apertura del processo di beatificazione di Giuseppe Fanin

Collegiata di San Giovanni Battista a San Giovanni in Persiceto

Non dimenticherò mai l’impressione e la commozione suscitate anche nella mia terra lombarda dalla notizia dell’assalto mortale a Giuseppe Fanin.
L’orribile tragedia della guerra – anche della guerra fratricida – si era ormai conclusa da più di tre anni. Era iniziata per tutti la stagione del franco e democratico confronto delle idee e delle proposte, nel rispetto di quella riconquistata libertà che era costata tanti sacrifici.

Sicché ci sembrava impensabile che si versasse ancora sangue innocente per le strade italiane. Ci pareva incredibile che qualcuno cercasse ancora di far trionfare con la violenza le proprie convinzioni e la propria parte politica.

Dopo l’annuncio di quella uccisione, noi, che eravamo lontani dal teatro di tante passioni e di tanto odio, abbiamo capito con una chiarezza senza precedenti che un’ideologia e un sistema sociale capace di condurre a tali prevaricazioni non avrebbe potuto avere nessun futuro nella storia civile dell’umanità. Adesso, ringraziando il cielo, nel mondo l’hanno capito tutti (o quasi).

Quando poi ci vennero informazioni più precise sulla figura del giovane persicetano, e ci hanno rivelato la sua limpidità morale, la sua religiosità e il suo spirito di preghiera, la sua ricerca di una coerenza cristiana senza compromessi e concretamente attiva, allora abbiamo compreso che non si tratta soltanto della vittima di un atto barbarico: la sua vita e la sua morte erano anche un dono, offerto dal Padre celeste alle nuove generazioni di credenti. Ci siamo resi conto che ci era stato dato un esempio alto e prezioso di testimonianza evangelica.

I persecutori non ci hanno interessato più: la nostra attenzione è stata tutta presa dalla figura luminosa che dalla Provvidenza ci veniva indicata come un modello.

Così abbiamo cominciato a presentarlo ai nostri giovani, ai lavoratori, a quanti erano decisi a essere sul serio discepoli del Signore Gesù, non solo in chiesa, ma anche in tutti i campi della vita associata. Proprio a Giuseppe Fanin, per esempio, era intitolato il Circolo ACLI della parrocchia milanese affidata alle mie cure.

Oggi, con gli adempimenti formali cui abbiamo assistito, abbiamo dato il via a un processo, del quale non ci è possibile e non ci è lecito prevedere l’esito e la durata.

Dopo cinquant’anni di riflessione, la Chiesa di Bologna prende questa iniziativa lungamente attesa da molti; un’iniziativa di fede e di affermazione dei valori cristiani, che nessuno speriamo vorrà strumentalizzare in nessun senso.

Il giudizio della Chiesa non va anticipato: dobbiamo piuttosto disporci ad accoglierlo con animo docile e fiducioso.

Intanto è già molto importante che così tutte le testimonianze e tutte le memorie siano raccolte e salvaguardate, perché questo nostro fratello – stroncato a soli ventiquattro anni di età – rimanga sempre giovane e vivo, col suo efficace insegnamento esistenziale, nella coscienza del nostro popolo.

01/11/1998
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