Chiusura dell’Anno del Giubileo della Misericordia e apertura del Congresso Eucaristico Diocesano 2017

Questa sera con voi contemplo in questa casa la Chiesa che amo, che voglio amare di più perché l’amore chiede altro amore e che il Signore ci chiede di amare con tutto noi stessi, come la sua sposa, la nostra famiglia. E’ la sua casa di misericordia, segnata dal peccato, ma anche arca che contiene la nuova ed eterna alleanza. Qui tutto ciò che è suo è nostro. Chiudiamo la porta santa, ma apriamo la misericordia verso tutti, quella che abbiamo sperimentato in maniera straordinaria per poterla vivere tutti i giorni. La fiducia di Dio verso ognuno di noi è tanto più grande del nostro peccato, dei tradimenti e delusioni. Si aprano ancora di più la porta di questa casa e di ogni nostra comunità. Ognuno di noi diventi ministro di misericordia, “facendola”con le sue umili e grandi opere e aprendo la porta del suo cuore. Misericordiosi come il Padre. Andiamo noi incontro alla città degli uomini, non aspettiamo e facciamolo con gioia, non con il fastidio o la sufficienza del maestro, non con il paternalismo del giusto o con la sbrigativa praticità dell’organizzatore, ma con la fretta e la commozione di quel padre. Troveremo una moltitudine di umanità da amare. Sono i “per tutti” che indica Gesù nell’ultima cena.
Per grazia oggi si apre il Congresso Eucaristico Diocesano. L’Eucarestia è un atto di amore cosmico: “Anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo”. (LS 266). Essa unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. E’ il Sacramento del dono senza riserve di Dio, che ci fa uscire dall’individualismo e dalla solitudine profonda della nostra condizione, nutrimento dei figli che ci rigenera a fratelli.
In questo anno fermiamoci nell’adorazione di questo mistero di amore. Gusteremo l’intimità di esserne parte, la sua predilezione per la nostra povera vita e non ci stancheremo di lasciarci colmare dal suo amore. Senza momenti prolungati di adorazione davanti al corpo e anche alla sua parola, voce di quella presenza, facilmente ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà. Come nelle parole del Padre Nostro: solo dopo avere riconosciuto per tre volte il “tuo” impariamo a chiedere per il “nostro”. Non possiamo fare a meno del polmone della preghiera, intima ma sempre nella storia.
Il Congresso ci aiuterà a riscoprire e rivivere la gioia dell’Eucaristia. Ci interrogheremo insieme, sinodalmente, anche sulle nostre celebrazioni, perché siano familiari e solenni, gioiose e profonde, belle e vere, personali e comunitarie, dove ogni io sia accolto e il noi trovi la sua vera immagine intorno all’altare. Per realizzare questo sento profondamente la sfida di crescere nella comunione. E’ il legame di amore santo, perché dono intessuto da Dio. Senza la comunione non potremo vivere la conversione missionaria. La Chiesa non è tale se non vive la comunione e questa è davvero un metodo, una scelta di vita, non uno scenario per il nostro protagonismo. Non siamo un condominio e neppure un club. Dobbiamo cercarla e salvarla sempre, abolendo il comparativo, liberandoci dai penosi individualismi, dall’abitudine a fare da soli o per sé, perché ognuno non faccia mancare il suo originale e unico servizio alla nostra famiglia. Non a caso la lavanda dei piedi è l’Eucarestia nel Vangelo di Giovanni. L’Eucarestia realizza pienamente già oggi misteriosamente il comandamento di amarci gli uni gli altri come ci ha amato lui. Intorno alla mensa siamo già quello che il Signore vuole. Dobbiamo, però, spezzarla tra noi con il nostro servizio vicendevole e questo non riguarda solo qualcuno e non è un di più. La comunione è il sinodo permanente. Comunione e missione. Un “noi”di amore e un “loro” da amare.
