ordinazione episcopale di mons. Elio Tinti

Bologna, Cattedrale

Grande è stasera la nostra emozione e la nostra gioia. Un figlio del popolo bolognese, un carissimo presbitero della nostra Chiesa, un benemerito educatore delle giovani speranze della diocesi petroniana, sarà immesso nella trama della successione apostolica.

Per noi – e più ancora per i fedeli di Carpi che l’attendono con impazienza – è un grande dono. Per lui è una vocazione altissima, una missione che lo coinvolgerà senza tregua e senza riserve, l’inizio di una responsabilità assillante e temibile.

Per il dono, ringraziamo il “Padre della luce”, l’autore di “ogni buon regalo dall’alto” (cf Gc 1,17); per la vocazione e il carattere sacramentale che lo segnerà, cominceremo da oggi a guardarlo con una venerazione nuova; per la missione che sta per ricevere, lo conforteremo con l’aiuto di una accresciuta amicizia; per la responsabilità di cui viene caricato, gli assicuriamo fin d’ora il nostro ricordo orante.

A lui, come erede e continuatore della funzione degli apostoli, viene oggi affidato il compito di essere maestro e garante della fede.

Il primo e fondamentale dovere del vescovo è appunto di custodire pura e integra la verità che ci salva, di proclamarla instancabilmente, di trasmetterla senza alterazioni.

Di questa verità salvifica egli non è il padrone; è piuttosto il servo, il testimone, l’irreprensibile e infaticabile banditore.

Lui per primo la deve cercare con la meditazione e lo studio. Per primo la deve contemplare affettuosamente fino a lasciarsi conquistare interamente dalla sua luce. E sarà, questa avventura spirituale, un’impresa d’amore: nascerà infatti dall’amore e alimenterà un amore sempre più intenso, perché la verità rivelata non è tanto un sistema di concetti e un patrimonio astratto di persuasioni, ma una persona vivente e adorabile; è la persona di colui che ha detto: “La verità sono io” (cf Gv 14,6).

In realtà, tutto il nostro essere cristiani si riassume nell’adesione a lui, il Figlio eterno del Dio vivo e vero, venuto sulla terra e fattosi figlio dell’uomo perché gli uomini potessero diventare figli di Dio. Questa appunto – esistenziale, concreta, palpitante – è la fede che il vescovo deve affermare, diffondere, garantire e difendere.

Egli sa, e non può mai dimenticare, che essa è per il suo popolo il bene più necessario e prezioso. Egli sa, e non può mai dimenticare, che – se per timidità di fronte all’arroganza delle ideologie mondane e all’insipienza delle deviazioni dottrinali e morali, o per l’incauto irenismo che non vuole inquietare nessuno, o nell’illusione che sia possibile conciliare tutte le posizioni – egli consentisse all’errore e all’equivoco di attecchire e di svilupparsi, procurerebbe al suo gregge il danno più grave e la sventura più radicale.

“Andate”e predicate il Vangelo a ogni creatura” (cf Mc 16,15). L’azione evangelizzatrice, assegnata come sollecitudine primaria agli apostoli, è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari. Il Signore non ci ha detto: “Predicate il Vangelo a ogni creatura tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama”.

Nessun timore di essere accusati di proselitismo (e dunque nessuna preoccupazione di apparire, come oggi si dice, “politicamente scorretti”), può indurci a restringere e mortificare il comando del Risorto: “Predicate il Vangelo a ogni creatura”.

Piuttosto, chi contestasse ai discepoli di Gesù la legittimità o anche solo l’opportunità di questo annuncio illimitato e inderogabile, peccherebbe lui di intolleranza nei nostri confronti, perché vorrebbe impedirci di essere quello che siamo, vale a dire “cristiani”; cioè obbedienti alla chiara ed esplicita volontà di Cristo.

E tanto forti sono il convincimento e la passione del vescovo nell’attendere a questo impegno, che egli quasi con naturalezza riuscirà a trasformare in evangelizzatori tutti coloro che si sono lasciati prendere dalla bellezza e dal fascino della parola di Dio, cui egli ha dato voce calda e persuasiva.

Con questo significato noi compiremo tra poco un gesto eloquente. Il libro dei vangeli resterà sul capo dell’eletto durante l’intera preghiera di ordinazione, per essergli poi consegnato con questa esplicita ammonizione: “Ricevi il Vangelo e annunzia la parola di Dio con grandezza d’animo e dottrina”.

Ma non solo annunciatore, maestro, garante della fede, caro don Elio, sei oggi chiamato a diventare, ma anche il centro, il cuore, il vincolo dell’intera comunione ecclesiale.

La Chiesa di Carpi attingerà dalla tua ferma speranza le ragioni e l’energia della sua speranza: tu la guiderai con mano dolce e sicura verso le incognite del ventunesimo secolo e del terzo millennio. All’ardore della tua carità, essa si attende di ravvivare il suo amore verso Dio e verso i fratelli. Dallo Spirito rinnovatore che oggi scende copioso su di te, attingerà una giovinezza nuova che le consentirà di andare lieta e fiduciosa incontro al suo avvenire.

Nell’unità di pensieri, di intenti, di operosa determinazione tra il pastore e il suo gregge, sta la premessa certa della prosperità di una famiglia di credenti. A Carpi i credenti, che sono autenticamente tali, già lo sanno; perciò hanno già cominciato a volerti bene e già sono decisi a seguirti.

Essi sono ben consapevoli di ciò che all’alba del cristianesimo sant’Ignazio di Antiochia scriveva ai cristiani di Filadelfia: “Quelli che appartengono a Dio e a Gesù Cristo sono tutti col vescovo”.

E tu, posto dallo Spirito Santo “come vescovo a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue” (cf At 20,28), già senti che la tua vita ormai appartiene tutta a quei fratelli che ti sono affidati.

Il tuo sarà, per la tua diocesi, un amore sponsale, sul modello del Signore Gesù che “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (cf Ef 5,25). L’anello episcopale, che metterò al tuo dito, ti ricorderà ogni giorno questa tua totale e irrevocabile donazione.

I vescovi qui convenuti, per invocare collegialmente su di te la luce e la forza dello Spirito di Dio, ti sono e ti saranno vicini con la loro fraternità, la loro affettuosa comunione, la loro preghiera.ordinazione episcopale di mons.

26/08/2000
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