Funerali mons. Enzo Lodi

“Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno”. Con affetto e riconoscenza, con la tenerezza che lo ha protetto in questi ultimi anni – e ringrazio di cuore tutta la Casa del Clero, le sorelle ed il personale che con amore sensibile hanno custodito la sua fragilità – celebriamo con don Enzo la sua ultima liturgia su questa terra e la sua prima pienamente in cielo. Nell’Eucarestia si unisce sempre la terra e il cielo e siamo orientati verso la vera meta del nostro cammino, perché la vita non è un cerchio che si chiude ma via che conduce alla casa del Padre.

“Quando oggi celebriamo l’eucarestia per un defunto, allora il pasto di comunione con il Signore significa che il defunto, pur avendo spezzato i vincoli con noi, sopravvive e partecipa in una comunione trascendente con Dio e attraverso il Cristo risorto anche con noi”, scrisse don Enzo. Gesù è la via che porta pazientemente le nostre povere vite alla comunione con Dio, radunando dalla dispersione, venendoci a cercare se perduti, spezzando il pane per aprirci gli occhi in vista di riunirci tutti nella casa dalle tante dimore, dove siederemo a mensa, alla stessa mensa di amore a nutrirci dell’unico pane di amore.

La mensa del cielo è come l’altro lato di questo altare dove condividiamo già oggi il pane del cielo, universale e intimo allo stesso tempo, mensa che continua nel pane terreno della condivisione e in quello della divina parola. Pregustiamo la fine verso cui andiamo e contempliamo già in pienezza la nostra comunione, l’essere una cosa sola, l’unità della Chiesa che “per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo” sarà riunita in un solo corpo. Ecco, come il grano sparso sui colli è diventato una cosa sola, lo diventiamo misticamente su questo altare, intorno all’altare, come anche nell’amore gli uni per gli altri. Come sottrarsi a questa comunione, interpretarla senza amarla, pensare di prendere e non di dare, offenderla anche solo con i silenzi o imponendo per orgoglio o maleducazione i propri convincimenti? Saremo una cosa sola. Viviamo questa dimensione che sarà la nostra.

Oggi don Enzo vede pienamente, senza diaframmi, nella pienezza della luce la Liturgia del cielo, la sua bellezza che “vedeva” da piccolo di Dio. È stata la sua passione, che ha trasmesso a generazioni di studenti e in molti modi anche alla Chiesa universale, vivendo la stagione, peraltro tanto legata alla Chiesa di Bologna, del Concilio Vaticano II, della riforma liturgica, fin dalla seconda metà degli anni ’50, anticipando alcune linee di quei cambiamenti, guidati dalla preoccupazione di non dissociare la liturgia dalla vita. Era libero dal sospetto per il quale ogni attentato all’unità della lingua latina era un attentato all’unità della Chiesa!

Con mons. Gherardi in seno al Centro di Azione Liturgica dell’arcidiocesi di Bologna, organismo al quale il card. Lercaro affidò il lavoro di riscoperta e rinnovamento liturgico, lavorò a lungo aiutando a preparare i libri liturgici in lingua italica, con stile e chiarezza. Lo ricordiamo accompagnato, preceduto e seguito da tanti aneddoti, che ci si tramandavano di anno in anno e oggetto spesso di ilarità e bonomia, peraltro mai smentiti, anzi confermati dal sorriso benevolo di don Enzo, sagace e disarmato allo stesso tempo, sempre con la sua amicizia e buon senso, affabile. Qualcuno ha scritto che era allo stesso tempo concentratissimo e distratto come pochi. Gli ricordai, pochi giorni fa, quello della sua macchina circondata dai vasi o panchine da qualche studente e della sua meraviglia, non so se del tutto inconsapevole, di essere entrato nel parcheggio e di non sapere come uscire. “Va bè, va bè” avrà aggiunto!

Anche lui amava raccontare con leggerezza degli aneddoti che gli argomenti trattati gli facevano affiorare alla memoria, come quando, parlando di adorazioni eucaristiche, si ricordò di un vecchio parroco della Bassa, legato ad un’interpretazione eccessivamente materialistica della presenza reale, il quale, preparando l’ostensorio, ero solito, prima di chiudere la teca, sussurrare un’accorata raccomandazione: “Signore, mò tirate ben su i piedi, che adesso chiudo!”. Immaginiamo tutti il suo sorriso e i suoi occhi candidi con cui accompagnava il racconto! Ha insegnato con tanta preparazione, attento anche alla cultura laica, con uno stile inimitabile, spiegando come al cuore della Liturgia non c’era l’esattezza dei gesti e dei segni, ma la loro verità, da ricercarsi con una certa libertà. Era molto attento alla partecipazione dell’assemblea, consapevole, sono sue parole, del distacco della pietà popolare ridotta a non comprendere il significato dei sacri riti.

Amava l’impostazione comunitaria della liturgia superando la tentazione, ricorrente anche fra le file del Clero, di ridurla alle sue forme esteriori e storiche, piuttosto che penetrarne lo spirito più genuino e profondo. Non una celebrazione fuori dalla storia ma la storia nel fascino e nella profondità della presenza e dell’azione misteriosa di Dio attraverso il simbolo e il rito. Per questo aveva una concezione dinamica della Liturgia che trascende ogni fissismo rubricale puramente conservatore che scambia la tradizione con la conservazione.

L’enorme patrimonio liturgico per lui non era affatto un tesoro da museo lontano dalla vita. Chi partecipava alla Messa a San Petronio o al santuario di San Luca, ove saliva fedelmente insieme ai sabatini, poteva cogliere dal suo raccoglimento la coscienza che aveva di stare alla presenza di Dio. Non era affatto nostalgico del passato bensì teso a vedere come la Tradizione aiuta i cristiani di oggi a vivere la celebrazione, particolarmente della Messa domenicale, la fonte e il culmine della vita di fede. Non uno spazio sacro fuori dal mondo, ma la presenza santa di Dio nella nostra vita concreta, dove i cristiani esercitano il loro sacerdozio attivo di membri dell’assemblea dei consacrati.

“Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno”. Ecco, caro don Enzo, oggi contempli pienamente quello che hai descritto, studiato, contemplato, il mistero di questa comunione che unisce Dio a noi e noi a Dio, amore che rende una cosa sola, come chiede l’amore stesso, amore che annulla ogni distanza e illumina ogni tenebra del cuore. Prega per noi, insegnaci a contemplare la grandezza di questo dono, a curare e trasmettere la bellezza della Liturgia, a raccogliere il grano troppo sparso sui colli. E prega in cielo perché tanti diventino ministri dell’altare e servi dell’amore gli uni per gli altri.

Bologna, Cattedrale
02/05/2022
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