Gesù Salvatore Pane di vita

Il tema che avete scelto per la vostra celebrazione della Decennale vi porta al centro stesso della nostra fede: Gesù Salvatore Pane di vita. Quando gli angeli notificano ai pastori la nascita di Gesù, lo fanno colle seguenti parole: «oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» [Lc 2,11].

Svolgerò la mia riflessione in due parti. Nella prima cercherò di spiegare il senso delle parole: “Gesù è il nostro salvatore”; nella seconda cercherò di farvi vedere che cosa tutto questo ha a che fare con l’Eucarestia.

Gesù è il salvatore.

Quando noi diciamo: “salvezza; salvatore; sono/siamo stato/i salvato/i”, pensiamo subito ad una situazione di pericolo dalla quale, appunto, siamo stati salvati oppure – è un termine sinonimo – liberati.

Ora che la nostra vita possa trovarsi in condizione di pericolo, solo un bambino può ignorarlo. Pericoli di ogni genere. Ne elenco solo alcuni, nell’ordine con cui mi vengono in mente: pericolo di ammalarsi; pericolo di incorrere in incidenti stradali se usiamo abitualmente l’automobile; pericolo di perdere il lavoro. E così via.

Naturalmente l’uomo ha messo in atto tutta una serie, un complesso di strumenti per evitare i pericoli in cui incorrere, o comunque per uscirne. La medicina preventiva e/o curativa è l’opera dell’uomo per evitare il pericolo della malattia o guarirne. Potremmo dire: la medicina mi “salva dalla malattia”. Al fine di evitare gli incidenti stradali lo Stato ha promulgato il Codice stradale, rispettando il quale molti incidenti sono evitabili. Potremmo dire: il

[rispetto del] Codice stradale mi “salva” dagli incidenti. E così via.

Vorrei ora farvi scendere più in profondità, per farvi prendere coscienza di un pericolo molto grave in cui si trova ciascuno di voi. Facciamo questa discesa in profondità riflettendo molto attentamente su un fatto a voi ben noto: il tradimento di Pietro.

Pietro – come ricordate – si venne a trovare in una situazione drammatica: o mettere in pericolo la sua vita fisica dicendo la verità [«sì, conosco quell’uomo che voi dite; sono suo discepolo ed amico»] oppure negare la verità [«non conosco quell’uomo che voi dite»] salvando la propria vita. Noi sappiamo come andò a finire: Pietro ha tradito! Riflettiamo profondamente su questo fatto. Senza volere, ho usato una parola: “salvare

la propria vita”. Ma a quale prezzo? Tradendo, negando la verità.

è accaduto in Pietro un fatto tragico. Egli, in realtà, dicendo che non conosce Gesù, che per altro conosce molto bene, non devia solo dalla verità. Pietro ancora più, devia da se stesso: più che l’amico ha tradito se stesso rinnegando se stesso. Ha detto il falso circa se stesso. Non solo. Pietro è pienamente consapevole che l’autore di questo tradimento di se stesso è lui stesso: è lui, non altri, che ha deciso di tradire

se stesso tradendo l’amico. E Pietro piangerà per tutta la vita.

Alla luce di questa narrazione evangelica, proviamo ora a guardare dentro di noi. Ci troviamo non raramente nella situazione di Pietro. Mi spiego.

Ciascuno di noi vive la seguente esperienza: vede ed approva dentro di sé ciò che è bene, e poi sceglie di fare il male. La nostra libertà nega nei fatti ciò che la nostra coscienza ha affermato come vero. Vorrei che faceste attenzione. Non sto parlando di verità del tipo: il Nilo è più/meno lungo del Mississippi; su Marte è possibile/impossibile la vita. Sto parlando di verità che riguardano la realizzazione della propria umanità;

di verità che riguardano il bene della persona. Verità del tipo: è indegno della tua umanità commettere un’ingiustizia verso chi è più debole perché non può difendersi; è indegno della tua umanità tradire la fiducia di tua moglie commettendo adulterio. Tuttavia – lo sappiamo bene – i più piccoli e i più deboli sono più esposti alla prevaricazione; gli sposi tradiscono e commettono adulteri.

In una parola: la persona umana è sempre nel rischio di fallire nella realizzazione della sua umanità, poiché la sua libertà può sempre negare nei fatti ciò che la coscienza ha affermato come vero. «Quindi l’uomo è se stesso attraverso la verità. La realizzazione della verità decide della sua umanità e costituisce la sua dignità» [K. Woitila, Segno di contraddizione, ed. Vita e

Pensiero, Milano 1977, pag. 133].

