A Sant’Agostino a 10 anni dal sisma

Gesù ci chiama amici. E la nostra fede ci indica la prova più grande: Lui è amico quando noi non lo siamo, resta fedele all’amicizia quando noi lo tradiamo, dona la vita per salvare noi e l’amicizia. La sua è l’amicizia più grande: dare la vita per coloro che si amano. Gesù unisce quasi amicizia e amore. Il suo comandamento è amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. È quel come che fa la differenza. Non un‘amicizia a tempo, con delle misure ben calcolate, segnate soprattutto dalla convenienza o dall’individualismo per cui, essendoci al centro io, quando non mi serve o non “mi va” l’amicizia finisce.

Per Gesù, amico e amato coincidono. E non ci ama come noi amiamo le cose, spesso rendendo anche le persone cose: ci ama come persone, ci chiama amici e non schiavi, perché il Signore ama, non possiede, non ci usa, anzi si fa usare. Ci ama pure nell’incredibile possibilità che abbiamo di chiudere noi la porta del cuore, di lasciarlo – noi! – fuori a bussare, di pensare male del suo amore, di sciuparlo con sufficienza, di diffidare di un amore così grande. Senza la sua amicizia – che si vive, non la si studia, non si dichiara, non si proclama! – restiamo schiavi dell’idolatria dell’io che non fa credere nell’amicizia e non vive il comandamento dell’amore.

Nell’amore l’io trova se stesso perché trova l’altro e da due diventiamo una cosa sola perché così avviene quando ci amiamo gli uni gli altri. È la bellezza della comunità, della Chiesa, famiglia di Dio che ha questo comandamento come regola e un amore da imitare. Gli altri, non dimentichiamolo, sono tutti, anche i pagani, il nostro prossimo, ad iniziare dai poveri che non hanno nessuno che li ama. E la misura è Lui. Così diventiamo davvero umani. Solo l’amore ci farà liberi. E l’amore chiama l’io e il prossimo.

Nell’incertezza ecco la risposta alle tante domande. Dio non è un risolvi problemi. C’è sempre in ogni cosa una crepa che fa filtrare la luce. È vero: quella luce è l’amore di Dio, luce che fa sperare, che dona speranza.  È un amore e un amico che per prima cosa condivide la nostra vita e nel mistero del male, terribile, inquietante, sorprendente sempre, che annichilisce e a volte ci fa precipitare nell’abisso dell’inutilità, sappiamo dove sta Lui: accanto a noi. Come disse qualcuno nel terremoto di Amatrice: Dio è lì sotto, sarà l’ultimo ad uscire, è la prima vittima e il primo soccorritore. Il mistero del male resta tale, come il mistero delle tenebre. Ma anche la luce resta tale. Quella forza di amore e di speranza che ci ha raggiunto, che ha consolato, che ci ha fatto sentire che non eravamo soli, che ci ha spinto ad andare incontro agli altri pur nell’incompletezza delle nostre conoscenze. Davvero troviamo Dio in ciò che conosciamo e ancora di più nelle tenebre terribili della pandemia.

Il terremoto è una pandemia. Colpisce tutti. Scuote nel profondo. Dio lo abbiamo trovato nella realtà. E proprio l’ora della tempesta e del naufragio è l’ora della inaudita prossimità di Dio, non della sua lontananza. Dio è vicino, non lontano, il nostro Dio è in croce. E la nostra consapevolezza è che Dio può e vuole fare nascere il bene da ogni cosa, e forse lo capiamo ancora di più quando tutte le altre sicurezze s’infrangono e crollano, capiamo la prossimità di Dio nostro sostegno e certezza. “Quando tu lasci andare tutto, quando perdi e abbandoni ogni tua sicurezza, ecco allora sei libero per Dio e totalmente sicuro in Lui”. Come ha vissuto Gesù, che nelle sue mani ha consegnato il suo Spirito, gridando anche di sentirsi abbandonato e allo stesso tempo trovando le mani di un Padre che non lascia solo nel terremoto del Calvario.

