Corpus Domini, istituzione accoliti

Il Verbo si è fatto carne. Il Verbo si fa carne e continua ad abitare in noi. È un mistero di amore che non smettiamo di contemplare. Farlo ci aiuta a comprendere anche la grandezza della nostra vita e del suo amore: non siamo mai solo materia! Con un amore così come facciamo a disprezzare il prossimo, a umiliare il corpo, ad accettare ogni tipo di violenza, a trattare male, a lasciare soli? È un corpo.

Se restasse un’entità senza volto, ineffabile, finiremmo per darle la forma e il significato che vogliamo noi, tristemente non ci sentiamo minacciati da un Tu con cui dobbiamo relazionarci ma restiamo prigionieri di noi stessi e del benessere individuale, che è il vero relativismo, pericolo che annulla l’Altro che è Dio. Siamo così abituati a presenze virtuali che facciamo fatica a comprendere il mistero dell’Eucarestia, presenza che ci fa rivivere oggi quella cena intima con i suoi discepoli.

E insieme a loro, non dimentichiamolo, ci sono i “tutti” che ne fanno parte, loro non lo sanno e nemmeno noi, ma sono i “tutti” che solo l’amore per il prossimo ci aiuterà a riconoscere, e a farci riconoscere, e per i quali occorre sempre preparare un posto perché gustino l’amore del Signore anche attraverso la nostra presenza. Il dono ricevuto ci chiede di diventare noi stessi dono, di fare della nostra vita amata finalmente una vita donata, superando la paura di perdere, che tanto ci condiziona, ci immiserisce nei calcoli, nei ruoli, nelle considerazioni.

Questa comunione ci insegna a pensarci in comunione con il Signore e con il prossimo, ad iniziare dai poveri, corpo anche loro di Gesù. È l’altro altare che dobbiamo servire: sono nostri fratelli e amarli – amarli! – ci aiuta ad essere davvero fratelli tra di noi. Gesù ci raduna, ci vuole comunione tra noi e Lui e tra di noi, ma sempre per amare il prossimo. Non saremo mai un’assemblea di soci e la nostra comunione è molto più del benessere largamente cercato da una generazione che finisce banalmente per vivere per sé stessa, sterile e narcisista perché cerca il benessere prendendo e non donando.

Qui iniziamo a mangiare il pane degli angeli, quello che gusteremo pienamente nella casa del cielo, il nutrimento di amore che sazia la vita e la rende piena, beata, amata senza diaframmi e capace di donarsi senza paure, senza ombre. Comunione è unità. In un mondo diviso, che si pensa ad isole e sa solo indicare il diritto di pensare a sé e non quello dell’amicizia, che si difende dall’altro, che finisce per guardarlo in cagnesco, che sa poco dialogare perché debole e ignorante e quindi diventa aggressivo e chiuso.

Unità e gratuità. Questo corpo è uno per tutti, ci rende davvero uguali, non perché identici, ma perché tutti affamati di amore, bisognosi. È gratuito e ci insegna a donare. Dobbiamo imparare la gratuità, perché le delusioni, le abitudini, l’egoismo sdrucciolo ce l’hanno fatta dimenticare, anzi ci fanno sentire in diritto di pretendere. Spesso non l’abbiamo mai imparato sul serio perché non è una lezione ma è vita.

Gratuito, verso chi non può darti niente in contraccambio, non una briciola o il superfluo, ma proprio per il gusto di donare e cioè fare contenti, andare incontro agli altri, non chiedere il contraccambio, non fare pesare, “fare bene del bene”. E basta. E non perché siamo buoni, ma perché abbiamo ricevuto tutti tanto gratuitamente ed anche perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere. E donare è una disciplina per liberarci dal possedere. Quando ci crediamo qualcuno finiamo per mettere prima i nostri interessi, per fare pagare il conto, per imporci invece di servire. In questo periodo di pandemia abbiamo sentito la necessità di questa presenza di amore che nutre l’anima, nuova alleanza che ci unisce con il Signore più forte della tempesta e tra di noi.

Questo pane è per tutti e ci aiuta a vedere i tanti motivi per cui l’altro è come me, ci fa ritrovare nel prossimo noi stessi e cercare quello che ci unisce a lui. Questo corpo ci aiuta ad amare la nostra vita e quella del prossimo non perché perfetta, ma perché piena di amore. Tutto diventa importante se amato. Lui è il centro, non noi. Lui è la Verità, non le nostre. Lui ci chiede di amare, mai di dividere, classificare, giudicare o restare lontani.

