convegno nazionale “il medico del 2000 tra giuramento di Ippocrate e vangelo della sanità che cambia”

Bologna, teatro Antoniano

Sono lieto di dare il benvenuto e il più cordiale saluto ai partecipanti di questo Convegno Nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani che, eleggendola come sede dei suoi lavori, onora la nostra città e gratifica la sezione bolognese, riconoscendone implicitamente la vitalità.

L’alto valore culturale delle tematiche e il prestigio dei relatori già qualificano al meglio questo raduno. Il mio compito è solo quello di formulare un caldo augurio per una ricerca davvero proficua e un dialogo che tutti arricchisca.

È l’augurio di un pastore, che in ogni occasione cerca con semplicità di illuminare i cuori con la parola di Dio. Il mio intento è in definitiva quello di incoraggiare fraternamente tutti i presenti, aiutandoli così ad affrontare con la fiducia che viene dalla fede gli impegni esigenti della loro professione.

Ho visto che il vostro programma già prevede felicemente l’ascolto della voce dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli. Io invece richiamerò brevemente quanto del medico è detto, nell’Antico Testamento, dal libro del Siracide. Non sarà per fortuna un grande esame; sarà piuttosto la nuda citazione di poche frasi: sono, come spesso càpita nei libri sapienziali, aforismi desunti dalla mentalità popolare, ma avallati, per così dire, dall’afflato religioso che sempre lievita queste pagine.

Come avviene di cogliere nell’opinione della gente comune, anche qui la figura del medico appare circondata da un apprezzamento, che è sì sinceramente positivo ma al tempo stesso non è disgiunto da un sentimento di apprensione e di timore.

C’è come un’ambivalenza, di cui è normale che anche i medici di ogni epoca facciano personale esperienza. Da un lato il medico evoca ovviamente il pensiero della malattia (e sotto questo profilo non ci si augura di aver troppo a che fare con lui); dall’altro lato egli incarna la speranza della guarigione (e dunque la sua presenza e la sua azione sono viste e desiderate come opportune e provvidenziali).

Il Siracide ammette senza difficoltà che la categoria in questione gode di una elevata considerazione sociale: “La scienza del medico lo fa procedere a testa alta, egli è ammirato anche tra i grandi” (Sir 38,3).

E perciò a tutti raccomanda di non fargli mancare il rispetto dovuto; ma lo fa in termini di un realismo che ci appare un po’ spregiudicato: “Onora il medico, come si deve per il bisogno che se ne ha, anche lui è stato creato dal Signore” ( Sir 38,1). Sembrerebbe quasi che l’autore in realtà intenda dire: “persino lui”.

Altrove il medico è visto addirittura – e non è un pensiero entusiasmante – come ministro della divina giustizia: “Chi pecca contro il proprio Creatore cada nelle mani del medico” (Sir 38,15).

Nel passo più ampio si tenta di indicare quale sia il giusto rapporto – ai fini terapeutici – tra la pratica religiosa e le cure sanitarie: “Figlio, non avvilirti nella malattia, ma prega il Signore ed egli ti guarirà. Purificati, làvati le mani; monda il cuore da ogni peccato. Offri incenso e un memoriale di fior di farina e sacrifici pingui secondo le tue possibilità. Fa’ poi passare il medico – il Signore ha creato anche lui – non stia lontano da te, poiché ne hai bisogno. Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani. Anch’essi pregano il Signore perché li guidi felicemente ad alleviare la malattia e a risanarla, perché il malato ritorni alla vita” (Sir 38,9-14).

Senza dubbio la nostra mentalità secolaristica fatica a capire la logica di questo discorso. Il quale però ha una sua perenne validità, che è quella di non opporre tra loro – quasi fossero alternativi – i rimedi scientifici e l’abbandono fiducioso nelle mani del Signore della vita. Il Siracide stesso ce lo ricorda esplicitamente: “Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza…. Dio ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con esse il medico cura ed elimina il dolore e il farmacista prepara le miscele. Non verrano meno le sue opere! Da lui proviene il benessere sulla terra” (cf Sir 38, 4-8).

Bisogna dunque saper cogliere nella sua integralità il disegno del Creatore – un disegno che include la natura e la grazia, e li chiama a collaborare – senza scetticismi aridi e senza infondate attese miracolistiche.

Resta poi sempre vero che le arti del medico e del chirurgo alla fine sono sconfitte, sicché tutti dobbiamo prepararci a “cadere in grembo a un’immensa pietà” (per dirla col Manzoni).

In questa prospettiva, il medico credente è chiamato alla non facile impresa di essere testimone persuaso e, per quel gli riesce, persuasivo, di un tale ineludibile disegno divino. Tutto questo solo per dirvi la mia amicizia, per ringraziarvi della vostra professione di fede nel vostro ambiente, per augurarvi tanta serenità nell’incontro odierno, e più ancora, nella professione e nella vita.

01/10/1999
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