30° anniversario della morte di don Olinto Marella

Bologna, Cattedrale

Padre Olinto Marella chiuse la sua lunga e singolare esistenza trent’anni fa, il 6 settembre 1969. E da trent’anni in questa Bologna – che egli ha scelto come la sua grande famiglia; che lí ha accolto e riconosciuto come il più prezioso dei suoi cittadini – Padre Marella è più vivo che mai.

Le parole estreme, che egli ha mormorato ai suoi discepoli come l’insegnamento più alto, e ha lasciato come l’eredità più vera, sono tra le più semplici e al tempo stesso tra le più decisive che si possono pensare: “Fate del bene liberatevi dall’egoismo. Carità, carità, carità”.

Nel mare sconfinato di una carità vissuta senza attenuazioni e senza pause nella concretezza dell’impegno personale, è andata a sfociare e a placarsi l’avventura tumultuosa di un uomo che aveva conosciuto le inquietudini problematiche di una pastorale bisognosa di rinnovamento, i tormenti della ricerca intellettuale, i costi di una originale passione educativa, le ore dell’incomprensione e della prova.

E qui a Bologna, appunto nel mare sconfinato di una carità senza limiti, don Olinto ha finalmente trovato la pace: una pare inalterata, ormai sottratta ai rannuvolamenti delle vicende umane; una pace che è stata quasi premessa e anticipazione in terra della gioia certa e appagata propria del Regno dei cieli.

Padre Marella è stato un grande dono che la Provvidenza ha voluto fare proprio al popolo bolognese, perché il grande amore alla vita, ai suoi beni e ai suoi valori – così fervido tra la gente petroniana – non restasse prigioniero entro gli orizzonti terrestri e non si estenuasse, inaridendosi, in una prospettiva puramente edonistica, ma si completasse e si sublimasse nell’ideale evangelico della carità.

Dalla voce e dal comportamento insolito di questo sacerdote venuto dalle contrade venete, Bologna ha avvertito il richiamo alla sua storia più nobile e più vera; che è storia di multiforme solidarietà, di iniziative a favore dei fratelli più sfortunati, di istituzioni fiorite nei secoli nell’intento di incarnare socialmente il messaggio di Cristo.

Ebbene, Bologna ha ancora bisogno di questo richiamo. Perciò ha bisogno che la memoria di Padre Marella rimanga viva e la sua lezione continui a essere operante.

E’ dunque naturale e logico l’auspicio che la sua figura possa presto essere autorevolmente e ufficialmente proposta a modello di santità per l’intera comunità cristiana.

L’itinerario canonico sta seguendo il suo corso. Nel frattempo è importante per noi preoccuparci che la nostra devozione verso il Servo di Dio sia ineccepibile e si sviluppi in modo davvero fruttuoso.
Quali sono in genere i segni da cui si può positivamente valutare l’autenticità del nostro culto per i santi?

Il primo e più rilevante è che la nostra devozione non solo non offuschi e non insidi l’esaltazione del Signore Gesù, l’unico Salvatore di tutti, dal quale ci viene ogni bene, ma accresca in noi il senso della sua centralità e della nostra totale dipendenza da lui. Lo stesso Padre Marella ci è di esempio in questo, con il fervore della sua adorazione del Cristo vivo e reale, presente in mezzo a noi nel sacramento dell’Eucaristia.

Il secondo segno è l’affetto e la stima per la Chiesa: è lei che genera i santi, è lei che sa trarre dalla nostra terra contaminata questi capolavori della divina grazia. Nessuna devozione ai santi è compatibile con la critica, l’amarezza, i giudizi impietosi nei confronti della Sposa di Cristo.

Infine, chi elogia i santi della carità non può esimersi dal cercare di mettersi sulla stessa loro strada, non a parole ma coi fatti. Certo le forme nelle quali il “comandamento nuovo” va esercitato non sono uguali per tutti, e neppure lo possono essere. Ma ciascuno, proprio per inverare il suo attaccamento al santo che ammira, deve fare in modo che nella sua concreta esistenza sia dato uno spazio – secondo le proprie possibilità e la propria personale vocazione – alla dedizione operosa per il “prossimo”, secondo l’insegnamento del Signore.

11/09/1999
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