Siamo arrivati ad un punto centrale della nostra riflessione. Che l’uomo possa ammalarsi è un pericolo serio; che chi usa l’auto possa avere un incidente stradale è un pericolo serio; che in una situazione economica critica l’uomo possa perdere il proprio lavoro è un pericolo serio. E che l’uomo possa perdere se stesso? E che l’uomo possa rinnegare se stesso? Non è forse questo il pericolo più grave di tutti? «Io non vedo nulla

a cui paragonare la grande bellezza di un’anima e la sua immensa capacità e, in verità, il nostro intelletto, per quanto acuto, difficilmente arriverà a comprenderla» [S. Teresa d’Avila, Castello interiore I, 1 in Opere complete, Paoline, ed., Milano 1998, pag. 858].

Dal pericolo della malattia mi salva la medicina; dai rischi di incidenti il Codice stradale; dal rischio della disoccupazione una migliore organizzazione economica: e dal pericolo di perdere me stesso chi mi salverà? è esattamente la stessa domanda che si fa Paolo: cfr. Rom 7,24.

Quando diciamo che Cristo è il nostro salvatore, noi diciamo: Cristo mi salva dal pericolo di perdere me stesso.

Fermiamoci ancora un momento, per penetrare sempre più profondamente il senso di queste parole. Possiamo vivere bene e possiamo vivere male, una vita buona o una cattiva vita. Bene/male, non nel senso dell’avere: vivo bene perché  ho, posseggo …; ma nel senso dell’essere: vivo bene perché sono felice, in quanto vivo nella vita vera. Sono sposato: viviamo un vero amore coniugale; sono genitore: viviamo un vero rapporto coi figli; vado ogni

giorno a lavorare: vivo il mio lavoro non come una schiavitù; mi sono ammalato: anche se non guarisco, trovo un senso nella mia sofferenza. Chi vive così, vive bene qualunque sia … il conto corrente che ha in banca. Chi non vive così, vive male. Vive bene perché realizza veramente la sua umanità; vive male perché rinnega la sua umanità [ricordate Pietro: non gli restò che il pianto]. Gesù è il nostro salvatore perché ci

libera dal rischio di vivere male; di rinnegare la propria umanità; di dilapidare e perdere se stesso.

Gesù nostro pane.

Dobbiamo ora compiere un passo avanti nella nostra riflessione, domandarci: in che modo  Gesù mi salva?

Immaginiamo che una persona incapace di nuotare camminando lungo un fiume scivoli in acqua: il suo destino è segnato, morire annegato. Immaginiamo che fosse in compagnia di un amico esperto nuotatore che invece rimane sulla riva. Questi per salvare l’amico ha in teoria tre possibilità: insegnargli da riva come si fa a nuotare; buttargli una corda dicendo di stringerla; buttarsi lui stesso in acqua, stringere l’amico e portarlo a riva.

Iddio ha liberato l’uomo incapace di salvarsi buttandosi Lui stesso in acqua; abbracciando stretto l’uomo che stava annegando; portandolo in salvo a riva. In questa metafora è racchiusa tutta la storia della nostra salvezza.

Dio si è buttato in acqua: ha assunto la nostra stessa natura e condizione umana. La nostra salvezza ha il suo principio e fondamento nell’incarnazione del Figlio unigenito.

Il Dio fattosi uomo abbraccia stretto l’uomo che stava annegando: ha condiviso in tutto – escluso il peccato – la nostra vicenda umana fino alla morte.

Il Dio fattosi uomo e morto porta in salvo l’uomo: egli introduce la sua umanità nella sua piena realizzazione, cioè risorge. Come vedete: la morte e la risurrezione di Gesù sono il fatto che ha veramente salvato la nostra umanità.

Tuttavia resta ancora senza risposta, nel senso che dirò subito, la domanda da cui siamo partiti: in che modo Gesù ci salva? Resta inevasa per almeno due ragioni.

In realtà, chi è morto e risorto è Gesù; non sono io che sono risorto. Ho narrato cioè una storia accaduta a Gesù; di cui fu protagonista Gesù. Ed io?

