festa di san Giuseppe artigiano, messa per tutti i lavoratori cristiani

Bologna, Cattedrale

Il secolo – anzi il millennio – volge alla fine. E sarà una fine intrinsecamente connotata dal nome di Cristo. Nessuno, speriamo, vorrà dimenticare che si tratta del bimillenario della sua nascita: la stessa risonanza universale di tale appuntamento – suggestivo appuntamento e atteso con emozione – è il riconoscimento almeno implicito che Gesù di Nazaret, l’Unigenito eterno del Padre, nato da Maria nella “pienezza del tempo” (cf. Gal 4, 4), è il centro, il senso, il Signore della storia.

Tutto ciò è per i credenti motivo di gioia ineguagliabile. Ci prepariamo con entusiasmo a fargli festa: non c’è nessuno a noi più caro di lui, che ci ha chiamati alla sua amicizia e a partecipare alla sua stessa vita; non c’è nessuno che ci sia più vicino e più intimo di colui che ci ha “incorporati” nel suo stesso vivificante mistero; non c’è nessuno che sia più prezioso e decisivo per il nostro pellegrinaggio di quaggiù e il nostro destino ultraterreno, dell’unico necessario Salvatore del mondo.

C’è da augurarsi che le malattie spirituali tipiche e più diffuse di quest’ultimo scorcio del Novecento – e cioè l’irenismo che tutto appiattisce, il relativismo cui è antipatica e insopportabile la verità, soprattutto le varie forme di religiosità naturalistica che si presentano come annunci di una “età nuova” e sono al contrario vecchie e ripetitive come le inclinazioni degli uomini ad autoingannarsi – non sottraggano il Figlio di Dio alla nostra attenzione adorante e al nostro amore appassionato ed esclusivo: sarebbe un pessimo modo di celebrare i duemila anni della sua venuta in mezzo a noi.
Non solo però nella sua persona, anche nel suo “corpo” – nella sua “Sposa” che è la Chiesa – in questo vespro della civiltà cristiana Gesù corre il pericolo di essere travisato, incompreso, immotivatamente osteggiato. In effetti, quasi ogni giorno i mezzi di comunicazione cercano di mettere la Sposa del Signore in cattiva luce.
Questo rifiuto “culturale” della Chiesa vorrebbe dire, tra l’altro, derubare la nazione italiana di una delle radici storiche più indiscutibili della sua identità.

Ma in questo primo maggio, dedicato all’esaltazione del lavoro umano, è naturale percepire con sensibilità più pungente i rischi che nel nostro tempo Cristo corre nella sua immagine viva, che è l’uomo: l’uomo nella sua vita, nella sua intangibile dignità, nel suo primato su tutte le diverse realtà infraumane.
“Tutta la vita umana oggi corre seri pericoli. E non solo per il perdurare delle guerre e il diffondersi del ricorso agli attentati e alle stragi, come a mezzi di lotta ideologica; ma anche per l’eutanasia, le fantasie genetiche, la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell’istituto della famiglia, il permissivismo in tutti i campi, la droga.
Si va inoltre logorando nella coscienza comune il concetto di uomo come persona inalienabile e sacra. Tanto che nella mentalità di molti si arriva ad assimilarlo agli animali, perfino moralmente e giuridicamente” (G. Biffi, Dal Congresso al Giubileo, Bologna 1998).
Nell’ambito più propriamente sociale, il primato dell’uomo sulle cose, sulle strutture burocratiche, sul complesso mondo dell’economia, stenta ancora ad affermarsi ed è almeno implicitamente disconosciuto nei fatti. E sembra di intuire che alcune difficoltà provengano da fenomeni eterogenei e antitetici.
Predomina ancora in Italia una forte mentalità statalista. Così, la centralizzazione, la complicazione e l’eccessiva volubilità delle leggi, i diritti di veto troppo ampiamente assegnati agli apparati e ai nuclei ideologici di potere, inceppano in misura indebita l’iniziativa dei singoli e dei gruppi, e fanno sì che molte legittime aspirazioni non vengano soddisfatte.

Il principio di sussidiarietà – chiaramente enunciato da Pio XI fin dal 1931 – attende ancora di essere recepito e diventare efficacemente operante. E non solo e non primariamente in riferimento alle varie amministrazioni pubbliche subalterne, ma anche e soprattutto in riferimento alle libere comunità di cittadini.
Posto davanti ai problemi emergenti, lo stato italiano né li sa affrontare adeguatamente in presa diretta, senza viluppi decisionali ed esecutivi, né consente di fatto che le intraprendenze non statali tentino di risolverli con il proprio coraggio e la propria energia. Come dice Gesù, a proposito del Regno dei cieli, agli scribi e ai farisei: “Non vi entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci” (cf. Mt 23, 13).

Contestualmente oggi è in atto, e sempre più si impone, anche un altro, e per qualche aspetto opposto fenomeno: la così detta “globalizzazione dell’economia”, per cui il mercato e il potere finanziario non conoscono più confini, e danno l’impressione di non tollerare nessun influsso e nessun controllo esterno al proprio ambito.
In tal modo, càpita sempre più spesso che la sorte delle imprese e l’avvenire dei lavoratori vengano decisi da potentati anonimi, lontani e invisibili.

Noi non sappiamo se davvero questa sia una realtà ineluttabile e fatale. Sappiamo però che è preoccupante. Un’economia senza barriere non deve diventare anche un’economia senza regole, senza considerazione per l’uomo concreto che lavora, senza attenzione all’occupazione e alla disoccupazione, senza sollecitudine per i disagi delle persone e delle famiglie.
Il nostro auspicio è che “globalizzazione” non divenga il nome nuovo di “capitalismo selvaggio”: sarebbe un’altra sconfitta dell’uomo, immagine viva di Cristo.

Come si vede, abbiamo molte e gravi ragioni per levare oggi al Padre la nostra implorazione, appoggiandoci all’intercessione di san Giuseppe.
Egli, che è stato “maestro d’arte” del Figlio di Dio, saprà ben trovare la strada del suo cuore e riuscirà ad avvalorare la nostra preghiera presso di lui, a vantaggio di ogni uomo che lavora, di ogni uomo che è in ansia per il suo futuro, di ogni uomo che lotta per un’esistenza più degna.

01/05/1999
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