celebrazione della santa messa della notte nella veglia pasquale

Bologna, Cattedrale

Questa notte da ogni altare la Chiesa grida al mondo la notizia più sorprendente, più consolante, più rinnovatrice della storia: “Cristo Signore è risorto!”.

Questo messaggio avvera, con una pienezza che sorpassa l’attesa, le speranze dei patriarchi e dei profeti antichi, che abbiamo sentito farsi di secolo in secolo più chiare e vibranti attraverso le letture della veglia santa.

Questo messaggio raccoglie e tramanda soprattutto le esperienze piene di stupore e di gioia, che testimoni prescelti hanno fatto, incontrando colui che era stato crocifisso, addirittura conversando e mangiando con lui.
Cristo è risorto! Qui c’è il cuore della nostra fede; qui c’è il solco che segna l’unica vera divisione tra gli uomini.

Quelli che accolgono l’annuncio pasquale sanno di non essere più prigionieri di un mondo piccolo e chiuso, oltre il quale non c’è che l’abisso del nulla. E’ stato aperto un varco dall’amore che è più forte della morte: per questo varco ora anche noi abbiamo libero accesso al Regno e alla casa del Padre, dove Gesù è salito a prepararci un posto.

Risorgere in Cristo e con Cristo è il nostro destino; e vuol dire migrare di là, su una nuova terra dove più non si piange, sotto nuovi cieli dove finalmente abiterà la giustizia.

Se Cristo è risorto, allora ogni nostra sofferenza è transitoria; ciò che passa, alla fine è sempre breve; e, una volta passato, sembra irreale come un sogno. Solo ciò che resta per sempre, ciò che è collocato nel mondo dei risorti, è realtà autentica e piena, senza il turbamento che è inseparabile da ogni cosa che finisce.

La Pasqua è la certezza che il male alla fine è sconfitto. Anche se fa molto chiasso, anche se dissemina molte rovine, anche se può avere un impressionante successo – che poi è il “successo di tre giorni”, come nella vicenda del Signore crocifisso – non prevarrà. Sulla menzogna, sull’ingiustizia, sull’odio, sull’oppressione del debole e dell’innocente, alla fine si affermerà la verità, trionferà la vita, vincerà l’amore.

L’Unigenito del Padre – che si è fatto uomo, indissolubilmente legato alla nostra stirpe e alla nostra sorte – è entrato come primogenito di una moltitudine di fratelli nel paradiso di Dio, che così è diventato anche nostro.

La sua risurrezione è la caparra sicura e concreta della nostra. Nemmeno su di noi, che pure sembriamo votati a subire il suo oscuro dominio, la morte avrà l’ultima parola. Risorgendo Cristo ha liberato i nostri giorni “infausti e brevi” dalla paura dell’annientamento e dall’orrore della prospettiva che tutto, nella nostra esistenza, alla fine sia vanificato.

Nella professione di fede noi proclamiamo davanti a tutti: “Aspetto la risurrezione dei morti”. Lo diciamo tutti sul serio?

San Paolo al pensiero che qualche cristiano possa ripetere queste parole senza un convincimento intimo e certo, è preso come da un brivido di angoscia e di compassione; ed esclama: “Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati … Se abbiamo speranza in Cristo soltanto per questa vita, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini” (cf 1 Cor 15, 16-19).

Allora la grazia particolare da chiedere nella celebrazione della Pasqua è appunto quella di recuperare intera e viva questa persuasione. E’ la verità che è il centro e il compendio di tutta la nostra fede: deve tornare a essere il cuore e l’ispirazione di tutta la nostra esistenza.

E c’è una seconda grazia da chiedere: quella di diventare, tutti noi che crediamo, gli evangelizzatori e gli apostoli di questo annuncio pasquale.

Annunziare la risurrezione di Cristo, che è principio e causa della nostra, significa in concreto anche riaffermare la preziosità dell’uomo in faccia a Dio e la sua dignità. E ci vuole coraggio e tenacia in un mondo come il nostro.

Non è facile, far risonare efficacemente la Pasqua in una società dove le aggressioni, gli omicidi, i sequestri si fanno sempre più frequenti e spavaldi; dove gli esseri umani, chiamati alla vita, vengono subito aggrediti atrocemente – e legalmente – perchÈ non ne varchino la soglia; dove la denutrizione e la fame abbattono a milioni i fanciulli; dove l’emarginazione del malato e dell’anziano a volte è aggravata da calcoli ed egoismi spietati.

Ma celebrare la Pasqua vuol dire anche ravvivare la speranza. Proprio perchÈ Gesù di Nazareth è risorto e, risorgendo, è stato costituito Signore dell’universo, noi sappiamo che l’umanità non può andare perduta. Una grande energia di novità e di riscatto sta pervadendo la terra da quel mattino di primavera, quando prima Maria di Magdala e le altre donne, poi Pietro e gli apostoli trovarono il sepolcro vuoto. Ciascuno di noi stanotte si impegni a lasciar lavorare questa divina energia nel segreto del suo cuore e nella operosità della sua vita.

11/04/1998
condividi su