Oggi ricordiamo la famiglia, la santa famiglia. Gesù, come tutti, ha bisogno di una famiglia. In realtà ne abbiamo bisogno, e sempre, tutti. Quando la famiglia diventa un modello lontano, impossibile, che non aiuta nelle contraddizioni e nelle difficoltà, non capiamo il Vangelo. Il Vangelo non è un consulente, confuso tra i tanti, del nostro individualismo e così anche la famiglia non gira intorno al mio io ma viceversa. Dobbiamo proprio ancora compiere la rivoluzione copernicana e passare dall’io al noi, la famiglia è uno dei luoghi dove impariamo che esistiamo solo se ci pensiamo per gli altri, insieme. Solo così non si perde l’io ma lo troviamo. C’è poca famiglia ma ne abbiamo un enorme bisogno. Nell’«Amoris Laetitia» Papa Francesco ricorda come «bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto». «Le tensioni indotte da una esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano all’interno delle famiglie dinamiche di insofferenza e di aggressività». «Vorrei aggiungere il ritmo della vita attuale, lo stress, l’organizzazione sociale e lavorativa, perché sono fattori culturali che mettono a rischio la possibilità di scelte permanenti» (AL 33). Dobbiamo ricordarci che un nucleo familiare su tre, quasi uno su due, è composto da una sola persona.
Gesù sta sottomesso alla sua famiglia. Anna ricorda il dono della vita che ha realizzato la sua speranza e ringrazia Dio. Quando il dono diventa un possesso, lo viviamo per noi senza il prossimo, finiamo per non dare valore al tanto che pure abbiamo ricevuto. Impariamo a ricordare, come Anna, le tante grazie che il Signore ci offre, grazia su grazia se le sappiamo vedere: non diritti, non proprietà, ma amore gratuito com’è l’amore vero, che rende preziosa la nostra vita perché amata. Il Signore non ci possiede, ci ama.
La famiglia si scontra con problemi molto concreti come, ad esempio, la casa. «La mancanza di una abitazione dignitosa o adeguata porta spesso a rimandare la formalizzazione di una relazione. Occorre ricordare che la famiglia ha il diritto a un’abitazione decente, adatta per la vita della famiglia e proporzionata al numero dei membri, in un ambiente che provveda i servizi di base per la vita della famiglia e della comunità. Una famiglia e una casa sono due cose che si richiamano a vicenda. Questo esempio mostra che dobbiamo insistere sui diritti della famiglia, e non solo sui diritti individuali. La famiglia è un bene da cui la società non può prescindere, ma ha bisogno di essere protetta» (AL 44).
Il nostro rapporto con il Signore non è da estranei. È familiare. Siamo figli di Dio già oggi. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è. Siamo figli, non estranei con Lui e tra noi, non siamo degli estranei che condividono qualche ideale. La Chiesa è Madre di fratelli mai uguali ma sempre tutti fratelli che, poiché credono nel nome del Figlio suo Gesù Cristo proprio per questo possono dire “ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato”. Il Giubileo è proprio una grande occasione per ritrovare questo rapporto affettivo, per ripararlo e allargarlo ad altri, per ritesse la trama delle relazioni sociali che si è strappata. È impegnativo, ma è anche pieno di vita, ci restituisce il senso della nostra vita. Il Giubileo è un anno nel quale si cerca perdono e si dona il perdono, si vive in pace con tutti e si promuove la giustizia. Un anno di rinnovamento spirituale, personale e comunitario. Dio vuole che gli uomini si riconcilino tra loro. C’è tanto isolamento, c’è paura. Ci sono tante distanze nei cuori, difese, odi profondi che impediscono di parlare, di intendersi. Dobbiamo ritrovare speranza e seminare speranza nei cuori delle persone. Ne abbiamo poca perché tutto sembra inutile, e tutto sembra inutile perché ci fidiamo solo di noi e così diventiamo scettici, protagonisti e fatalisti.
Senza speranza accettiamo solo la realtà ma non la cambiamo, siamo vittime dei problemi. Al massimo cerchiamo di scansarli. La nostra speranza? Che la Chiesa sia famiglia e nostre famiglie siano la comunità, dove viviamo quel comandamento che non è niente astratto, virtuale, esortativo, ma Parola che chiede vita, cioè cuore. A fare lezioni siamo capaci tutti. Poi, però, bisogna vivere l’amore, vivere per spiegare cosa significa amarsi gli uni gli altri. La famiglia vivrà più forte quando ognuno, se sottomesso a Dio, si lega al fratello. E la famiglia è il legame dove impariamo a pensarci insieme, capiamo che siamo fatti per essere insieme ed esserlo non limita la libertà ma la permette. Gesù è libero, ma sottomesso. È il legame di amore. La libertà non è essere senza legami. Che grande inganno! La libertà è vivere i legami con la libertà dell’amore, e questo non esiste senza legami. Anche un piccolo incontro può diventare un legame se nell’amore. Per questo ammonisce Papa Francesco nell’Amoris Laetitia «Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società.
Accade il contrario: pregiudica la maturazione delle persone, la cura dei valori comunitari e lo sviluppo etico delle città e dei villaggi. Non si avverte più con chiarezza che solo l’unione esclusiva e indissolubile tra un uomo e una donna svolge una funzione sociale piena, essendo un impegno stabile e rendendo possibile la fecondità. Dobbiamo riconoscere la grande varietà di situazioni familiari che possono offrire una certa regola di vita, ma le unioni di fatto o tra persone dello stesso sesso, per esempio, non si possono equiparare semplicisticamente al matrimonio. Nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita ci assicura il futuro della società. Ma chi si occupa oggi di sostenere i coniugi, di aiutarli a superare i rischi che li minacciano, di accompagnarli nel loro ruolo educativo, di stimolare la stabilità dell’unione coniugale?» (AL 52). Essere sottomessi per noi significa servizio: non siamo mai proprietà, ma legame di amore, circolare, reciproco. La vera sottomissione è quella imposta dall’individualismo e dall’egocentrismo “foriero di amarezza e di sofferenza in tutte le relazioni, familiari e sociali, per non dire anche in quelle intime degli affetti”. La Casa di Nazareth è una scuola di preghiera «dove si impara ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato profondo della manifestazione del Figlio di Dio, traendo esempio da Maria, Giuseppe e Gesù».
Sia Maria che Giuseppe hanno un rapporto personale con Dio, ascoltano e fanno la Sua volontà. Sono umili e per questo liberi di amare. Solo gli umili compiono cose grandi perché si pensano in relazione agli altri, a cominciare da Dio e non viceversa. I grandi pensano invece tutto in relazione a sé. Abbiamo ascoltato le prime parole di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?». La Famiglia di Nazareth è il primo modello della Chiesa in cui, intorno alla presenza di Gesù e grazie alla sua mediazione, si vive tutti la relazione filiale con Dio Padre che trasforma anche le relazioni interpersonali, umane. «Un’educazione autenticamente cristiana non può prescindere dall’esperienza della preghiera. Se non si impara a pregare in famiglia, sarà poi difficile riuscire a colmare questo vuoto. E, pertanto, vorrei rivolgere a voi l’invito a riscoprire la bellezza di pregare assieme come famiglia alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth. E così divenire realmente un cuor solo e un’anima sola, una vera famiglia». Che possano le nostre famiglie diventare comunità amando e costruendo questa chiesa e le nostre comunità non siano anonime ma case familiari, dove tutti possano vedere e vivere l’amore reciproco che ci unisce e che rivela la volontà di Dio.