BOLOGNA – Ringrazio anzitutto Papa Francesco per avere concesso che Olinto Marella “sia d’ora in poi chiamato con il nome di beato”. Sentiamo la gioia e la responsabilità di seguire Cristo e di essere figli di questa Chiesa e della Chiesa di Bologna. Rinnoviamo la nostra obbedienza filiale a Papa Francesco, che presiede la comunione della famiglia di Dio, roveto ardente davanti al quale dobbiamo sempre tutti toglierci i sandali, da servire e di cui mai servirsi, da onorare perché nostra madre.
La Chiesa come la nostra Basilica di San Petronio è sempre reformanda e ci richiede di rivestirla e completarla con la nostra santità. Ce lo insegna Padre Marella, che accettò la sua sospensione a divinis con giustificata amarezza, “in espiazione”, per avere modo “di purificare il mio spirito e di rendermi maggiormente degno di compiere quell’apostolato per cui ogni purezza è scarsa, ogni volontà più ferrea è debole”.
Scrisse al suo vescovo appena ricevette la comunicazione della sospensione: “Ritroveremo la nostra fraternità abbandonate le maschere che ce la nascondono e ci rendono l’un l’altro tanto feroci. Allora con tutti gli uomini di buona volontà – grandi e piccoli, sospetti o inquisitori – ci ritroveremo nella Carità di Cristo, da cui tradimenti o agonie, fame o angustie, avvilimenti o morte – sia questa organica o giuridica – non potranno mai separare alcuno”.
Ecco, oggi contempliamo proprio i frutti di questa sua scelta di umiltà e di amore alla Chiesa, alla quale restò fedele rifiutando qualsiasi logica divisiva. Il suo è un esempio di come l’obbedienza e il servizio ricostruiscono la fraternità, proteggono da scandali che sempre la feriscono e la indeboliscono. Tutto sempre intorno a colui che presiede la comunione, il Vescovo di Roma.
Permettetemi di salutare le autorità civili e militari, in particolare il Signor Sindaco di Bologna, perché rappresenta tutta la città. Oggi è una festa per tutti i bolognesi che hanno amato, tutti, Padre Marella e lo hanno aiutato. Per questo abbiamo voluto la beatificazione il giorno in cui ricordiamo il nostro Patrono.
Saluto le autorità preferite da Padre Marella che sono i suoi e nostri fratelli più piccoli, i più grandi per il Signore e speriamo anche per gli uomini. Fra i tanti confratelli vorrei ricordare Mons. Tessarollo, Vescovo di Chioggia, Chiesa alla quale apparteneva Padre Marella. Nella comunione tutto è nostro perché tutto è grazia! Desidero ringraziare il Cardinale Biffi, che volle aprire la causa di beatificazione e che lo indicò come “eroe della carità”, coscienza critica della nostra città, tacita eloquenza di una fattiva solidarietà umana e che è stato per tanti bolognesi “indizio e presagio di quel mondo invisibile e più vero cui anch’essi anelano, magari inconsapevolmente”.
Con lui ricordo il Cardinale Caffarra che concluse la fase diocesana del processo e che è ricordato proprio nel giorno della memoria liturgica di padre Marella, essendo morto come lui il 6 settembre. Per lui “l’angolo di p. Marella” è un luogo prezioso, “perché impedisce che si oscuri nel nostro spirito la percezione della dignità di ogni persona umana, specialmente la più povera”.
In occasione della visita qui a Bologna ormai tre anni or sono, Papa Francesco ci indicò tre P da vivere: Pane, Parola, Poveri. Il nostro Beato ci aiuta proprio a capire l’unità profonda tra le tre P. Il pane dell’eucarestia diventa amore per i poveri. Durante la S. Messa, all’atto dell’offertorio, Padre Marella era solito, come segno di condivisione e espressione dell’amore di Cristo per i poveri, distribuire un piccolo sostegno invece che raccoglierlo. Al termine della celebrazione le persone consumavano in Chiesa la colazione, mensa che continuava quella eucaristica. Durante un inverno rigido e con il permesso del Cardinale Biffi, la Chiesa di San Donato venne adibita a ricovero notturno.
Al posto del tabernacolo eucaristico quello del Corpo di Gesù nei fratelli più piccoli. La Parola ha illuminato la sua vita e fedele a questa educava i ragazzi a diventare padroni di sé. La stessa casa di Dio l’ha voluta come famiglia con i poveri, costruendo luoghi dove vivere con loro e dove tutti fossero accolti e avessero un posto.
