Omelia per la Festa della famiglia

Gesù torna e trova i suoi a porte chiuse. È normale: perché aprirle? L’individualismo fa chiudere al rischio del prossimo, perché la sua regola è “pensa per te” e “salva te stesso”. L’individualismo – che è il vero nemico della famiglia e dell’individuo stesso! – mette l’amore per sé divergente da quello per il prossimo. Ma noi non siamo un’isola e non servono isole allargate, ma ristabilire la relazione tra io e noi, tra l’amore per sé e quello per Dio e il prossimo.

Se non c’è amore ci si chiude, ci si protegge, si può stare insieme ma non si è insieme. La paura, infatti, rende in realtà prigionieri, condiziona, arma i giudizi e le mani, fa crescere la diffidenza, fa sentire in diritto di essere aggressivi perché piccoli e fragili anche quando non lo si è. Da soli non si vince la paura! E questo è vero per noi ma, ricordiamocelo, anche gli altri non la vincono da soli e dobbiamo noi aiutarli, rassicurando e andando noi incontro a loro! Anche la stessa famiglia non trova se stessa chiudendosi! «Non posso ridurre la mia vita alla relazione con un piccolo gruppo e nemmeno alla mia famiglia, perché è impossibile capire me stesso senza un tessuto più ampio di relazioni». «Il legame di coppia e di amicizia è orientato ad aprire il cuore attorno a sé, a renderci capaci di uscire da noi stessi fino ad accogliere tutti. I gruppi chiusi e le coppie autoreferenziali, che si costituiscono come un “noi” contrapposto al mondo intero, di solito sono forme idealizzate di egoismo e di mera autoprotezione» (FT 89). Per questo Gesù entra e apre le porte chiuse e per questo ci manda, cioè ci chiede di uscire.

Apriamo le porte, con l’attenzione, col dialogo, con la carità, con la misericordia. Non si sconfigge la paura con una verità astratta, con una spiegazione erudita o con un amore ridotto a regola, ma con un amore concreto, personale, vicino a noi e al prossimo. Senza amore restiamo succubi del male che incute paura perché è forte, imprevedibile, spegne la vita e conferma il facile dubbio che è inutile amare. La forza delle delusioni, ad esempio, dura sempre, sconsiglia qualunque fiducia, rende tutto provvisorio, fa arrendere alle prime difficoltà che si ripresentano, fa chiudere proprio per evitare altre delusioni. Ecco perché Gesù risorto con molta pazienza – sapendo che la paura e la delusione non si vincono facilmente, è paziente, perseverante – torna tra i suoi. Non si fa cercare: ci cerca. I discepoli avevano già ascoltato il Vangelo, cioè che Gesù era risorto, ma aspettano senza fare nulla. Quella che rimane chiusa è la porta del cuore.

Quando sentiamo l’amore del Signore avremo dei dubbi, delle domande cui faremo fatica a trovare risposte; saremo provati dalla fragilità e dalla sofferenza tanto che davanti alle tempeste del male così forti, saremo agitati dalla paura, ma saremo forti perché la forza del cristiano, l’unica forza che vince il male, è l’amore. Il Signore viene e ci porta la pace, ce la affida. Non è non avere problemi, evitarli lasciandoli agli altri, facendo finta che non ci riguardino, scaricandoli, rimandandoli – durerebbe poco e sarebbe solo una parentesi – ma è pienezza della vita, gioia non perché non ci siano più problemi e li abbiamo risolti tutti (non la avremmo mai, quindi!) ma perché siamo amati, abbiamo trovato noi stessi, la fraternità, il valore della nostra vita. Questa è la pace.

Non c’è pace da soli e per questo non c’è pace con le porte chiuse, che spesso, anzi, aumentano la divisione e la paura. Gesù, vivo, ci dona il suo amore, la nostra pace, perché Lui ha abbattuto i muri di divisione per amore nostro e ha aperto la via del cielo, facendoci sentire infinitamente amati da Dio, amore che vince il buio.

Gesù a Tommaso e a tutti noi mostra le sue ferite. La sua non è una pace senza storia, finta, una vita pornografica, un’altra vita perfetta perché senza vita! Mostra le ferite della vita vera, ma trasformate dall’amore in amore più forte del male. Non c’è Pasqua senza le ferite. ma non ci sono ferite senza Pasqua, senza resurrezione. E questa è in realtà una responsabilità che il Signore affida a noi discepoli di ogni tempo. Possiamo, insomma, non scappare dalle ferite, dalla sofferenza, salvando noi stessi, come se questo fosse una condanna irreparabile, definitiva.

Oggi sentiamo vicina, fisicamente nostra, la ferita terribile, insopportabile dell’Ucraina, sofferenza tremenda, inaccettabile, spietata, bestemmia di Dio che è autore della vita, ancora più amara proprio nei giorni della sua passione e resurrezione. È una bestemmia costruire croci togliendo la vita e continuare a farlo proprio nel giorno in cui si celebra il Signore ucciso e risorto proprio per sconfiggere il male. Così non c’è Pasqua, ma solo venerdì santo.