Gesù Eucarestia unisce noi e la folla. Se condividiamo il pane del cielo impariamo con semplicità e leggerezza a condividere quello della terra. L’uomo dei calcoli avrebbe rimandato indietro la folla della città degli uomini, accampando impegni di agenda, limiti oggettivi, forse pensando che era una debolezza assecondarla senza che avesse chiesto nulla. L’uomo di una religione senza il cuore di Dio avrebbe indicato una legge da seguire o dispensato buone parole ma da lontano, senza compassione e senza usare i propri pani e pesci. L’uomo realista, rozzo perché egocentrico, si sarebbe infuriato dell’imprevisto, giudicato male il rischio di tenerli fino a tardi, avrebbe messo avanti la necessità del proprio riposo. Gesù pensa a sé ed anche alla gente. Applica la regola d’oro: fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te! Se la folla è venuta, affrontando un viaggio difficile; se cerca Gesù per ascoltarlo non vuol dire che ha capito tutto ma che ha una necessità e che desidera speranza e protezione. Il maestro non li rende colpevoli del loro bisogno, come spesso fanno gli uomini verso chi chiede, ma teneramente se ne fa concretamente carico. Vuole facciano parte della sua famiglia e mangino lo stesso pane. Anzi, pensa che facciamo già parte della propria famiglia, tanto che vuole dargli da mangiare. Capisce il bisogno perché guarda con gli occhi della misericordia. Altrimenti non ci si accorge di nulla, nemmeno dell’evidenza. Quanta solitudine e quante sofferenze nascoste in quella folla se guardiamo con gli occhi di Gesù! Spezza il pane perché la notte non vinca più e il suo giorno non finisca. Il suo amore è gratuito anche perché non risponde a nessuna richiesta. In fondo alla folla stessa doveva sembrare normale andarsene, che ognuno trovasse da solo la sua soluzione. Gesù vuole che ci saziamo insieme, perché il pane è lo stesso per noi e per loro. Il regno dei cieli unisce in un’unica mensa dove tutti si nutrono dello stesso pane di amore! Gesù ci insegna a riconoscere il diritto di amore dell’altro perché guarda la folla senza paura e vede tante persone, il suo prossimo, i suoi e nostri fratelli più piccoli.
A volte constatiamo che siamo pochi e vecchi, segnati da disillusioni, realisti, preoccupati di restare noi senza. A discepoli così Gesù chiede di essere noi a dare loro da mangiare, ci affida il suo sogno di sfamare tutti. Non è un ordine, è la vocazione di vivere con lui la compassione, che riaccende la il nostro cuore. Questo ci disorienta! Non ci dà nemmeno istruzioni per l’uso, solo di andare e dare!Infatti: c’è Lui e ci sono i nostri pochi pani. Basta! Non serve altro. E’ la gioia del Vangelo che ci è affidata.
Lui non rimanda nessuno perché vuole integrare ognuno. Se pensiamo che stiamo meglio da soli o in pochi, magari giudicando male tutti, non abbiamo capito la gioia del Vangelo e anche la sua semplicità possibile a tutti. Non sei solo. Anzi la comunione tra noi la troveremo proprio andando incontro agli altri. La folla lo meritava, aveva capito tutto? Sbaglia a dargli un premio? L’amore supera ogni limite. I quattro incontri di questo anno ci aiuteranno a capire e scegliere di dare, di condividere quello che siamo, di cercare quello che possiamo essere, di trovare quello che ancora non c’è. Sarà possibile credendo nella strana matematica di Dio per la quale dividendo si moltiplica, regalando si riceve,perdendo si trova. La comunità che custodisce e venera il tabernacolo si apre e cerca la stessa presenza nascosta nel mondo. Le nostre paure ci fanno addirittura credere che vogliamo bene alla folla proprio mandandola via e fanno apparire Gesù ingenuo o sconsiderato perché resta a parlare quando è tardi. Gesù ama. I discepoli devono impararlo. I nostri problemi, personali e di quella persona che sono le nostre comunità, li risolveremo solo uscendo.(Is 58)”Se aprirai il tuo cuore all’affamato,se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”. La tua ferita si rimarginerà presto! Solo iniziando a farlo si moltiplica, non prima! Facciamoli sedere a piccoli gruppi. Sarà come formare comunità, dove si può parlare e soprattutto ascoltare. Non si tratta, infatti, di dare il pane a casaccio, a persone anonime, cioè senza volto e nome, ma di guardare negli occhi, di ascoltare e aiutare a sentirsi amati. Quanto può avvicinare, guarire, aprire vie nuove, un pane di amore offerto con affetto e amicizia! Nessuno è escluso dall’incontro con il Vangelo, ad iniziare dai poveri. Perché Gesù “vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4). Usiamo parole semplici e vissute, condite sempre di amicizia, specialmente con i più poveri. Iniziamo da loro. Il nostro parlare sia sapido, semplice e amico.Il problema non è avere prima tutte le risposte, ma iniziare. L’amore cresce amando.
Tutti mangiarono e furono saziati. Tutti. Questa è la gioia dell’Eucarestia. Nutriamoci del suo pane e diventiamo noi stessi pane di amore per il prossimo, per rendere più umana la città degli uomini. Cinque pani e due pesci sono una dimensione umile. I discepoli possono compiere cose grandi proprio quando sono umili. L’amore è il pane di cui chi ha fame ha diritto e che troviamo donandolo. E’ il pane che mangeremo nel cielo. Avevo fame e mi hai dato da mangiare. Amen

13/11/2016
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