“La preghiera è il respiro dell’anima”, diceva Padre Marella, “la nostra conversazione con Dio, l’onnipotenza dell’uomo e l’impotenza di Dio, perché Iddio non sa resistere all’umile e costante invocazione della Sua creatura”. E la preghiera si nutre sempre dell’ascolto della parola. Pane, Parola, Poveri. San Petronio custodisce tra le sue mani tutta la città e ci insegna a sentirci uniti e a vivere l’amore per ogni persona. La nostra libertas non la troviamo nel pensare a noi stessi, ma nel legame che ci unisce a questa comunità di destino e quindi trattando con interesse la vita di ogni persona. Rendiamo, come fece Padre Marella, persone i tanti che altrimenti sono solo schiavi, dei senza volto, senza storia e senza valore. Continuiamo a scrivere il liber paradisus ispirandoci a quel Dio che ci insegna ad amare e difendere la vita sempre e per tutti.
Padre Marella si legò ai poveri e affrancò tanti ragazzi dalla schiavitù della povertà e della fame, sorelle della pandemia della guerra e che è inutile e impossibile distinguere tra loro. Voleva che nessuno rimanesse nell’inferno dell’abbandono e della disperazione e ai tanti orfani non donava soltanto un tetto, ma una famiglia e un futuro.
Sono nostri e la sua paternità ci invita ad adottare noi chi è senza protezione. A noi, che in questi tempi ci confrontiamo con la pandemia e con le tante sofferenze fisiche e psichiche che provoca, Padre Marella insegna a non abituarci mai al male e a cercare risposte concrete e per tutti. Siamo sulla stessa barca. Tutti fratelli. Non accettiamo che nessuno sia lasciato fuori da questa, perché vorrebbe dire abbandonarlo in mezzo alle onde di tempeste terribili.
Solo insieme possiamo uscirne e non vogliamo che nessuno sia lasciato solo o indietro. Non c’è tempo da perdere in discussioni inutili, calcoli di convenienze da cercare o orgogli personali da difendere: è troppo serio il momento per sciuparlo in meschini interessi individuali. Non perse tempo Padre Marella e dopo la pandemia della guerra coinvolse tanti, direi quanti più poteva, tutti nel solidum dell’elemosina, mettendosi nel cuore della città, aiutando i bolognesi a capire la loro stessa città e a trovare il cuore.
Egli ha avuto “intelletto d’amore” cioè una carità intelligente e creativa. Il cristiano è chiamato ad essere buono: non compiaciuto di sé e approssimativo, ma padre dei poveri che gli appartengono perché presenza reale di Cristo. L’elemosina è il primo modo per insegnare alla nostra società, governata dalla legge del mercato e dall’impietoso meccanismo di dare e avere, come liberarsi dal calcolo e dalle convenienze, per cui faccio una cosa solo se ne ricevo un vantaggio, se ho contropartite. L’elemosina non attende rendicontazione né risultato immediato, neanche la gratitudine. Non dimentichiamo anche che chiedere l’elemosina è umiliante, si è sottoposti agli sguardi di tutti, non di rado anche a qualche giudizio sprezzante. Si è costretti a stare per ore all’aperto, a volte al freddo.
Padre Marella prendeva il posto dei poveri per potere dare loro futuro e diceva: “Non mi interessa il passato dei miei ragazzi, mi interessa il loro futuro”. Costruì la Città dei Ragazzi perché i ragazzi vivessero da uomini nella città e questa fosse a misura dei più deboli. Dava responsabilità ai suoi giovani, perché come ogni padre desiderava il meglio per i suoi figli e non si dava pace finché non iniziavano a camminare da soli, consapevole che in ognuno c’era un dono, “secondo la grazia data”. Desiderava uomini liberi perché Dio cresce nella coscienza, non la teme, anzi la nutre, la difende. Ai suoi alunni diceva: “Quando pensate di aver capito tutto avrete capito poco, perché l’intelligenza non è altro che un fiammifero acceso in un mare di tenebre, non ne illumina che una piccola parte. Tutto il resto è buio, tutto il resto è mistero, tutto il resto è Dio”.
Oggi ci sentiamo più uniti e più determinati a riempire e a porgere noi quel cappello di condivisione e di solidarietà per rispondere alle sofferte domande degli uomini. Facciamoci umili mendicanti, come peraltro siamo, per preparare il futuro per altri e dare il nostro cuore in elemosina. L’umiltà attrae e rende davvero grandi.
Padre Marella, aiutaci ad essere noi i santi della porta accanto, a cercare il perdono di cui abbiamo bisogno umiliandoci nella carità, possibile a tutti, rendendo i poveri nostri fratelli, per trovare la beatitudine che non si compra e non si possiede perché si regala e si riceve. Padre Marella insegnaci ad amare nostra Madre Chiesa, con intelligenza e umiltà, perché sia la famiglia dove tutti sono fratelli, casa per gli orfani, dove tutti sperimentino la misericordia, sentano sulla loro fragilità lo sguardo innamorato di Dio e degli uomini. La carità è la nostra gioia, perché non finisce, tutto crede, tutto spera e tutto sopporta. Grazie Signore. Tutti fratelli. E nell’umiltà e nel servizio, tutti beati.