Funerale di monsignor Massimo Fabbri

Sì, solo la Parola di Dio è lampada per i nostri passi, altrimenti difficili e a tentoni. Lo capiamo quando fisicamente e spiritualmente ci confrontiamo con l’ombra della morte che ci accompagna sempre e che solo Gesù, sole che sorge, illumina.

I nostri passi sono la vita ordinaria – alla quale finiamo purtroppo per non dare il valore necessario, non capendo la meraviglia che sempre essa contiene e può esprimere – facilmente diventano un vagare, tanto che noi non li sappiamo contare e ci ritroviamo come quelle pecore stanche e sfinite anche per una tempesta che sembra non trovare bonaccia.

Dio accompagna tutti i nostri passi, ancora di più quando sono faticosi e incerti, tanto che sembrano annichilirci, da farci sentire come dei sopravvissuti, con la tentazione di lasciarci andare al sottile pessimismo di Nicodemo che non spera una vita nuova e al quale tutto appare vano. I nostri passi si confrontano improvvisamente con il buio della scomparsa di un uomo nel pieno del suo vigore, morte che rivela quanto la nostra vita è davvero un soffio. Incute paura quando misuriamo la rapidità con cui questo avviene.

“Il Signore fa morire e fa vivere”, abbiamo ascoltato, grande verità, abbandono fiducioso e assoluto alla volontà di Dio, incapacità a capirla tutta ma anche certezza che in tutto c’è il Signore e che tutto è nelle sue mani. Il Natale di Dio ci rivela definitivamente che la volontà di Dio è farci vivere, innalzare la nostra debolezza, riconciliarci con la nostra vita umile com’è, perché essa contiene la sua immagine. Il Verbo diventa carne perché la nostra umiltà non sia più una maledizione, ma salvezza. La dolce luce di Betlemme ci porta il nome che è sopra ogni altro nome e che tutti i nostri nomi racchiude e conserva, Gesù, luce che illumina la notte del mondo e della speranza.

Come sappiamo, Cristo bambino nelle icone bizantine viene raffigurato dentro un antro buio, gli inferi e il suo corpo disteso nel sepolcro perché chi nasce muore, ma la sua nascita illumina le tenebre, la morte è sconfitta e diventa nascita alla vita del cielo. Come non interrogarci, però, sul senso di quello che avviene, confessare la nostra incapacità a comprenderlo tutto, ma anche cercare di trarre motivi di pensosa consapevolezza, di crescita, di conversione, di fede.

Mi ha scritto un prete più anziano di don Massimo: “La morte di Massimo mi stimola: che ne fai del poco tempo che ti resta? Non ho tristezza ma voglia di vivere meglio i pochi/tanti giorni. E poi spunta sempre più il desiderio di vedere quel …benedetto volto”. E chi cerca il volto benedetto lo incontra sempre in quello del prossimo e inizia a riconoscerlo in questo, forse con ancora più intensità e bellezza.

Quando ci congediamo da una persona che parte, consapevoli che non la vedremo più – consapevolezza che in realtà facciamo fatica a realizzare e a conservare – ne sentiamo il valore, l’importanza e soprattutto manifestiamo istintivamente il suo valore, mettendo da parte le mancanze o parlandone ma per farne solo motivo di amore, come in realtà dovrebbe essere sempre. Questa consolazione non dovremmo farla mancare mai e dovrebbe accompagnarci sempre, sostenerci nella fragilità perché la testimonianza della fede e l’amore fraterno accrescono un tesoro che supplisce alla nostra debolezza e rafforza i fratelli anche quando non lo sappiamo.

La nostra forza è la comunione che nasce dall’essere suoi, amati per sempre da Lui e quindi inizio di eternità, legame spirituale e umano di cui abbiamo sempre un enorme bisogno. Questo corpo che è la Chiesa di Cristo è forte perché di Cristo, ma è debole perché nel mondo e ha bisogno di noi, richiede di amarlo come possiamo sopra ogni cosa perché contiene e trasmette la luce di Dio e perché deve affrontare tutte le pandemie, l’ospedale da campo, le guerre mondiali a pezzi, un mondo che crolla come quando una persona muore. Per questo mettiamo da parte quello che divide, anzi combattiamo il divisore nelle varie sembianze con cui si presenta, tutte sempre pericolose e prive di ragione perché l’unica ragione è questa famiglia che contiene la verità di amore che è Gesù.

Dinanzi alla morte sentiamo il dovere di celebrare il dono e la bellezza della vita. Rivestiamoci dell’uomo interiore che si rinnova anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo e fissiamo lo sguardo sulle cose invisibili, vasi di creta come siamo e restiamo, tribolati, ma non schiacciati, sconvolti, ma non disperati, perché “la vita di Gesù si manifesta proprio nella nostra carne mortale. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio”. Tutto. Per questo oggi cantiamo con Maria il Magnificat, con le lacrime per avere sperimentato la crudeltà e l’ingiustizia del male ma anche con la serena consapevolezza che il dono che è stato Massimo non è perduto e come Maria vediamo la sua e la nostra umiltà sollevate dal Signore che vuole portarci in cielo.

Anna porta Samuele e lo presenta a Dio perché non se ne impadronisce e sa che tutto è suo. Massimo si è affidato fin da giovane al Signore come Samuele e la Chiesa lo ha accompagnato come questa madre, Anna, a servire Dio con tutta la sua vita, perché il vero amore non è possedere ma donare. “Che io impari a conoscere me da Te e Te da me. Io sono pieno di desideri e di debolezza. Il primo atto di fiducia è di preferirti a ogni desiderio. Te solo. Tu sai che io ti amo” diceva Paolo VI.

Ecco, proprio così ha cercato don Massimo, innamorato del suo sacerdozio, che ha donato tutta la vita, fin da bambino sotto la guida del suo parroco don Tarcisio a Longara. E questo ci lascia: la gioia e la consapevolezza di essere prete. E il Magnificat oggi lo canta tutta la Chiesa (diversi membri dell’Istituto Centrale, a iniziare dal presidente Soligo o dal vescovo Perego, si sono uniti a noi), la Chiesa di Bologna e in particolare le comunità che ha servito ed amato, la Sacra Famiglia e San Severino e poi come parroco Granaglione, Boschi, Molino del Pallone e Argelato, Casadio e Stiatico, la Chiesa di Carpi, della quale è stato pro vicario generale. Mons. Castellucci ci ha inviato un suo messaggio di partecipazione.

Lo ricordiamo cordiale, diretto nel suo pensiero, senza infingimenti; univa bonomia e fermezza, saggezza e buon senso, “tenendo botta” con amabilità, portando sempre tutto a Gesù, come deve essere, coraggioso e timido, sensibile e franco, senza però indulgere nel lamento amaro o nel pettegolezzo, ma sempre con semplicità costruttiva. Sì, “se Dio vorrà” e in conclusione l’immancabile “Gioia e felicità”.

Oggi è Massimo che ci aiuta a cantare con lui il Magnificat, Magnificat anima mea Dominum. Maria! Lo canta per sempre, ritrovando i suoi, il fratello, i tanti che ha amato e che hanno camminato con lui. Credo. Spero. Amo. Il Signore si è ricordato di te nella sua misericordia, per sempre e oggi ti innalza accanto a sé sul suo trono di amore. Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore.

Prega per noi, fratello caro, adesso che sei nella pienezza della vita. Nasci al cielo. Intercedi perché tanti scelgano di donare la vita nel ministero sacerdotale. Magnificat anima mea Dominum. Per sempre.

 

Bologna, Cattedrale
22/12/2021
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