La scelta di iniziare l’anno santo del Giubileo proprio nel giorno in cui celebriamo la Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, contiene un’indicazione importante: non si è cristiani da soli. Non ci si ama da soli. Non si prende l’amore e se ne fa qualcosa di privato, ma è amore personale che ci apre al prossimo. Si cammina insieme. Abbiamo una madre e con lei i suoi tanti figli, nostri fratelli, tutti fratelli. Ci unisce un legame di amore che ci aiuta a vivere e a capire quello che il Signore vive e vuole per tutti. È il potere di diventare figli di Dio “non da sangue né da volere di carne” ma solo per il suo amore. Maria e Giuseppe sono i primi che lo hanno accolto (Gv 1,12) perché hanno ascoltato e messo in pratica la Parola. Hanno creduto che la Parola non è una vaga promessa da verificare, un’ipotesi auspicabile, un’illusione per rendere meno dura la vita. Ecco il Giubileo e la nostra speranza: il Signore è nella nostra vita, nel profondo del cuore, nel mondo, che è nostro, minaccioso e imprevedibile come è.
Maria continuerà sempre a suggerirci: “Fate tutto quello che vi dirà!”, anche se non lo capiamo e ci sembra inutile farlo, perché solo facendolo lo vedremo. Noi non abbiamo speranza perché abbiamo visto la realizzazione, ma perché la speranza ci fa vedere da subito i germogli e ci fa vedere oggi il domani. Ecco la grandezza tutta umana e divina del Giubileo: opportunità per tutti di rinnovamento, di gioia nella tristezza, di lotta contro il male e le sue potenti seduzioni. È un anno di riposo dagli affanni, in cui affrancarsi dalle abitudini, che sono i veri tiranni della nostra vita. Un anno per fare silenzio e ascoltare finalmente Dio, per fare spazio alla sua Parola, per pregare e sentirci amati, per riconciliarci con Lui.
Un anno per chiedere perdono e darlo, per il bene che non abbiamo dato, e quindi di cui abbiamo privato il prossimo, così come per il male che abbiamo fatto scegliendo di farlo, assecondando l‘istinto o semplicemente non scegliendo di amare. È un anno anche in cui comprendere il tanto che ci è stato dato, fare memoria della “grazia su grazia” che abbiamo ricevuto, capire la bellezza della nostra storia e ringraziare Dio. Un anno per cercare la pace con tutti e per tutti, proclamare la libertà a chi è prigioniero, amandolo, combattere contro il male che tanti frutti di divisione e di morte getta nei cuori e nel mondo. Chi cerca il cielo vive pienamente la terra, perché la speranza del mondo che verrà aiuta a vivere bene in questo. Tutto può cambiare, io posso cambiare, il mondo può cambiare. Non vediamo un mondo che non esiste! Proprio perché affrontiamo le pandemie e le tempeste viviamo il Giubileo. Papa Francesco vuole sia un anno per diventare pellegrini di speranza. I segni di speranza noi possiamo farli vedere perché la speranza non è virtuale, ma molto concreta. Certo, “l’individualismo corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti” (SNC 8) ma il Giubileo ci chiama ad essere noi segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che soffrono. Il Giubileo ci riconcilia con Dio, con noi stessi e con il prossimo e diventa giubilo da donare. Questo è spirituale e umano, sociale allo stesso tempo, perché lo Spirito non resta mai astratto, intimista: si incarna e diventa misericordia. La porta aperta del perdono, e quindi della gioia, ci chiede di aprire la porta del nostro cuore ma anche di aprire noi le tante porte chiuse dall’indifferenza, dalla solitudine, dal poco amore.
Il Papa indica dei segni del Giubileo: visitare i detenuti e gli ammalati che si trovano a casa o in ospedale, perché “le loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono”; prenderci cura dei giovani con rinnovata passione e fare lo stesso con i migranti, perché le loro attese non siano vanificate da pregiudizi e chiusure e siano garantiti la sicurezza e l’accesso al lavoro e all’istruzione, strumenti necessari per il loro inserimento nel nuovo contesto sociale”. Segni di speranza meritano gli anziani, valorizzando il tesoro che sono, non con supponenza e pietismo, ma con l’amore e la benevolenza che sa vedere la ricchezza di ognuno. E negli anziani ce n’è tanta! La misericordia che riceviamo diventa misericordia per altri. Per questo c’è una dimensione personale, intima, del Giubileo, che richiede silenzio, preghiera, incontro nel profondo con il Signore e con se stessi. Abbiamo bisogno di aprire la porta del cuore, perché bussa, con dolcezza e rispetto, per entrare e condividere quello che siamo e riempirci del suo amore, che in realtà aspettavamo. Abbiamo bisogno del suo perdono. Il Giubileo ci aiuta a scoprire il peccato, a provarne amarezza, a capire le conseguenze delle nostre scelte liberandoci dalle giustificazioni per cui pensiamo che la colpa sia sempre degli altri, e da quelle per cui ci giudichiamo da soli e pensiamo sufficiente non fare il male. Le buone intenzioni non bastano: riconoscersi colpevoli e chiedere perdono ci cambia e ci libera. È una scoperta severa ma anche dolcissima, perché accompagnata da un amore sempre più grande del nostro peccato, che ci riconcilia con noi stessi e con il prossimo come nessun professionista potrà mai fare. Per il Signore, che è Padre, io non sarò mai il mio peccato.
