Festa di Santa Caterina, patrona d’Italia

È proprio vero: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” per essere veramente uomini, per capire perché siamo a questo mondo, per rispondere alla chiamata “Seguimi” che è per ognuno, cioè per me. Sarà anche l’ultima parola, alla fine della vita: seguimi, tendi le braccia e lasciati condurre nella casa del Padre, padre mio e padre vostro. Ed è questo che ci fa essere noi stessi, che ci aiuta a trovare la vera interpretazione, quella che spesso rincorriamo e collezioniamo, peraltro sempre insufficiente. Il nostro io lo troviamo solo trovando il prossimo e l’Altro che è Dio.

Gesù chiama a seguirlo perché ama noi, non per possederci o usarci. Gesù chiama perché ama quel giardino che ha creato e affidato (“prestato” come scrive S. Caterina), che gli uomini profanano con la violenza e lo sfruttamento. Dio ama e quindi vuole rendere bella la vita dell’amato. Ecco la santità, che in fondo altro non è che l’amore nostro e di Dio, l’amore che ci ha messo dentro e che ci unisce a Lui, quello per cui siamo fatti e per cui non possiamo vivere come bruti. È proprio la sua immagine che ci rende unici e ci fa vedere gli altri come sono, fratelli tutti e non estranei o nemici. Spesso per sentirci unici ci isoliamo o viviamo di confronti, possedendo invece di regalare. La santità si vede in quello che abbiamo e doniamo agli altri perché è donando che capiamo chi siamo e per chi siamo (GE 24). Obbedendo a Dio, che è amore, facciamo emergere il meglio di noi, l’originale che siamo, “quanto di così personale Dio ha posto in noi”, quel progetto unico e irripetibile che Dio ha voluto, quella missione, “quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita” ha scritto Papa Francesco.

Cercare la nostra santità non è sforzarsi faticosamente di uscire da sé, come cancellando o annullando il proprio io, per diventare quello che non si è! Anzi. Questo succede, in realtà, quando seguiamo gli idoli del mondo, quelli che impongono i loro modelli e giudizi, quelli che curano l’apparenza e impongono l’osservanza degli stereotipi, degli influencer che ci fanno esaltare illudendoci e ci fanno sentire falliti quando non li raggiungiamo e che in realtà ci lasciano sempre insicuri perché non troviamo mai il nostro io. E la santità “ci porta a riconoscere la nostra dignità” perché ci rende umani “perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia”.

I santi sono gli esseri viventi di cui parla l’Apocalisse, che non vivono solo nel cielo, ma già qui, sulla terra. Tutti – perché la santità è per tutti, mentre la gloria del mondo seleziona ed esclude – possiamo diventare luminosi, viventi cioè capaci di trasmettere amore, vita. Non siamo santi perché perfetti. Anzi. Quanti guasti ha creato un’idea di perfezione che non ha niente a che vedere con la santità, perché raggiunta con i propri sacrifici ma senz’amore, attenti più a non sbagliare che ad amare per davvero, facendolo per noi stessi e non per gli altri, per la legge e non per la libertà!

Siamo perfetti solo perché amati, perdonati, persone che cercano, deboli e peccatori come siamo, di amare il prossimo. Siamo perfetti perché amiamo e ci lasciamo perdonare dalla sua misericordia e la facciamo nostra. Come S. Caterina. Oggi, più che mai ogni persona deve sentirsi non giudicata, ma compresa in maniera diversa dall’indifferenza del mondo.

Gesù non giudica e non si mette nemmeno a interpretare i discepoli che non avevano preso nulla. Li ama, conosce il nostro limite, a differenza di noi, riaccende in noi la speranza. È spesso la condizione nostra, l’esperienza amara della nostra limitatezza, delle contraddizioni, delle delusioni che sperimentiamo.

In questo giorno dedicato al lavoro penso tanto alla disoccupazione, al precariato, all’insicurezza che molto preoccupa e angoscia, e a quante morti avvengono proprio sui luoghi di lavoro.

In questa incertezza sentiamo tanto la memoria di Santa Caterina, con la forza dell’amore che ella continua a trasmettere, segnati come siamo dalla pandemia del Covid, la peste che anche lei dovette affrontare, e dalla pandemia della guerra, imprevedibile, temibile, dove il virus diventa l’uomo stesso, virus che uccide il cuore riempiendolo di odio e di morte, stordendolo con l’indifferenza o condannandolo alla violenza. È il male che ispira quella che Papa Francesco ha descritto crudele e insensata, fiumi di sangue e di lacrime, ricordando che “non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra che semina morte, distruzione e miseria”. In questa notte che tanto ci angoscia aiutati da Santa Caterina, la cui luce ispira fiducia e forza di amore più forte del male, sulla Parola di Gesù gettiamo di nuovo le reti, perché possiamo trovare i frutti desiderati contro il ragionevole scetticismo, rianimati dalla sua speranza, forti della fiducia che non ci fa arrendere.