È un amore che si irradia e chiede a noi di essere i raggi. Lui riunisce i tanti raggi come il pane che era sparso sui colli e raccolto è diventato una cosa sola, ma anche attraverso ognuno di noi sparge il suo amore, si riflette nella comunione dei cuori, nel servizio per i bisogni altrui, per i piccoli, per i poveri, per i malati, per i prigionieri, per gli esuli, per i sofferenti. Questa “comunione” ha un riflesso sociale, perché spinge alla solidarietà, alle opere di carità (le più grandi sono le più piccole, ma sempre fedeli e gratuite).

Amiamo e curiamo, chiunque può, questa comunione che è la Chiesa, famiglia radunata da Gesù. Qui impariamo la famiglia domestica perché siamo intorno ad una mensa, resi da Gesù fratelli che mangiano questo vero pane. Così noi stessi diventiamo il Corpo di Cristo, non più molti, ma una cosa sola, un solo corpo nell’amore fraterno.

Oggi alcuni nostri fratelli diventano accoliti. Forse è l’ultima volta che lo sono solo uomini. Siete i primi di un ministero che vuole guardare all’oggi della Chiesa. Speriamo la prossima volta di dare seguito alla Lettera del 10 gennaio scorso circa i ministeri istituiti che vedranno uomini e donne. Si tratta di ministeri non ordinati ma istituiti e riconosciuti nella Chiesa, che diventano parte di quella architettura fondamentale per la vita delle stesse comunità.

Architettura che ha senso se c’è la comunità, non per vivere per se stessa! Ricordatevi che servite due altari, non uno solo. Voi per primi dovete mettere in pratica la venerazione che significa cura, rispetto, santità che richiede santità, intorno all’altare della mensa del pane del cielo e la stessa venerazione intorno all’altare della mensa del pane terreno, particolarmente a chi è nella sofferenza. La pandemia ci ha mostrato quanto è vulnerabile il cuore degli uomini, quanta solitudine lo rende ancora più fragile.

Ecco il Corpo del Signore che è farmaco ci chiede di essere vicino a chi ha il cuore ferito e ha bisogno di consolazione. La forza che questo pane di amore contiene e trasmette vi è affidata perché raggiunga tutti i nostri fratelli che sono nella difficoltà, non facendo mai mancare il suo pane e la nostra vicinanza, perché con voi portate Gesù e tutta la comunità. Non aspettiamo che siano loro a cercarci. In realtà dovremmo sapere, prima che ce lo chiedano, chi è nella sofferenza, perché siamo figli di una madre che non può accettare di restare lontana dai suoi figli. Non aspettate che ve lo chiedano! E poi apparecchiare la mensa inizia dall’accoglienza. Se possiamo non prendere più la temperatura all’ingresso, quanto è importante andare incontro, fare sentire attesi, accompagnare al posto che ognuno ha nell’assemblea. È la migliore tovaglia di questo altare della mensa del Signore.

Fatelo, come tutti i ministri, aiutando altri a farlo, facendo fare, coinvolgendo. Se lo facciamo altri lo faranno. Praticate la consolazione a chi è nella sofferenza – e quanto rimane nascosta! – che significa vicinanza assidua a chi è nella fragilità, connettendo tutti alla trama di relazione che è la comunità cristiana.

E se posso chiedere a voi, in realtà a tutti i ministri: non fatevi vedere, ma siate, come raccomandava Madeleine Delbrêl, il filo, perché questo è chiesto ai ministri della Chiesa e questo significa leggerezza, forza, unità: «Nella mia comunità Signore aiutami ad amare, ad essere come il filo di un vestito. Esso tiene insieme i vari pezzi e nessuno lo vede se non il sarto che ce l’ha messo.

Tu Signore mio sarto, sarto della comunità, rendimi capace di essere nel mondo servendo con umiltà, perché se il filo si vede tutto è riuscito male. Rendimi amore in questa tua Chiesa, perché è l’amore che tiene insieme i vari pezzi. Siate filo che unisce, con attenzione e sensibilità, intorno all’altare del Signore e dei fratelli nel filo dell’amicizia».

Bologna, cattedrale
06/06/2021
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