ordinazioni diaconali

Bologna, Cattedrale

“Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio” (Mt 22,2). Questa frase non è solo l’inizio di una parabola famosa: è la rivelazione folgorante della sostanziale verità e del senso ultimo di questo ordine di cose che di fatto è stato attuato.

Ai vertici del pensieri del “re” – del Re dell’universo, cioè del Dio creatore di tutto e salvatore – sta proprio la volontà di realizzare una “unione sponsale”. Quale unione sponsale? Il prodigio d’amore che vede la realtà creata indissolubilmente congiunta con la stessa increata Divinità, la quale le comunica la sua intima ricchezza e la sua stessa vita.

In questo progetto nuziale, l’umanità non è lasciata alla sua totale alterità rispetto al Creatore, confinata a distanza infinita dalla fonte dell’esistenza e di ogni valore. Al contrario, essa è soggiogata, conquistata interiormente, congiunta a sé dall’Unigenito eterno di Dio.

Queste nozze ineffabili si consumano prima di tutto nel mistero dell’incarnazione. E il nostro stesso esistere – il nostro essere uomo o essere donna – altro non è che il destino a partecipare a questa festa cosmica.

Poi il disegno primordiale si completa e progressivamente si attualizza nel mistero della Chiesa, sposa e corpo di Cristo, che perciò già adesso è una cosa sola con lui; e noi già adesso facciamo parte di questa realtà santa e bellissima.

E finalmente tutto si compie e si manifesta nella Gerusalemme celeste, cioè nell’arcano inaudito della gloria e della gioia di Dio, che diventeranno la nostra gloria e la nostra gioia senza fine.

Diventare diaconi significa mettersi integralmente, esclusivamente, irrevocabilmente al servizio di questo piano d’amore. E sono certo che voi – venuti qui a ricevere il primo degli ordini sacri – vi rendete ben conto che vi apprestate ad assumere un compito preciso e specialissimo in questa vicenda sponsale.

Carissimi, nella parabola di Gesù che abbiamo ascoltato si parla apertamente di voi: “Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze” (cf Mt 22,3).

“Diaconi”, cioè “servi”: servi del Re che vi assegna come scopo prìncipe dell’esistenza di essere i banditori efficaci della vocazione soprannaturale dei vostri fratelli.

Voi dunque primariamente dovrete “chiamare”: chiamare tutti a Cristo e alla sua festa, chiamare al banchetto del Padre, chiamare alla vera e definitiva salvezza.

Chiamate allora con le parole giuste, che sono quelle che lo Spirito Santo ha messo nel Libro di Dio e tiene vive nel cuore di ogni sincero credente: sono le parole che non appassiscono mai. Raramente invece le parole giuste sono quelle di moda, quelle ossessivamente ripetute nel multiloquio mondano da cui vi difenderete.

Tornino così a fiorire sulle vostre labbra le parole del Signore Gesù: proprio di queste parole hanno fame e sete gli uomini, anche gli uomini svagati del nostro tempo pur quando ostentano disinteresse nei loro confronti.

Chiamate con le parole, ma chiamate altresì con la vostra vita. La coerenza del comportamento è ciò che rende persuasivo ed efficace l’annuncio.

Con questa convinzione tra poco nel rito dirò a ciascuno di voi, consegnandogli il libro dei vangeli:

“Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”.

Chi invita alla festa del Re, deve farlo con garbo, con pazienza cortese, con animo che rivela l’affetto. Sarebbe davvero deplorevole e triste se la bellezza e il fascino dell’invito divino fossero guastate dalla rozzezza e dall’imperizia del portavoce.

Non fatevi però troppe illusioni. Talvolta incontrerete anche rifiuti ingiustificati e inspiegabili: “Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati, ma questi non vollero venire” (Mt 22,3).

Quando avrete l’impressione che il vostro ministero non trovi corrispondenza alcuna, è doveroso che vi domandiate prima di tutto se non potevate fare qualcosa di meglio e di più. Ma senza autoflagellarvi all’infinito: spesso gli invitati non vengono solo perché non hanno nessuna voglia di venire: è l’enigma della libertà umana, che alla fine va affidato all’intraprendenza e alla fantasia della grazia divina.

Avrete notato che nella parabola gli inviati del re vengono non solo rifiutati, ma anche fatti oggetto di insulti e perfino uccisi (cf Mt 22,6). In effetti, molti sacerdoti della nostra Chiesa hanno dovuto sacrificare la vita per la fedeltà alla missione ricevuta: sinceramente io mi auguro che nessuno di voi abbia tale fortuna.

A questo proposito credo sia bene che due cose oggi abbiate a chiedere al Signore: la prima è che custodiate dentro di voi una seria disponibilità a subire il martirio per amore di Cristo e della sua verità; la seconda è che questa disponibilità non venga mai messa alla prova.

Voi sarete sempre in debito di far conoscere l’unico necessario Salvatore e di attirare alla sua festa nuziale quanti uomini incontrerete, quale che sia la loro condizione morale, la loro ideologia, la loro religione. E’ un ordine del Re: “Chiamate alle nozze tutti quelli che troverete” ( cf Mt 22,9), “buoni e cattivi” (cf Mt 22,10). Ma questa “chiamata”non deve mai essere effettuata a spese della integrità della verità divina o dell’autenticità del nostro nostro rapporto con colui che solo è il Signore.

E’ molto impreciso dire che la Chiesa deve essere aperta a ogni uomo: dopo che tutti sono stati invitati, la sala del banchetto è riservata – secondo l’immagine usata dalla parabola – a quanti accettano di “indossare l’abito nuziale” (cf Mt 22,11-12); cioè a quanti almeno intenzionalmente si sforzano di accogliere totalmente il gioco di Dio.

Come vedete, carissimi, la missione alla quale oggi siete arruolati è bella, ma non è facilissima.

Che il Signore ve la mandi buona: tutta la nostra Chiesa con grande fervore stasera prega per questa intenzione.

09/10/1999
condividi su