravo, in verità, era di fabbro ferraio…».

Riconosco in p. Enzo un eletto di Dio. Alla maniera di Giona, diceva lui. Al modo di Davide, credo io. Come tutta la Chiesa dell’Apocalisse, diceva lui. Come la sposa del Cantico, credo io. Non lui ha scelto Dio, ma Dio ha scelto lui. Ha risposto a questa predilezione, lasciando a Dio di fare di se stesso un sacramento della sua presenza. Pienamente se stesso, ma non pieno di sé. «Quando mi presento a Dio per invocare, non chiedo grazia. Mi affido perché lui, graziosamente, mi adoperi come strumento sacramentale necessario», scriveva in uno dei suoi testamenti stilato esattamente 8 anni fa.

«Quando mi presento a Dio chiedo cose grandi, perché chiedo il suo Regno, che è la sua vita in noi, che lo santifichiamo con l’obbedienza alla sua volontà. Mi aspetto esaudimento, non per la speranza di averlo convinto a una mia causa. Al contrario, sono certo del miracolo, perché so che a lui non pare vero di trovare in me la materia sacramentale in cui incarnare il continuarsi dell’incarnazione».

«Non vivo più io, ma Cristo vive in me».

Il Cuore incarnato di Dio – espressione a lui cara – è colmo di gratitudine perché p. Enzo gli ha dato modo di crescere in umanità. Perfino con qualche esperienza inedita.

«Avere ideali concreti, e condividerli con Gesù. Avere il suo Cuore», continua nel suo testamento. «Il Cuore per capire gli altri, e per capire la passione di Dio per gli altri. Il Cuore per non perdere niente della vita, quella mia e quella altrui. E imitarlo – sissignori – nel suo dare martirialmente la vita. Sono diversi giorni che mi torna affascinante, a ogni istanza, l’idea del martirio. Probabilmente perché so che la mia morte è vicina, stando alle previsioni mediche. Non basta che io l’accetti in umiltà. Devo volere farmi dono. A far completo il paradosso, so che presentandomi a Dio nella preghiera è di queste cose che devo parlargli. So che lui le ascolta. Per me si farà obbediente. … È lui che ha bisogno di salvarsi con noi, salvando in noi il suo amore».

Noi siamo colmi di gratitudine verso p. Enzo perché ci ha dato modo di conoscere nella vita, non solo nelle sue parole sapienti, la passione di un Dio che altro non desidera se non di essere il Dio-con-noi, una cosa sola noi e lui, obbediente alla nostra condizione umana fino alla morte – e a una morte di croce

Ringraziamo con gioia il Padre perché molto gli chiesto dopo avergli molto dato. E lui ha donato tutto.
Ringraziamo con gioia il Padre del nostro Signore Gesù Cristo perché ha dimorato nel suo amore e lo ha salvato.
Ringraziamo con gioia il Padre perché gli ha fatto dono del suo Spirito, e, nello Spirito, dei suoi doni: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé».

«Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia si piena».

Enzo ha ripetuto parole di consolazione nelle sue lunghe ore di preghiera, ha cercato occasioni quotidiane perché la gioia, quella di Dio, fosse piena.

«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici».

Enzo ha amato la tua Chiesa, tuo corpo, per la quale ha dato la sua vita come tu la tua.

E oggi, mentre accogli il dono pieno della sua vita, gli ripeti con accento inedito: «Non ti ho mai chiamato servo, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma ti ho chiamato amico, perché tutto ciò che ho udito dal Padre, i suoi dolori e i suoi sogni, l’ho fatto conoscere a te».

«Ora vieni, amico buono e fedele, prendi parte alla gioia che tu hai dato a me e ora io rendo moltiplicata a te.
Vieni, amico prediletto, hai amministrato saggiamente i tesori del mio Cuore, ricevi in dono il tesoro del mio Cuore.
Vieni, amico mio, mostrami il tuo volto perché possa vedervi riflesso il mio e sulla tua fronte possa leggere il mio nome.
Ho saggiato il tuo cuore nella notte e non ho trovato malizia.
A occhi chiusi mi hai cercato, in ogni anfratto di vita.
Ora i tuoi occhi, liberati dalla notte, vedano la luce della vita».

Siano rese grazie al Padre perché gli dona di partecipare alla sorte dei santi. Nella luce.

Padre Marcello Mattè (dehoniano)

 

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