Non solo, ma venti secoli di tempo mi separano da quell’avvenimento. è ora che io rischio di perdere me stesso; è oggi che devo essere liberato dal rischio di fallire nella realizzazione di me stesso: dal rischio di vivere infelicemente.

Non basta che esista la medicina appropriata ed efficace perché il malato guarisca. Deve essere data la possibilità di venirne in possesso e di assumerla: come venire in possesso della forza guaritrice dell’umanità crocefissa e risorta di Gesù ed assumerla? Sono già in acqua e sto annegando, come posso abbracciarmi ad uno che è vissuto venti secoli orsono?

La risposta a questa domanda è la seguente: è la Chiesa che predicandomi il Vangelo e celebrando l’Eucarestia mi da la possibilità di essere oggi abbracciato da Cristo; di venire in possesso della forza guaritrice presente nell’umanità crocefissa e risorta di Cristo e farla mia. La Chiesa è oggi la presenza di Cristo, che si accosta ad ogni uomo e cammina con lui perché non si perda.

Non possiamo ora sviluppare completamente questo punto. Mi limito al tema specifico di questa sera: la Chiesa rende presente Cristo oggi in grado eminente, celebrando l’Eucarestia. Ogni volta infatti che si celebra l’Eucarestia si compie l’opera della nostra salvezza: Cristo diventa nostro salvatore diventando pane eucaristico.

Dobbiamo ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica circa l’Eucarestia. In forza della mirabile trasformazione del pane nel Corpo offerto del Signore e del vino nel suo Sangue effuso noi diventiamo presenti al sacrificio di Cristo sulla Croce. I venti secoli che ci separano da esso sono superati.

Mangiando il suo Corpo e bevendo il suo Sangue noi veniamo trasformati in Lui. Concretamente la nostra mente, il nostro modo di pensare viene trasformato nel suo; la nostra libertà, l’esercizio della nostra libertà viene sempre più assimilato al suo.

I padri della Chiesa chiamavano l’Eucarestia «medicamento contro la morte». La morte è in fondo il capolinea di un’esistenza vissuta male. Le scelte sbagliate, nel senso indicato sopra, sono come germi seminati nella nostra persona che ci conducono all’autodistruzione. S. Paolo le chiama il “pungiglione della morte”. L’Eucarestia è l’antibiotico spirituale: uccide in noi quei germi patogeni che ci inducono a compiere scelte sbagliate.

Ricordate un rito suggestivo che compiamo nella notte pasquale? La Chiesa è completamente buia: brilla solo il cero pasquale. Ciascuno di noi accende la propria candela dal cero ed il diacono canta: la luce di Cristo! Questo avviene quando riceviamo l’Eucarestia. è la Luce che è Dio, la quale brilla nelle nostre tenebre, e noi ne siamo intimamente illuminati.

Conclusione

Ho paragonato la condizione dell’uomo alla condizione di un uomo caduto in acque vorticose, che vede la riva ma non è capace di raggiungerla. Chi di noi non desidera il bene, la giustizia, la bellezza, il vero amore? Ma nello stesso tempo dove si trova?

Ed allora che cosa fece Iddio? Lascio la parola a S. Agostino: è una pagina stupenda.

«Ã¨ come se qualcuno riuscisse a vedere da lontano la patria, ma ci sia il mare che lo separa da essa. Egli vede dove deve andare, ma gli manca il mezzo con cui andare. Così è per noi che vogliamo pervenire a quella stabilità nostra, dove ciò che è è, perché questo solo è sempre così com’è. C’è di mezzo il mare di questo secolo attraverso il quale dobbiamo andare, mentre molti non vedono neppure

dove devono andare. Perciò affinché ci fosse anche il mezzo con cui andare, venne di là Colui al quale volevamo andare. E che cosa  ha fatto? Ha preparato il legno con cui potessimo attraversare il mare. Infatti, nessuno può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. A questa croce potrà stringersi, talvolta, anche chi ha gli occhi malati. E chi non riesce a vedere dove deve andare, non si stacchi dalla croce, e

la croce lo porterà».

[Commento al Vangelo di Giovanni II, 2]

Questa sera abbiamo cercato di avere una qualche comprensione della salvezza donataci da Cristo. Ed abbiamo visto che aggrappandoci a Lui mediante la partecipazione all’Eucarestia possiamo attraversare il mare non raramente in tempesta della vita, senza fare naufragio. Lasciamoci portare dall’Eucarestia e non affonderemo.

29/05/2006
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