Gesù ci pone sempre una domanda personale, alla quale non possiamo rispondere distrattamente, in maniera superficiale come uno dei tanti contatti rapidi, digitali, intensi e di scarsa durata. Per rispondere alla domanda “Mi ami tu?” dobbiamo essere davvero personali e profondi, come la sentì Caterina per tutta la sua vita, fortemente, in maniera assoluta – non è forse così l’amore vero? – tanto che amata amò intensamente, radicalmente perché l’amore non è mai mediocre, perché amore. “Mi ami?”. S. Caterina ci aiuta a rispondere: Ti amo con tutta me stessa e per questo amo i poveri, la pace, la Chiesa. Un amore così ci aiuta a non avere paura di amare e a cambiare questo mondo, che tanto ha bisogno.

Caterina è intelligente più dei sapienti perché è piccola. È forte, perché debole, libera dalle forze del mondo, piena di amore. Nella pandemia della peste non smise di aiutare. In quella della guerra cercò la pace. L’amore non si accontenta di cose modeste e rende grandi le cose piccole. “Se sarete ciò che dovete essere metterete fuoco in tutta Italia!”, ciascuno con la sua vita, oggi, proprio dove sta. “Munita di fede invitta, potrai affrontare vittoriosamente i tuoi avversari”, le dirà Cristo in quel rapporto di amore così profondo che è lo sposalizio mistico di Caterina. Chi appartiene a Gesù – ed è un problema di cuore – trova la vera forza che vince il male.

Vorrei ricordare l’amore per la Chiesa, “mamma e maestra” della quale difendeva l’unità, che amava e voleva bella, sempre piena di amorevolezza e carità, e solo per questo poteva anche rimproverare e esigere. Non parla della Chiesa come fosse un club dove sentirsi intelligenti per le proprie opinioni e ruoli, ma una casa dove abita la mamma e maestra che unisce ai fratelli, da rivestire di santità e di amore che diventa intelligenza per costruire, non per difendere le proprie ragioni. Sentiva il puzzo dei peccati e la vera riforma è stata aiutare Roma, che serve la comunione, e combattere il male che la divide e la intiepidisce.

A lei, patrona del nostro Paese e dell’Europa, affidiamo questo tempo così difficile, per sconfiggere la guerra di oggi, per insegnarci a ricordare le tante lezioni della pandemia, trovare il noi dell’essere uniti, sulla stessa barca, consapevoli di essere fratelli tutti e che solo insieme possiamo trovare il futuro. Caterina si rivolgeva senza paura ai potenti del suo tempo e metteva pace nelle controversie perché faceva esperienza della misericordia di Dio. Aiuti noi ad essere artigiani di pace, cambiando e disarmando il nostro cuore anzitutto, ma anche liberando il mondo dall’inquinamento dell’odio e del pregiudizio, dai tanti frutti di male e di incapacità a parlarsi amichevolmente che la guerra semina. Scegliamo di essere custodi del fratello, di non abituarci al male e di non essere indifferenti spettatori pensando al “salva te stesso”.

Oggi Caterina certamente griderebbe a tutti i governanti di lasciar perdere egoismi, interessi personali e di gruppo, e a tutti di essere coraggiosi nel “fare” la pace, nell’affrontare il male e nel vincerlo con la forza dell’amore. Caterina si rivolse al Papa Gregorio XI per incoraggiarlo a farsi promotore di pace tra i cristiani: “Pace, pace, pace, babbo mio dolce, e non più guerra!” (Lettera 218). Così scriveva a sovrani e principi, e non esitava a intraprendere anche difficili viaggi per indurre i contendenti a sentimenti di riconciliazione. Era scomoda, esigente, ma proprio perché piena di amore, come solo chi ama sa esserlo e può esserlo.

Caterina ci aiuti ad essere contemplativi, cioè profondi, capaci di guardare la realtà ma con tutto l’amore che Dio ci ha affidato, con il suo cuore, quello che Gesù le mise nel suo, amore di Gesù, ponte lanciato tra il cielo e la terra. “Il cuore mi si affoga nel pensare a te: ché dovunque io mi volga a pensare, non trovo che misericordia”. “Se sarete quello che dovrete essere, metterete fuoco in tutta Italia” (Lettera 368).

Il fuoco dell’amore liberi dalla guerra, bruci l’odio e la divisione, purifichi la Chiesa e i cristiani, accenda la speranza, illumini nel buio della disperazione. L’amore non è poca cosa, non è da ingenui. L’amore è tutto, è il vero realismo, è l’unica forza che cambia il mondo e lo protegge. Se saremo quello che dobbiamo essere metteremo fuoco di amore ovunque contro la pandemia del male, il fuoco di fratelli tutti.

Siena, basilica di San Domenico
01/05/2022
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