Sono lieto di porgere il mio saluto cordiale ai promotori, agli organizzatori, ai relatori e a tutti i partecipanti di questo incontro, posto al servizio e nella prospettiva di una presenza più consapevole e determinante della cultura cattolica nella costruzione della nuova Europa.
Questa giornata, che intende rievocare una data storica della comunità europea – il famoso discorso di Schuman del 9 maggio 1950 – prende le mosse dalla volontà di ricordare anche la figura di una personalità di eccezionale levatura intellettuale e morale, il conte Giovanni Acquaderni, considerato in questo contesto quale uomo europeo per la vastità dei suoi interessi e delle sue relazioni personali.
Dall’Acquaderni si arriva alla figura di Robert Schuman, nel 50° anniversario del discorso suddetto, da cui si avvia il cammino dell’unità europea.
E a Schuman accostiamo infine – ed è naturale – i grandi nomi di De Gasperi e di Adenauer.
Mi è caro evidenziare che si tratta di tre cattolici, nei quali una fede sentita e vissuta si coniugava con una grande esperienza politica e culturale; fede ed esperienza che si avvertono già nelle premesse, doverosamente ‘laiche’, del trattato della prima realtà europea, la Ceca, ossia la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (1951): ‘Gli stati membri sono risoluti a sostituire alle rivalità secolari una fusione dei loro interessi essenziali, a fondare una comunità economica, le prime assise di una comunità più vasta e più profonda tra i popoli per lungo tempo avversi per divisioni sanguinose, e a porre fondamenti di istituzioni capaci di indirizzare un destino ormai condiviso’.
I tre fondatori ebbero il merito di capire che l’europeismo poteva nascere solo dalla coscienza di appartenere a una civiltà fondata sui valori cristiani e sui principi di libertà.
Dal 1950, attraverso una serie di tappe intermedie, si è giunti al traguardo dell’Euro. È innegabile che l’impulso prevalente che ha consentito di raggiungere questa mèta è stata quella degli interessi economici. Anche nel 1950 gli accordi avevano una evidente natura economica, ma erano animati da una tensione morale protesa a rendere più confortevole e giusta la vita di tutti, con una sollecitudine preferenziale alle classi subalterne; tensione che si alimentava alle indicazioni delle Encicliche sociali dei Papi.
Quella ispirazione, purtroppo, sembra essersi estenuata: ha prevalso il calcolo senza uno slancio ideale, in uno scenario dominato dall’alta finanza e dal mercato.
Questa giornata potrà evidenziare – mi auguro – quanta distanza ci separa dal progetto dei padri fondatori dell’unità europea e come sia urgente riprenderne il discorso e le indicazioni.
Un personaggio anglosassone disse che l’Italia non deve venir meno al suo compito di ‘custode della memoria’: memoria della sua storia così profondamente inserita in quella europea; memoria come ritorno alle sorgenti umanistiche e cristiane; memoria come potenziamento del nostro presente mediante una ricchezza culturale ancora ben sedimentata nella coscienza collettiva.
Sull’esempio dei tre grandi fondatori dell’unità europea i cattolici sono sollecitati a lavorare per un progetto capace di ridare un’anima a una Europa sovrabbondante di agi e di mezzi, ma spiritualmente depressa e inaridita.
L’odierna impressionante povertà morale deve essere vinta con una rigenerazione nutrita ai temi perenni e universali della nostra tradizione.
Insieme coi cattolici, l’Italia tutta è chiamata a ravvivare i suoi miracoli di civiltà per ridonare all’Europa quel sentimento quasi messianico che essa ha sperimentato in altre situazioni, congiunto con una rinnovata attenzione ai valori trascendenti e con un ricupero della classicità senza i quali non è possibile nessun rinnovamento profondo.
Questa consapevolezza di avere una grande missione da compiere ci aiuterà a collocarci nell’Europa unita non come una colonia culturale del mondo anglosassone o come duplicato senza rigore e senza originalità della Francia o della Germania, ma con una precisa identità e con il convincimento di ripresentare, per quel che è possibile, quanto l’Italia seppe compiere ai tempi di San Benedetto, di San Fancesco, di Dante, dell’Umanesimo, del Rinascimento e della Riforma cattolica (amerei anzi dire della ‘Riforma borromaica’).
L’impresa è alta e difficile. Ma, come sta scritto, ‘questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede’ (cf. 1Gv 5,4).
Sono grato agli ideatori e agli artefici del Convegno, mentre a tutti auguro un buon lavoro.