Veglia interreligiosa per i migranti

Figli di Abramo. Viviamo la nostra fede sentendoci parte tutti della stessa discendenza, che è numerosa come le stelle del cielo e che non possiamo noi contare e attribuire. Possiamo solo alzare insieme lo sguardo al cielo e seguire l’esempio del Padre Abramo per vivere in pace tra noi, per obbedire a Dio, per difendere la vita che ci ha affidato, per combattere ogni violenza, bestemmia di Dio mai – mai – giustificata dalla fede. Le strade in Iraq erano piene di manifesti che accoglievano Papa Francesco con queste parole di vero benvenuto: “Noi siamo parte di voi come voi siete parte di noi”. Non possiamo fare a meno di questa parte, perché siamo ognuno parte dell’altro.

Perché, come ricordava Buber, l’anima è al servizio di Dio, così a nessuna anima è fissato un fine interno a se stessa, nella propria salvezza individuale. “Bisogna dimenticare se stessi e pensare al mondo”, questa è la vera via di Abramo, così lontana dai dettami del mondo che insegna esattamente il contrario, idolatrando l’egocentrismo. Solo così l’uomo trova se stesso: mettendosi in cammino, tradendo le proprie abitudini o meglio libero da queste e quindi libero di andare. Perché Dio è libertà da sé, dagli idoli e dalle tante dipendenze. Così l’uomo è davvero padrone di sé.

Di Abramo, profugo, straniero, esule dalla sua terra, e che ci ricorda che tutti noi siamo pellegrini in questo mondo, vorrei richiamare due tratti: la speranza e la fraternità. Non c‘è futuro senza mettersi in cammino, senza speranza non per qualcosa che già possediamo o conosciamo, ma che cerchiamo e desideriamo trovare.

Solo così incontriamo le tante stelle della terra che sono gli uomini, tutti figli suoi. Guardando in alto, scrutando Dio possiamo raggiungere quello che in realtà cerchiamo. Siamo in realtà tutti in cammino verso la nuova Gerusalemme, verso il cielo. Poveri uomini chiamati dal Dio altissimo a vivere per sempre, viandanti e amici di viandanti. Dio misericordioso e onnipotente, il Dio di Abramo ci ricorda che non viviamo bene sulla terra senza cercare il cielo. Abramo diventa straniero sulla terra e così è uomo di tutte le terre e trova la vera patria comune.

Per questo Abramo è inizio di una grande fraternità. La sua tenda a Mamre si apre a tre stranieri. Ed è proprio l’accoglienza – più forte della paura, immediata, piena, senza riserve – che vince la sterilità e permette il futuro. Sara è chiusa e diffidente, in fondo amara nel suo sarcasmo. Possiamo chiederci che senso ha l’accoglienza dei profughi stranieri oggi, di quei lottatori di speranza, come li definì qui a Bologna Papa Francesco?

Abramo si pensa in relazione, tratta quegli ospiti da familiari e li rende tali. Lava loro i piedi, offre acqua e cibo, li rende importanti perché dialoga con loro. Lo fa non perché sapesse se conveniva o no, ma solo perché erano pellegrini. Non allontaniamo e non separiamoci mai dal fratello che bussa alla porta delle nostre tende. Diventeranno angeli, sono i nostri angeli, se li accogliamo. Abramo è fraterno non perché ingenuo o sognatore, ma perché credente, amico di Dio che sente Dio amico e a cui obbedisce. Quando l’uomo obbedisce a se stesso non sa riconoscere più suo fratello.

Con Abramo da Ur anche noi ci troviamo nel suo nome a casa ovunque e vogliamo impegnarci perché si realizzi il sogno di Dio. Ha chiesto Papa Francesco proprio lì da dove è iniziato il viaggio: “Che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra.

Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa”.

Sta a noi accogliere la vita per avere vita! Sta a noi, oggi.

Bologna, parrocchia Sant'Antonio di Savena
06/06/2021
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