anniversario della dedicazione della cattedrale

Bologna, Cattedrale

Oggi celebriamo la festa di questa cattedrale, che noi amiamo e ammiriamo. La fede e l’intraprendenza dei padri l’hanno creata e l’hanno affidata alla nostra fede e alla nostra intraprendenza, come un tesoro che va attentamente difeso dall’usura dei secoli, dalle insidie della nostra epoca industrializzata, dalle sempre possibili prepotenze degli uomini. E’ la dimora del Signore che qui raduna il suo popolo: noi lo crediamo, anche se siamo ben persuasi che la gloria divina non si lascia imprigionare dalle pareti costruite da mani di uomo.

L’abbiamo ascoltato dalle parole del profeta: “Quanto è grande la casa di Dio, quanto è vasto il luogo del suo dominio! E’ grande e non ha fine, è alto e non ha misura!” (Bar 3,24-25). L’intera creazione dunque è la casa di Dio.

Il Signore Gesù poi ci ha rivelato una verità ancora più alta: dal momento che “tutte le cose sussistono in lui” (cf Col 1,17) e in lui “abita corporalmente la pienezza della divinità” (cf Col 2,9), nella Nuova Alleanza il tempio del Dio vivo e vero è la stessa adorabile umanità dell’Unigenito del Padre. L’abbiamo ascoltato nella lettura evangelica: “Egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,21).

Ma “corpo di Cristo” e “casa del Dio vivente” (cf 1 Tm 3,15) siamo anche noi che costituiamo la Chiesa: “Non sapete che siete il tempio di Dio?” (1 Cor 3,16), ci dice san Paolo. Perciò la liturgia cristiana – il culto “in spirito e verità” (cf Gv 4,24) – non cesserebbe neppure se tutte le chiese cattoliche fossero distrutte e scomparissero dalla faccia della terra.

Ma allora perché da sempre la “nazione santa” ritiene giusto e conforme alla volontà del Padre esercitare il suo “sacerdozio regale” in edifici sacri come questa cattedrale?

Perché il Padre conosce l’indole concreta e le necessità dei suoi figli che sono ancora pellegrini sulla terra. Noi abbiamo bisogno di “segni” che ci richiamino le realtà nascoste e trascendenti; abbiamo bisogno di “mezzi” esteriori e percepibili, che ci aiutino a vivere già adesso come cittadini dell’invisibile Regno dei cieli.

L’unità e la vitalità di una famiglia non sono certo date dalle pareti e dai mobili. Eppure nessuna famiglia umana può formarsi, mantenersi salda e crescere nell’amore senza una casa che la raccolga, le consenta di attuare una comunità esistenziale, ne difenda l’intimità.

Allo stesso modo, la famiglia di Dio è sì essa stessa tempio dove inabita lo Spirito Santo (cf 1Cor 3,16), ma ha bisogno di spazi precisi, riservati ai divini misteri, per lodare coralmente Dio, per irrobustirsi nella fede, per ravvivare la speranza, per diventare un popolo ispirato e animato dall’amore.

Ecco perché i nostri padri non hanno dubitato che fosse loro dovere elevare questa cattedrale a gloria del Signore, a onore dell’apostolo Pietro, a vantaggio di tutte le generazioni di bolognesi che si sarebbero succedute nei secoli.

Questa cattedrale – immagine e centro propulsivo della Chiesa petroniana – risponderà adeguatamente alla sua natura e ai suoi compiti, se riuscirà a spiccare tra le case degli uomini e a essere percepita dalla città come irradiazione di una verità che non muta, come sorgente di una vita che non viene mai meno, come fucina infocata di una carità che non si spegne.

Di qui dovrà sempre risplendere la parola di Dio. E’ la parola che non si logora, che non si lascia condizionare dalle mode, che apre al nostro sguardo ciò che rimane eternamente vero. Le mille parole dell’uomo sono mutevoli e capricciose; troppo spesso si dimostrano insipide e vane, quando non vengono addirittura riconosciute come menzognere. L’uomo che vi si affida insegue il vento (cf Qo 1,17) , rischia di smarrirsi nel deserto della vita, finisce prigioniero dei miti e oppresso dalle tirannidi culturali.

“Se rimanete fedeli alla mia parola – dice Gesù – …conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (cf Gv 8,31). Fino a che da questa “chiesa della cattedra” verrà annunciata senza timori, senza censure e senza reticenze la parola di Dio, gli uomini sapranno sempre, pur nei tempi più disorientati e bui, dove accendere e alimentare la fiaccola della libertà anche civile e sociale.

Da questa “chiesa del sacerdozio del vescovo” scaturisce la vita sacramentale che ci pone in grado di vincere la morte e di incamminarci con sicurezza verso l’ingresso nel Regno.

E’ la stessa vita divina che a poco a poco prende possesso del nostro essere: ci è partecipata germinalmente nel battesimo, è perfezionata e fortificata nella cresima, si nutre con l’eucaristia, è risanata nella penitenza e nell’olio degli infermi, fino a che sboccerà nella piena fioritura che abbellirà eternamente la Gerusalemme celeste.

Questo deve essere il luogo dove si annuncia e si sperimenta l’amore del Padre che ci perdona, ci consola, ci rinvigorisce, ci raccoglie in una comunione santa e santificante. Ed è il luogo dove tutti riceviamo l’esortazione e l’incoraggiamento ad amare il Dio invisibile nei nostri fratelli visibili (1Gv 4,20).

Ma forse questo tempio a noi carissimo, che si erge nell’indaffarata città moderna, lambito da un attivismo distratto, circondato da una folla che in larga misura sembra gli sia estranea, può suscitare in noi qualche domanda inquietante: la comunità cristiana coincide ancora con la cittadinanza? in quanti siamo che ci riconosciamo “di Cristo”? siamo tanti o siamo pochi?

Nella seconda lettura abbiamo ascoltato dall’apostolo Paolo una parola che ci illumina e ci rassicura: “Il Signore conosce i suoi” (cf 2Tm 2,19).

“Il Signore conosce i suoi”: quasi a dirci che la forza, la vivacità, la gioia dei cristiani non si fonda sul loro numero, sulla loro influenza mondana, sulla loro notorietà, ma sul fatto esaltante e gratuito che il Risorto, vivo e dominatore nei secoli, Signore della storia e dei cuori, ci conosce e ci possiede.

Solo “il Signore conosce i suoi”: nessuno perciò può istituire censimenti credibili del popolo di Dio. In ogni condizione, anche la più remota dalle esteriorità ecclesiali, lo Spirito Santo è capace di lievitare di sé la torpida umanità. In questi casi, la rettitudine del cuore, l’amore operoso per la verità, il senso della giustizia, come valore assoluto da rispettare e inseguire, anche nell’animo che in apparenza è alieno dal Vangelo tracciano un sentiero che sbocca sulla strada maestra della salvezza, che è Cristo.

“Il Signore conosce i suoi”: dunque la cattedrale più vera non è questa che oggi onoriamo, ma quella che il divino Architetto edifica giorno dopo giorno, scegliendo sapientemente, secondo i cànoni a noi ignoti della bellezza sovrumana, le pietre vive ed elette del suo tempio eterno.

E non per questo ci è meno caro questo sacro edificio, ricco d’arte e di storia. Anzi ci è caro di più, dal momento che possiamo riconoscerlo come il prezioso riverbero, nelle nebbie incerte del tempo, dell’arcana ma realissima Chiesa dei santi; di quella Chiesa che già rifulge nei cieli e un giorno apparirà agli occhi di tutti nella luce di una gloria senza fine.

21/10/1999
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