Il Giubileo è speranza anche per la Chiesa, e per la nostra Chiesa, perché sia madre di tutti, famiglia in un tempo di anonimato e solitudine, casa per chi non ha casa, protezione per gli orfani della vita, risposta alla domanda di speranza che c’è nel cuore di ogni persona perché ci dona Gesù, nostra ancora di salvezza e di futuro. C’è un ministero che è chiesto a tutti: essere umili e amabili, costruire con amicizia e amore legami che uniscono a Dio e ai fratelli. Il Giubileo è un anno di cambiamento perché, se io cambio, il mondo intorno inizia a cambiare, sia perché lo vedo in maniera diversa sia perché gli altri vedono qualcosa di diverso in me e capiscono la speranza.
Non è mai indifferente come viviamo e la vita non è mai una questione soltanto individuale, perché non siamo un’isola e perché la nostra autodeterminazione, che è interamente nostra, è piena solo se matura e si incontra con gli altri e con il primo Altro che è Dio. Ha proprio ragione Papa Francesco: noi troviamo il cuore solo quando ci mettiamo – come possiamo – davanti a Dio e per questo con il prossimo. E il mondo ha bisogno di cuore. Come si vive senza cuore? Il Giubileo è sentire il cuore di Dio e trovare il cuore del prossimo in un mondo che ha ridotto il cuore a emozione e sentimenti superficiali, ad apparenza, perché sempre egocentrico. La nostra generazione ha molto, come nessuna prima, ma non ha speranza perché questa non è data dal possesso, dalle cose, dal consumo, dalla presunzione di risolvere tutto. In realtà, senza speranza per il domani, senza l’attesa “che si compia la beata speranza, e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”, dobbiamo consumare tutto oggi per sentirci forti. La speranza non offre prima tutte le risposte o le sicurezze. Chi spera cerca la pace quando ancora c’è la guerra, il perdono quando ci sono solo la sofferenza e la rabbia, il fratello quando c’è un nemico.
La speranza non è cieca e chi spera non è ingenuo o poco realista. Anzi! Chi spera vede oggi quello che c’è ma è nascosto, che è possibile solo se lo cerchi e lo costruisci, pagandone il prezzo di sacrificio, di pazienza, di insistenza. Solo così si cambia il mondo! La grazia del Giubileo è questa: dalla rassegnazione alla speranza, dal fatalismo alla fiducia, dalla paura che rende aggressivi e chiusi all’amore che ci dona la forza per affrontare le avversità; dall’amarezza che confonde tutto con il grigio dell’adulto, alla gioia di lasciare semi di futuro nella terra perché diventino pezzi di cielo. I problemi li avremo sempre. La speranza non è l’assicurazione che ci preserva da questi ma ci ricorda che non sono l’ultima parola, che l’amore ci accompagna e ci permette di attraversarli. La nostra generazione è piena di persone che confidano solo nella loro forza, nel loro protagonismo, e finiscono così per essere fatalisti, costretti a esibirsi per sentirsi importanti, mentre è l’umile che compie cose grandi e le realizza. Mi colpiscono e interrogano la diffusione delle dipendenze, idolatrie che si impadroniscono della vita e la svuotano, come le droghe, la pornografia o il gioco. La speranza è molto diversa dal fatalismo, per cui cambiare il mondo non dipende mai da te e finisci per vivere come viene, diventando facilmente nichilista. La speranza è umile, concreta, feriale, si affida alla Provvidenza e questa valorizza il meglio che ognuno ha, perché ha sempre bisogno della nostra responsabilità e di tutto il nostro cuore. L’ottimismo scompare al primo problema. L’egoismo ci fa credere di star bene accumulando, col successo, il possesso, la prestazione. La speranza ci riempie di gioia perché ci fa vedere oggi il nostro futuro.
«Il contadino quando semina ha negli occhi il fulgore del giugno e va verso quello, mentre la nebbia ottobrina gli vela lo sguardo». «La speranza vede la spiga quando i miei occhi di carne non vedono che il seme che marcisce. Sono nostre anche le cose che marciscono, e tanto più care perché marciscono», scriveva don Primo Mazzolari. E nella spiga vediamo il compimento di tutto, nel seme i frutti che contiene. Spes non confundit.