Caffarra ci disse della fragilità, nella constatazione della “fragilità di tutto il nostro mondo”. In pochi minuti avete visto con i vostri occhi secoli di storia e di lavoro spazzati via. Ma soprattutto avete sperimentato quanto sia fragile, breve, fugace la nostra vita. Non dobbiamo mai dimenticare questa consapevolezza, non per intristirci ma per essere saggi e per capire la vera forza, straordinaria, che è l’amore. Che ricostruisce, rende più bello, sicuro. Non aspettiamo i terremoti, le pandemie! L’amore previene il male. E c’è un terremoto silenzioso che rovina le fondamenta: l’inimicizia, il pregiudizio, l’io senza il noi, il fanatismo, l’egocentrismo che diventa anche nazionalismo, così diverso dall’amore per la patria. Il terremoto silenzioso dell’indifferenza che isola, rovina la costruzione, indebolisce sempre la nostra casa comune come è vero il contrario.

Mise in guardia “dal pensare che ci sia una relazione diretta e precisa tra calamità e colpa”. Ma invitò a convertirci. Credo che lo abbiamo imparato tutti: cerchiamo quello che resta. Spesso ci chiediamo dove è Dio. Sappiamo che dobbiamo chiederci dove è l’uomo, come vediamo nelle pandemie del Covid – quanti ritardi, quante ingiustizie, quanta sofferenza causata da un uomo che non c’è e non è custode del fratello. Lo vediamo chiaramente, vera epifania del male, nella pandemia della guerra. Dov’è finito l’uomo e anche dove sono finiti gli altri uomini? Nel terremoto a questa domanda possiamo rendere gloria a Dio e, grazie a quel comandamento amatevi gli uni gli altri, abbiamo visto di cosa è capace l’uomo! Sì, restano imperscrutabili i giudizi di Dio ma, come ha scritto, Dio è giudice e avvocato nostro! Perché nulla – neppure i terremoti – “potrà mai separarci dall’amore che Dio ci ha dimostrato in Gesù”. Abbiamo visto l’uomo nella sua gloria, che in realtà è sempre quella di Dio, perché è nell’amore che diventa solidarietà, generosità, intelligenza, sacrificio per gli altri.

Il terremoto ha distrutto le case ma non i legami, anzi in molti casi li ha rafforzati, perché capiamo che sono quelli che fanno la differenza. E abbiamo visto la persona tirare fuori il meglio di sé, sfidato dal male. Sapremo essere grandi quando la memoria del terremoto, anche giustamente, si appannerà? Il terremoto non finisce, disse saggiamente un nostro prete, con l’ultima scossa. Rimbomba dentro, suscita paura, sobbalza nel nostro animo anche a distanza di anni. Proprio per questo cerchiamo vera forza. È quella della solidarietà del lavoro, di ricostruire. Ci sono tante macerie.

E il terremoto ci renda attenti, sensibili alle pandemie di oggi, a non rispondere con “salva te stesso”, “si salvi chi può” perché, lo avevamo capito allora, e ancora di più nella ricostruzione, ci salviamo solo tutti insieme ricordandoci che siamo fratelli tutti.

Il terremoto della morte distrugge il tempio del nostro corpo. E questo che non possiamo più ricostruire lo ricostruisce Dio, con la resurrezione. Quando a causa del terremoto, della guerra, e lo sapete bene, tante migliaia di persone, quasi un intero paese, si ritrova per strada o nei bunker… Aiutiamoli come possiamo! Facciamoli sentire nostri come tanti sentirono loro la nostra sofferenza. Perché il terremoto può significare anche imparare cosa vuol dire abbraccio, e se crolla tutto non crolla l’amore, anzi si rafforza. Amatevi gli uni gli altri e niente potrà separarvi dall’amore di Cristo che ci ha amato fino alla fine. Per il cristiano tutto può volgere al bene. Non diventiamo artificiosamente insensibili. Il primo bene è la solidarietà; il dolore si fa comunitario, e nel nostro abituale disinteresse e nelle nostre contese egoiste ci fa sperimentare uno sconosciuto amore.

 

Chiesa parrocchiale di Sant'Agostino
20/05/2022
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