seminario sul tema “handicap e comunicazione”

Bologna, teatro Antoniano

Sono lieto e riconoscente per l’occasione che mi è data di porgere il mio saluto cordiale e beneaugurante al seminario su “Handicap e comunicazione”: un evento che onora la città di Bologna e trova felicemente spazio adeguato e francescanamente accogliente entro questa bella realtà caritativa e culturale dell’Antoniano.

Gli argomenti che qui saranno affrontati e analizzati – così mi dice il programma – sono giustamente di natura scientifica, tecnica, applicativa. Ad essi, è ovvio, io posso solo offrire l’apporto della mia ammirazione e del mio sincero incoraggiamento.

A me compete invece richiamare rapidamente quale sia l’origine prima e l’ispirazione permanente di quella lodevole attenzione al mondo dell’handicap, che è uno dei non molti segni consolanti dei tempi che stiamo vivendo.

All’origine c’è senza dubbio il messaggio e l’esempio di Cristo, che nell’antropologia fino allora dominante ha operato un’autentica rivoluzione; una rivoluzione che, proprio perché autentica e radicale, è intrinsecamente pacifica, giocata tutta sull’illuminazione e il progressivo convincimento.

Nel mondo precristiano, di fronte all’handicap la società difendeva, per così dire, i suoi occhi e il suo cuore. La prassi spartana, di esporre all’Apòtete, presso il monte Taigeto, i neonati affetti da malformazioni o da insuperabili debolezze, è la forma più clamorosa e più nota di una costumanza, anzi addirittura di un diritto, che aveva larghissima cittadinanza nel mondo greco-romano.

Il Vangelo – quasi un’esplosione di luce – immette a poco a poco nella coscienza dei popoli una prospettiva diversa e del tutto nuova, che lentamente ma inesorabilmente va maturando e imponendo mutamenti ideali e attuativi sempre più diffusi e profondi.

Gesù si è identificato con ogni uomo bisognoso di aiuto: questo è stato il principio di tutto. Nella visione cristiana ogni uomo va colto come l’icona vivente del Figlio di Dio fatto uomo. Ogni uomo: ma questo asserto universale è proposto con più intensità e più urgenza appunto a riguardo delle creature umane che nella corsa dell’esistenza partono svantaggiate. Non i “grandi” e i “fortunati”, ma i “piccoli” e i “miseri” sono indicati dal Signore come i suoi più indiscutibili e più cari rappresentanti: “Ciò che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (cf Mt 25,40).

Vorrei aggiungere che questo convegno è importante – oltre che per gli auspicabili risultati che certo conseguirà – perché possiede quasi un’implicita “valenza pastorale”, in quanto lancia agli uomini di questo fine millennio un forte segnale e un ammonimento prezioso.

L’ideale generalizzato della nostra società, il personaggio mitico cantato da tutte le voci amplificate dei nostri mezzi di comunicazione, è chi è capace di vivere al meglio per sé. E’ l’uomo bello ed efficiente, che dispone della massima attitudine ad affermarsi e a godere; è l’uomo che si impone, produce e consuma; è l’uomo “in forma”, che proprio nella sua “forma” trova non solo le premesse del successo, ma addirittura il significato esauriente del suo stesso esistere. In questa concezione ogni fisica decadenza diventa in qualche modo, per la “mentalità di questo secolo” (cf Rm 12,2), una vergogna e una colpa.

In tale contesto, è quasi fatale che il portatore di handicap sia avvertito soprattutto come un peso, come un guaio, come qualcuno che scompiglia i nostri progetti e ci guasta la bella festa della vita.

Questa vostra iniziativa, andando salutarmente contro corrente, proclama che il portatore di handicap è invece oggettivamente un richiamo a riscoprire ricchezze spirituali e valori più grandi; è una acuta sollecitudine ad attuare una meno imperfetta umanizzazione della nostra convivenza; è un invito, da non disattendere, a mettere ogni nostra conquista e ogni nostra bravura al servizio di una fraternità sostanziale, che cerca di superare per quel che ci è dato ogni preclusione e non si rassegna davanti a ciò che la insidia. E’ dunque qualcosa di prezioso e di grande.

Tutto questo giustifica ampiamente la mia simpatia verso il significativo confronto che qui si intende istituire e motiva il mio caldo augurio perché il vostro lavoro sia davvero fruttuoso.

06/11/1999
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