Esequie di don Novello Pederzini

    “O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci benigno anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria”. Ecco la nostra preghiera per don Novello. Ti abbiamo conosciuto per la fede. Abbiamo conosciuto i tanti segni della tua presenza, abbiamo camminato seguendo i tuoi passi come i due discepoli di Giovanni Battista sentendolo parlare, inizialmente senza chiedere niente e poi, interrogati da te, abbiamo chiesto dove abiti e ti abbiamo trovato nei tanti luoghi dell’amore dove tu ci hai portato, dove ti fai trovare, come questa casa di San Mamolo, Betlemme di comunione tra gli uomini e tra la terra il cielo, della mensa della parola, dell’Eucarestia e dei poveri. Conducilo a contemplare la grandezza della tua gloria, la pienezza del tuo amore che non finisce, la misericordia che libera dal male e dalla tentazione farisaica di ridurre l’altro alla pagliuzza, al suo peccato. Conduci oggi don Novello a contemplare pienamente quella stessa gloria che egli ha riconosciuto e vissuto nei tratti concreti dell’umanità. Quante volte don Novello ha guardato ed è stato raggiante, ha palpitato e si è dilatato il suo cuore vedendo la ricchezza delle genti che andava verso il bambino! Ogni domenica sapeva descrivere questa meraviglia e coinvolgere tanti, con capacità che oltre il carisma si nutriva soprattutto della esperienza e della convinzione personale, di una forte esperienza interiore. Davvero l’Evangelii Gaudium. Non a caso il suo ultimo libretto, che aveva terminato solo due giorni prima di essere ricoverato, è proprio sul sorriso, regalo di gioia che nasce anche dal sapere sorridere a se stessi e di scoprire i doni di Dio nella propria vita e guardarsi e sorridere senza compiacenza di quello che si è, amato da Dio. Era raggiante nella bellissima festa del 70mo, quando forse un poco barcollava ma certo non mollava perché davvero per lui la gioia del Signore era la sua forza, abbondante perché condivisa con voi. Per lui Betlemme è stata sempre la Chiesa e la Chiesa di Bologna che ha amato fin da piccolo in un rapporto personale, originale e obbediente allo stesso tempo, che ha vissuto come la sua famiglia. Questo modo personale si è manifestato pienamente proprio con questa comunità di San Mamolo dove lui, che non era mai stato parroco, ha rivelato quello che era, un prete, un padre, un fratello capace di stare con tutti, dai poveri che bussavano e che non tornavano mai con le mani vuote, (“loro non hanno un letto!”, commentava giustamente), forse qualche volta fin troppo piene suscitando qualche interrogativo di sostenibilità, alle persone che di mezzi ne avevano tanti, accolti da un uomo di cultura ma capace di parlare con tutti, anzi desideroso di non parlarsi addosso, di non chiudersi in un linguaggio per iniziati, di spiegarsi, di rendere vicino e comprensibile quello che a volte con le glosse e i cifrati sembra troppo lontano, esigente, antipatico o difficile. La sua divulgazione, ricordo anche l’impegno ventennale a Radio Maria, ben diversa da superficialità o banalizzazione, nasceva da una preoccupazione squisitamente pastorale: arrivare a tutti. Non a caso i suoi libretti accompagnavano le benedizione delle case che è per il parroco il momento in cui conoscere e farsi conoscere, visitare tutti e stabilire un rapporto personale, diretto. Come le Domus per una Parola che entrava nelle case. Non dobbiamo forse sempre cercare la chieda domestica, che completa e realizza la parrocchia? Lercaro, del resto, gli aveva detto: “Tu fai il parroco dei senza parrocchia” (una diaconia ante litteram, segno della preoccupazione di sempre della chiesa di coinvolgere quei tutti per il quali Gesù versa il suo sangue e che sono affidati a noi). A San Manolo unì territorio e vasto mondo, intessendo relazioni, con le doti semplici dell’accoglienza e della simpatia, della familiarità e della cultura. Una comunità familiare, una chiesa comunità dove parlare e ascoltare liberamente ma pur sempre con una regia affatto occulta – un po’ come le sue celebrazini che lasciava ad altri, ma tendendo rigorosamente lui il microfono per eventuali interventi a completamento. Era la sua amabile paternità. Il campanello al Caffè santo, del quale andava orgoglioso, lo teneva rigorosamente in mano lui, pur coinvolgendo tutti e lasciando grande libertà per parlare di tutto, ma sempre riportando alle letture della domenica o a un pensiero del magistero del Papa.