La resurrezione, come l’amore, è una porta che ci spinge verso gli altri, oltre noi stessi e oltre i limiti. Ecco l’invito di oggi e della Pasqua: famiglia mettiti in gioco! Famiglia puoi metterti in gioco! Famiglia sei l‘unico gioco, perché la resurrezione è vittoria sul male che divide, ed è un gioco nel senso che coinvolgendoci impariamo a stare bene, a comunicare l’amore di Gesù e a viverlo nelle relazioni tra noi. Queste cambiano e saranno fortissime se piene dell’amore del risorto, se siamo e saremo suoi familiari, pieni del suo spirito, non mediocri! Famiglia mettiti in gioco e rendi la Chiesa famiglia. Se la Chiesa è famiglia le nostre famiglie saranno in grado di vivere il Vangelo. E viceversa. Viviamo la Chiesa come la nostra famiglia!

Tommaso torna e trova i suoi pieni di gioia. Forse è proprio questo che irrita Tommaso! La gioia appare un’esagerazione eccessiva, ingannevole. È diventato cinico. Tommaso non vuole riaprire le sue ferite. Forse avrà avuto qualcuno che lo interpretava e gli diceva di proteggersi, di pensare a sé, di non credere più a niente. La gioia, l’amore gli sembrano impossibili. Tommaso risponde in maniera rozza. Non si fida più e adesso esiste solo quello che sperimenta direttamente e che lo riguarda direttamente. Tommaso non crede più all’amore e si sente in diritto di non soffrire più. Si pensa da solo! È l’individualismo il vero nemico, con i suoi consulenti cari e pagati profumatamente! Gesù gli mostra proprio le sue ferite e lo invita a toccarle. Gli propone l’ultima beatitudine, cioè felicità che non finisce, che non si logora, che nessuno può rubarci: credere anche quando non vedi, non credere solo perché hai visto –  Che amore sarebbe e che fede sarebbe? – ma proprio perché hai fede vedi quello che ancora non c’è. Non credi nell’amore perché lo senti, non perché hai tutte le prove (non basterebbero mai e alla prima difficoltà finirebbe l’amore!). Tommaso trova finalmente il suo amore personale, interiore. E lo trova perché è il primo che dice “mio Dio”. Sì, è davvero mio e nostro, ci lega a Lui e ai suoi fratelli. E noi dobbiamo essere credenti altrimenti cosa avremmo da dire? Quando sentiamo la sua misericordia capiamo la nostra vita e siamo pieni della sua forza, quella che rimargina tante ferite, che sconfigge tanta solitudine, che fa sentire nelle difficoltà l’amore di Dio e quanto soffre con noi, che rende la famiglia sua famiglia e le due cose sono legatissime.

Beati siamo noi se crediamo alla luce quando ancora c’è il buio. Beati siamo noi quando sentiamo il suo amore e non crediamo perché vediamo ma vediamo perché crediamo. Quante delusioni come Tommaso. Tanti fallimenti, per motivi diversi. Gesù non mostra una vita impossibile. Non si mette a interpretare all’infinito le ferite – quante volte finiscono per diventare un modo per non aprirsi alla gioia, per fare girare tutto intorno a sé, per non curarsi del prossimo e per medicalizzarsi, perché le nostre ferite le curiamo con l’amore, ma da dare! Le ferite della vita vera non sono una condanna. Dobbiamo crederci.

Non cerchiamo una famiglia perfetta che non esiste, ma quella bellissima con le sue ferite risanate dall’amore di Cristo e dall’amore che Lui ci dona. La famiglia è icona di Dio, ha detto Papa Francesco. Per questo rimettiamoci in gioco, accogliendoci e accogliendo. Una famiglia che non si pensa solo per sé, ma per gli altri. Come per chi ascolta Gesù, come per Gesù stesso che dona tutto se stesso e trova tanti doni. Questo ci aiuterà ad affrontare le tante sfide, come ad esempio l’educazione dei figli, la protezione dei più deboli, degli anziani, aiutarci nelle difficoltà.

Rendiamo la Chiesa una famiglia e la nostra famiglia sarà una casa dove vivremo l’amore di Gesù. Chi crede ed è pieno dell’amore gratuito di Dio trasmette misericordia. Oggi più che mai il Signore chiede a noi tutti di testimoniare la luce della misericordia, perché le persone e il mondo possano risorgere ad una vita di pace, perché abbiamo tutti una grande necessità di misericordia gratuita, perché possiamo rendere la Chiesa una famiglia, quella che ci permette di essere amici di Gesù e forti del suo amore nelle nostre famiglie. E poi ricordiamoci che dobbiamo rendere il mondo una famiglia! Trattiamo tutti come sono, nostro prossimo, e noi saremo familiari ed essi ci compariranno i nostri più cari!

San Giorgio di Piano, Piazza Indipendenza
24/04/2022
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