santa messa conclusiva della tre giorni del clero, beata Vergine addolorata

Bologna, Villa Revedin

Ogni celebrazione in onore della beata Vergine Maria, ogni memoria dei suoi “misteri”, è per noi occasione di confermarci e di crescere nella autenticità del nostro essere cristiani.

Questa affermazione – che è vera per tutte le feste della Madonna – si fa particolarmente intensa e pertinente quando si tratta di ricordare e celebrare l’Addolorata.

Contemplare la Regina del Cielo nel momento della sua sofferenza, significa guardarla e capirla per quel che in lei più l’avvicina a noi e più l’avvicina al Signore Gesù. La Vergine che soffre raggiunge la perfetta conformità al Figlio di Dio, il quale percorrendo appunto la strada della croce ha voluto redimere il mondo. La Vergine che soffre è vicina alla nostra vita perché il dolore, presto o tardi, diventa per tutti noi l’inevitabile e scomodo compagno di viaggio lungo il percorso dell’esistenza.

Tutto è cominciato con un “fiat”: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che ha detto”.

Tutto, dunque, è cominciato con un “sì”.

Breve e tremenda paroletta il “sì”. È più esile e rapida di un respiro, e spesso racchiude in sé tutta una vita. Ognuno di noi, ripercorrendo a ritroso i suoi anni, quasi sempre si imbatte in alcuni “sì”, che l’hanno orientato e cambiato per sempre.

Chi dice qualcuno di questi “sì”, si carica di un fardello che in quel momento né conosce né può valutare, e che poi graverà implacabile su di lui.

Ma chi non dice mai nessuno di questi “sì”, molto spesso si trova tra mano una vita vuota e senza significanza.

Il “fiat” di Maria è stato un assenso a un disegno grande e fasciato di mistero, come grande e fasciato di mistero era il Dio che l’aveva pensato per lei.

In questo disegno c’era, per lei, la pienezza di grazia, c’era una maternità eccezionale, c’era come figlio suo il Figlio stesso di Dio, c’era un regno che non avrebbe avuto fine: un’avventura straordinaria e bellissima. L’angelo non le parla d’altro, non le fa intravedere la croce.

Ma la Vergine Maria, che ha per i disegni di Dio l’intelligenza penetrante dei semplici e dei puri di cuore, sa che tutto ha un prezzo: ciò che è più prezioso, più deve costare; che si apre a una sorte eccezionale e grande, deve sapersi aprire anche a una prova eccezionale e a un grande dolore.

Maria, al momento del sì, non conosce ancora con chiarezza quanto dovrà pagare, ma già lo accetta con animo fiducioso, abbandonandosi totalmente al progetto divino, cui vuole adeguarsi senza riserve.

Gli anni che seguiranno, saranno la progressiva scoperta di ciò che le era stato richiesto, di ciò che, ancora avvolto nell’ombra, ha già però avvolto il suo “sì”.

L’angoscia di portare in sé un segreto che non si poteva nascondere e non si poteva rivelare; l’amarezza di un parto desolato, nel freddo dell’inverno, al riparo di una dimora di animali; il disagio di un esilio improvviso nella terra d’Egitto. E questi non sono che i presagi del grande dolore.

Un vecchio profeta, la prima volta che Maria porta al tempio quel suo figlio amato e fatale, le solleverà un poco il lembo che ancora nasconde il suo angosciato futuro, e le darà la certezza che l’attende un’ora crudele: “A te una spada trafiggerà l’anima”.

I lunghi anni quieti di Nazareth passeranno col pensiero a questa spada imminente. E così, a poco a poco la sua anima si disporrà a essere trafitta, imparerà l’arte difficile del patire, facendo crescere e dispiegare dentro di sé il “fiat” generoso e implicito dell’inizio. Vale anche per Maria quanto è stato misteriosamente e stupendamente detto di Gesù dall’autore della lettera agli Ebrei: “Imparò l’obbedienza dalle cose che patì”. Dalla sua sofferenza imparò quanto costoso e quindi quanto pregiato agli occhi di Dio fosse stato il suo “sì”, quanto nobile fosse al cospetto del Padre celeste il suo destino di donna.

E venne il giorno tragico e salvifico del Venerdì santo. In piedi, sul calvario, Maria è là, coraggiosa e forte, attenta a non perdere neppure una stilla del suo calice amaro; mentre gli apostoli si eclissano, lei non vuole rifuggire dallo spettacolo orrendo di quel Figlio, unico e tutto suo, che muore dissanguato sulla croce. Si direbbe che si impegni a rivivere dentro il suo stesso essere ogni tormento di Cristo, per farsi più vicina e più simile a lui.

Come tutti i peccati del mondo erano addossati a Gesù, il Servo di Dio sofferente, perché potessero essere tutti espiati e distrutti, così nell’intimo di Maria parevano raccolti e consacrati tutti gli spasimi, tutte le pene, tutte le tristezze della storia del mondo. Nella Vergine Maria, l’umanità dolorante e riscattata dal sacrificio di Cristo si trova dunque raffigurata e riassunta.

Da quel Venerdì santo non è scomparso il dolore dalla vicenda degli uomini: non crediamo che la croce possa essere risparmiata, dal momento che non è stata risparmiata allo stesso Figlio di Dio; il dolore umano non è scomparso, ma ha cessato di essere una pura e incomprensibile assurdità ed è diventato un’obbedienza a un disegno d’amore, un mistero di salvezza, un presagio di gloria.

Per l’intercessione della Vergine Addolorata, chiediamo oggi che nessuna prova arrivi mai a incrinare la nostra speranza e l’adesione della nostra vita a colui che è il solo Signore, è il solo che può disporre di noi, ed è il solo che non delude.

15/09/1999
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