CATTEDRALE DI S. PIETRO
CELEBRAZIONI IN ONORE DELLA BEATA VERGINE DI S. LUCA

1. «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda». Carissimi fratelli, nella visita che Maria sta compiendo in questi giorni alla nostra città, oggi è il giorno in cui ella visita il nostro Presbiterio. Assai opportunamente quindi la liturgia ci fa vivere questo momento nella luce della visita di Maria  alla cugina Elisabetta.

Vorrei che fermassimo allora la nostra orante attenzione sull’istante dell’incontro. Quando Maria entra nella casa di Elisabetta, questa nel rispondere al suo saluto, sentendo sussultare nel suo grembo il bambino, saluta a sua volta Maria a gran voce: «benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo»,e pronuncia la prima beatitudine evangelica: «beata colei che ha creduto», che corrisponde esattamente all’ultima, quella detta dal Risorto a Tommaso: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno» [Gv 20,29].

Le parole di Elisabetta si riferiscono al momento dell’annunciazione, quando venne non solo rivelato a Maria la decisione del Padre  di inviare il suo Figlio, ma viene chiesto a Lei di divenirne la Madre: di entrare in modo singolare nell’economia della salvezza.

Il Concilio Vaticano II ha definito la fede nel modo seguente: «a Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede (cfr. Rom 16,16; rif. Rom 1,5; 2Cor 10,5-6), per la quale l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente, prestando “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà di Dio che rivela» [Cost. dogm. Dei verbum 5; EV1/877]. Maria ha prestato l’obbedienza della fede alle parole dell’angelo, abbandonando tutta se stessa a Dio; mediante il pieno ossequio della sua intelligenza e della sua volontà. Nelle fede di Maria accade l’incontro fra il dono che Dio fa dell’Unigenito al mondo e il consenso che l’umanità presta all’azione divina, e quindi nella fede di Maria accade il compimento di tutte le parole dette.

Come insegna ancora il Vaticano II «volle il Padre delle misericordie che l’accettazione della predestinata madre precedesse l’incarnazione» [Cost. Dogm. Lume gentium 56,1; EV 1/430]. Mediante la fede Maria è entrata definitivamente nell’opera della redenzione e vi ha consacrato totalmente se stessa.

Giustamente Elisabetta la dice “beata”, cioè “piena di grazia” come le disse l’Angelo: beata perché in Lei ed attraverso Lei la grande afflizione aveva avuto termine.

2. Carissimi fratelli, vogliamo porci anche noi questa mattina alla scuola di Maria per comprendere più profondamente noi stessi ed il nostro servizio pastorale.

Tutta la nostra esistenza sacerdotale nasce quotidianamente dall’obbedienza della fede, per la quale ci abbandoniamo completamente a Dio. Ma questa mattina mi piace rispondere ad una domanda più precisa, che nasce dall’esperienza della visita di Maria al nostro presbiterio: quale è la modalità propriamente sacerdotale della nostra obbedienza di fede? Da una parte la fede del sacerdote è uguale a quella del fedele laico, ma d’altra parte, il loro  modo di viverla è profondamente diverso. La luce che risplende in Maria oggi ci illumina circa la modalità propriamente sacerdotale della nostra fede.

è la fede di chi ha posto la propria persona, la propria vita al servizio dell’opera redentiva di Cristo, che oggi raggiunge l’uomo attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Misteri. Anche a noi è stato chiesto, ogni giorno è chiesto come a Maria, di entrare ad un titolo speciale nell’opera della Redenzione dell’uomo. è il Concilio Vaticano II che suggerisce questa analogia fra noi sacerdoti e Maria [cfr. Cost. dogm. Lumen gentium 62,2; EV 1/437].

Tutta la nostra fede riceve dalla nostra singolare partecipazione  all’opera redentiva di Cristo la sua specifica modalità: il suo vissuto. Non abbiamo il tempo di esplicitare questo vissuto interamente. Mi limito a suggerirvi due riflessioni.

La fede del sacerdote lo configura a Cristo redentore dell’uomo, “ripresenta” Cristo come redentore dell’uomo: donato totalmente all’uomo per liberarlo dal suo male. Il sacerdote si avvicina ad ogni uomo come segno visibile di Cristo che redime l’uomo.

La fede del sacerdote lo rende capace di una percezione assolutamente unica della dignità dell’uomo: è lo sguardo con cui Dio ha guardato all’uomo decaduto. E la cura divina fu talmente grande che non risparmiò il suo Figlio unigenito. La carità pastorale è la partecipazione a questa cura dell’uomo.

Carissimi fratelli, siamo posti con Maria nel centro stesso dell’opera della redenzione. La fede ci custodisca sempre nella consapevolezza della nostra missione, e la carità pastorale faccia pienamente coincidere il nostro sacerdozio col senso della nostra vita.

 

20/05/2004
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