A Fidenza festa del patrono san Donnino

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Sono grato al vescovo Ovidio per questa celebrazione che mi permette di condividere con voi la memoria di San Donnino, festa di tutta la città degli uomini e della Chiesa di Fidenza. Mi ha colpito che fino al 1927 la città si chiamava proprio Borgo San Donnino! Vi definisce. E’ il vostro patrono, il nome che rappresenta una comunità. Non siamo delle monadi perse nel grande mondo della globalizzazione. Cancellarlo significherebbe tradire la nostra stessa storia, le radici profonde di cui abbiamo bisogno perché sostengono l‘albero.

Non difendiamo la nostra identità come fosse un museo, senza confrontarsi con il presente, pensando di proteggerla senza viverla. La vera identità resta sempre la stessa eppure cambia, come una persona che trasforma il suo aspetto e la sua coscienza nelle diverse stagioni della sua vita. Il patrono ci sa sentire assieme e il suo pensiero ci aiuta a sentirci una comunità di destino. E sappiamo, lo abbiamo capito dolorosamente, come siamo tutti sulla stessa barca e quanto è importante sentirci ed essere una comunità.

Ce lo ricorda anche Papa Francesco: “Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana”. Ne abbiamo un grande bisogno. La pandemia ci ha tenuto distanti e ci costringe a restare distanti; ci ha fatto sentire tutti come persi, specialmente i più fragili. E chi non lo è fragile?

Quanta sofferenza nel dovere lasciare sole le persone amate, specialmente i nostri vecchi! Quanto disorientamento specialmente in quanti erano malati, non solo del virus! Quanta amarezza, forse il dolore più profondo di tutti la cui ferita segna la nostra anima, per non avere potuto accompagnare nell’ultimo tratto del loro cammino chi ci lasciava. Non dobbiamo dimenticare e non dobbiamo essere noi a decretare di lasciare solo qualcuno con la nostra indifferenza! Abbiamo capito la forza e l’insidia del male, le sue conseguenze immediate e quelle che durano tanto in seguito.

Ci sembrava impossibile, un po’ come se accadesse sempre e solo agli altri e poi ci siamo trovati coinvolti personalmente. Tutti. Ecco, oggi, uniti intorno a San Donnino siamo aiutati a trovare le radici profonde della nostra fede e capiamo come queste hanno ancora tanto da indicarci nel nostro presente. Il confronto con la forza del male rivela certo la nostra fragilità ma anche la grandezza dell’amore del nostro Dio che è diventato vulnerabile come noi ed è salito sulla nostra stessa fragile barca per affrontare ogni tempesta e la tempesta più grande di tutte che è la morte.

San Donnino era discepolo di Gesù, un santo della porta accanto, martire perché testimone, non viceversa! Per farci capire che i martiri non sono eroi da ammirare e per cui giustificare la nostra mediocrità, papa Francesco ha parlato dei medici o dei preti contagiati per il loro servizio e morti, (più di 100 preti e più di 150 medici e personale sanitario) come dei martiri che si sono sacrificati per prendersi cura delle persone malate di coronavirus.

San Donnino semplicemente ascoltava e metteva in pratica la Parola di Dio: non adeguava la sua fede secondo le sue convenienze. Oggi ci aiuta a comprendere come la fede ci aiuta a affrontare questa e tutte le prove. Il cristiano, e quindi il martire, è una persona che ha il cuore illuminato dall’amore di Gesù e questa luce non la mette sotto il moggio, non la vende per trenta denari, non la nasconde sotto terra per paura, non la riduce ai primi posti o ai saluti nelle piazze. E’ amore che rende forte il debole e libera dalla paura di perdere la vita amando. Il cristiano per questo non scappa dalle prove. Noi spesso le evitiamo perché amiamo poco, speriamo solo che non ci riguardino mentre Gesù ci insegna a fare nostra la sofferenza di chi è nella prova. Poi le prove arrivano per tutti e capiamo che riguardano tutti. Questa pandemia ci ha fatto capire le altre e quanti sono provati dal male e dalla violenza, dalla povertà, dalla disperazione di non avere nessuna prospettiva, dall’abbandono di restare nella piazza umiliati dall’attesa e alla fine oziosi perché nessuno li ha presi a giornata. Quanta sofferenza per misurare l’insignificanza del proprio io, per la solitudine, per il dolore fisico, per il senso di smarrimento, per l’impossibilità di comunicare quello che si ha nel cuore, per vedere perdere pezzi della propria memoria senza potere fare nulla! Il cristiano non cerca il male, ma non lo evita, non fa finta, non scappa, non salva se stesso. E lo fa solo per amore, come Gesù e seguendo Lui. Il martire combatte con la sua vita il male: non si rassegna, non aspetta che vada un altro, non cerca un compromesso perché il male si combatte. Una delle deformazioni più evidenti del benessere è quella di farci credere che tutto andrà sempre e per forza bene e che stiamo bene conservando quello che abbiamo per noi.

San Donnino sapeva anche che tanti vogliono vedere Gesù nelle difficoltà. “Signore, vogliamo vedere Gesù!”. Quanti vogliono “vedere” la speranza, la risposta alle domande vere che agitano la vita! Quanti cercano sicurezza perché travolti da difficoltà che riempiono di delusione e di inutilità! Tanti vogliono vedere un amico che capisca, che dia risposte non banali, che non assecondi l’egoismo e non lasci ognuno padrone di se stesso e quindi, alla fine, individualizzato e solo. Tanti sperano di potere “vedere”, cioè conoscere personalmente, un uomo diverso, non pieno di sé, che non umilia gli altri per sentirsi qualcuno; che non cerca il proprio interesse; che sa spiegare il futuro così minaccioso ed insegna a costruirlo perché aiuta ad amare oggi.

Tanti vogliono incontrare un maestro che parli con autorità, che non giudica, che aiuti a ricominciare ed a liberarsi per davvero del passato e che non smette di amarci anche quando siamo lontani. Quanti sentono il peso del limite della vita stessa e vogliono trovare speranza perché avvolti dall’oscurità, dal non senso della fine, dalla scoperta amara della propria fragilità! Come posso “vedere” Gesù? Ed anche per questo siamo suoi discepoli: perché tanti possano “vedere Gesù”.

San Donnino con il suo amore ci aiuta a vedere Gesù. Venne ucciso perché aveva trovato un amore più grande degli altri e più forte della paura che fa conservare la propria vita. Non è un problema di coraggio, ma di amore e quindi di cuore. Senza di Lui la vita è un dramma privo di significato. Noi non siamo chiamati al martirio, ma tutti siamo chiamati a vivere con amore i nostri giorni e le prove. Questo implica prendere la croce di ogni giorno su di sé. Amare è superarsi. Il seme della nostra vita serve se muore a se stesso e si trasmette. Ed anche la gioia vera è vedere i frutti non in noi stessi, ma negli altri!

Non siamo, forse, contenti quando doniamo qualcosa e noi stessi agli altri? Non siamo deboli: abbiamo Gesù e il suo amore, vera forza. San Donnino ci aiuti a perdere la nostra vita amando gratuitamente il prossimo e servendo chi ha bisogno. Questa è la gloria di Cristo: un amore più forte del male che rivela oggi la gloria piena della vita futura.

09/10/2020
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