Era obbediente (con tutti i vescovi e ho goduto della sua attenzione, l’ultimo biglietto chiedeva scusa per la petulanza  e la confidenza che nasce, ha scritto “dal bisogno di essere in comunione con te che sento e amo come caro padre mio nello Spirito)  obbediente e libero, buono e non ingenuo, sempre pieno di fiducia verso il prossimo anche quando qualche avvertenza avrebbe suggerito maggiore attenzione, antico e moderno, dialogante ma non mondano, familiare ma non chiuso, ecclesiastico con garbo e misura, senza supponenza, leziosità o arroganza di ruolo, con un tratto gioioso e ironico.  
E’ stato un testimone della chiesa e della città di Bologna con la sua lunga vita che ha attraversato praticamente tutto il secolo scorso, rendendoci così tutti contemporanei di avvenimenti che appartengono ad una storia lontana. Con lui abbiamo compreso quanto sono profonde le nostre radici e come i frutti hanno tempi lunghi e origini lontane. Anche per questo dobbiamo seminare tanto, sfuggendo alle ansie di prestazione o dalle continue verifiche e analisi di risultati, che poi finiscono necessariamente per essere caduchi o sempre insufficienti e deludenti. Sant’Agata Bolognese, le sue radici, i genitori, la sorella Rina e i figli e i nipoti che lo hanno accompagnato, custodito con tanta premura ricambiando il suo amore. Ordinato sacerdote dal Cardinale Nasalli Rocca subito dopo la guerra, orrore che lo aveva visto consapevole testimone, venne nominato da lui vicario a S. Giovanni Battista in S. Giovanni in Persiceto per dieci anni, quando studiava anche, con un carico di lavoro faticoso, portato avanti con determinazione e sempre con leggerezza. Don Guido Franzoni, i 500 ragazzi che popolavano allora la parrocchia sono stati i suoi primi e indimenticati maestri, come sempre portò nel cuore la terribile lezione di male umano che fu l’assassinio del martire Fanin, con il quale fu uno degli ultimi a parlare, senza però mai alzare muri, anzi, lanciando quei ponti che sono state le sue iniziative tese a stabilire relazioni personali con tutti. E’ stato un padre per tanti, per due, tre generazioni. E come padre è stato accompagnato non solo dai suoi familiari, ma da tanti, come i suoi ragazzi, magari diventati primari nel frattempo, ma che con la premura che si ha verso un padre in ospedale gli facevano la barba. E lui, con la naturalezza di un padre, se la faceva fare! Con tanti legami come l’UNITALSI, il CIF o il Serra Club, ma non voglio certo presentare un elenco!
Al termine della vita tutti noi ascolteremo la parola dell’inizio, questa volta di un inizio senza fine, dolce e affettuoso, non un ordine ma una proposta di amore: Seguimi. E tutti noi vedremo faccia a faccia quell’epifania di Dio che si rivela oggi nella nostra umanità, che nasce uomo tra gli uomini perché tutti noi diventiamo Epifania sua e perché possiamo nascere alla vita che non finisce. Al termine dei suoi lunghi giorni, del suo camminare pellegrino del cielo come avrebbe detto Turoldo, “anima eterna dell’uomo che cerca cui solo Iddio è luce e mistero”, incontra ancora e per sempre solo quel Dio bambino, pienezza e luce della nostra vita. Don Novello oggi apre tutto il suo cuore e riversa la sua amicizia, la sua preghiera, il profumo del suo servizio originale affidandolo a Lui perché niente con lui andrà perduto. Per sempre. In pace.

06/01/2018
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