funerali delle suore minime sr. Maria Grazia,sr. Corinna,sr. Rosangela

Bologna, parrocchia de Le Budrie

Siamo tutti ancora sgomenti. Da quando siamo stati raggiunti dalla notizia inaspettata e tristissima, siamo come smarriti; e non troviamo parole e ragionamenti umani che valgano a persuaderci. Per questo con vivissimo desiderio, quasi con avidità, stamattina ci poniamo in ascolto della parola di Dio, e ricerchiamo – nel rito funebre che la Chiesa maternamente ci propone – la serenità che ci può venire solo dalla misericordia divina.

Abbiamo inteso dalla pagina evangelica l’espressione dolente del nostro unico e vero Maestro: di fronte al progetto del Padre che gli assegna la sorte del chicco di grano (cui tocca morire e disfarsi nel solco perché la vita rinasca e si dilati), il cuore di carne del Figlio di Dio sembra quasi non reggere; di fronte alla prospettiva della croce che tra qualche giorno stroncherà la sua esistenza terrena, la sua natura di uomo non può evitare il lamento: “L’anima mia è turbata; e che devo dire?” (cf Gv 12, 27).

E così sentiamo che particolarmente in queste ore egli ci è vicino con la sua affettuosa attenzione di Redentore compassionevole e ci capisce nella nostra sofferenza di questi giorni. Come è avvenuto alla sua, così anche la nostra anima è turbata; anche le nostre labbra, come le sue, non trovano le parole adeguate: “Che devo dire?”.

Sarà dunque lui a darci la forza di aprirci al disegno misterioso di Dio, facendoci capire che è sempre un disegno d’amore anche quando include il dolore e la prova. Cercheremo quindi di imparare da lui, che ha saputo oltrepassare il proprio turbamento per accettare con perfetta docilità di figlio il suo destino di “Salvatore crocifisso”: “Che devo dire? Salvami da quest’ora? Ma proprio per vivere quest’ora io sono venuto” (cf Gv 12,27).

Il Signore Gesù – lo Sposo che si era scelte per sé queste tre creature, affascinandole col suo amore – ha, per così dire, rotto gli indugi; ha affrettato i tempi dell’incontro disvelato; non ha sopportato che il momento delle nozze eterne fosse ritardato più oltre.

Suor Maria Grazia e Suor Corinna si sono presentate all’appuntamento cariche di frutti preziosi: tutti i molti anni spesi nella fedeltà a colui che per primo è fedele e nella sollecitudine senza risparmio verso le necessità dei fratelli.

Suor Rosangela – arrivata a noi da un paese lontano, spinta dallo stesso ardore religioso e dalla stessa decisione di donarsi – gli ha portato in dote soprattutto il cumulo di propositi, il mare di speranze, la totale disponibilità a prodigarsi, che rendevano fervida e già spiritualmente ricca la sua giovinezza.

Lo Sposo divino, sempre altissimo e imprevedibile nelle sue decisioni, le ha accolte insieme in un solo abbraccio gratificante e le ha congiunte a santa Clelia che con il suo carisma e il suo esempio già le aveva rese sorelle.

Entrate nella vita eterna, esse sono già nella luce, già vedono le cose come stanno. Già si rendono conto che tutto ha un senso, anche ciò che sembra capitare per caso, e tutto è un dono, anche quello che il giudizio umano giudica una sciagura.

Noi però siamo ancora tra le nebbie e le oscurità del cammino terreno. Noi abbiamo bisogno che qualche bagliore di luce sovrumana ci faccia intravedere qualcosa del grande progetto del Padre. La parola di Dio, che qui è risonata, ha dato qualche chiarore alla nostra notte, invitandoci a mirare oltre il nostro buio e le inevitabili angosce.

Ci ha esortato a fissare i nostri occhi non nelle cose visibili ma in quelle invisibili, perché “le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne” (cf 2 Cor 4,18). Ci ha parlato di una “dimora eterna”, (cf 2 Cor 5,1), dove i nostri affetti spezzati potranno essere riannodati e ricomposti per sempre. Ci ha richiamato la convinzione, forte e centrale nella visione cristiana, che “colui che ha risuscitato il Signore Gesù risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui” (cf 2 Cor 4,14), insieme con quelli che sono stati così bruscamente strappati dal nostro fianco e dalla nostra amicizia.

Qui, da questa celebrazione, noi raccogliamo perciò l’annunzio di una risurrezione e la promessa di una gioia senza fine, che nessuna disgrazia potrà mai più sconvolgere o insidiare. Solo questo annunzio e questa promessa possono dare qualche sollievo non effimero e non illusorio a quanti siamo commossi e in lacrime davanti a questi feretri inerti e muti.

Noi adesso torneremo a elevare al Padre – a suffragio di chi se ne è andato in modo così drammatico e a consolazione di coloro che restano nella mestizia e nel rimpianto – il sacrificio del Figlio di Dio, che non è stato neppure lui risparmiato dalla morsa del dolore e dalla dura legge della morte. A lui chiediamo che guardi a queste vite repentinamente stroncate, alle nostre lacrime, alle lancinanti ferite del nostro cuore; e tutto accolga, tutto avvalori, associandolo alla sua stessa offerta da cui continuamente discende la salvezza del mondo.

02/09/2000
condividi su