Giornata della vita consacrata

Oggi è un giorno di riconoscenza e di lode per la luce che Dio ci ha mostrato, che ha illuminato i passi del nostro vagare e che continua nelle diverse stagioni della nostra vita a rendere visibile il cammino. È una luce che rende luminosa la nostra vita, più di quanto pensiamo. È un dono poterlo fare assieme, carismi diversi, come le tante, davvero infinite fiamme dell’unico Spirito accese in ognuno di noi. Le riconosciamo, senza scandalizzarci come a Nazareth ma senza falsa modestia nei tratti concreti della nostra vita!  Si ringrazia sempre se riconosciamo un io e un tu e farlo ci aiuta a capire meglio l’uno e l’altro! Non sa ringraziare un legalista, l’osservante di una legge, che anzi, caso mai, rivendica titoli e meriti. E sappiamo quanto è facile accontentarsi di questo, evitando il rischio di amare e di farsi amare. Si ringrazia solo nella libertà, quando cioè non c’è costrizione o obblighi imposti, direttamente o meno, da qualcuno che esige il riconoscimento e fa sentire la sua superiorità o il nostro debito. Costui strapperà qualche complimento, spesso vuoto, ma certo non il ringraziamento sincero. Il Signore si fa trovare come un innamorato che sembra lo incontriamo per caso e invece ci ha aspettato a lungo, conosceva il nostro cuore, le nostre abitudini, i desideri più profondi. Dio è grazia, non si impone, non ricatta, si lascia umiliare pur di avere il nostro amore, che non può non essere libero. Ringraziare per non essere prigionieri della tristezza che ci rende prigionieri del negativo, che persuade a mettere la luce sotto il moggio. Siamo voluti ed amati e questo amore si trasforma con noi, non diminuisce, diventa con gli anni più largo, profondo, si libera dal “comparativo”, dal confronto che tanto lo immiserisce.
Se noi sogniamo, i giovani sogneranno. Ecco la luce che sentiamo nel nostro cuore e che ci fa guardare con gli occhi di Gesù le messi che già biondeggiammo anche se spesso restiamo con rassegnazione o tiepido realismo a calcolare quanto manca. L’amore di Dio è sempre nell’oggi e illumina l’oggi. Scriveva Antoine de Saint-Exupéry: «Le pietre del cantiere sono un mucchio disordinato solo in apparenza, se c’è, perduto nel cantiere, un uomo, sia pure uno solo, che pensa a una cattedrale». Anche uno solo! Ecco chi dobbiamo essere: uomini della speranza che lavorano perché già vedono la cattedrale e che sono gioiosi nella fatica. Costruiamo una casa di amore per tanti e non una delle tante cose per il benessere individuale! Per questo ci sacrifichiamo con gioia, perché sappiamo, “vediamo” che sarà bellissima e coinvolgiamo tanti a costruirla! Non possiamo essere profeti di sventura che, magari con mal posta intelligenza e tanto zelo, non sanno vedere che rovine e guai. Scegliamo di essere “generativi” non per la nostra potenza, che quando la cerchiamo ci riempie solo di presunzione o di tante attività, ma perché illuminati dalla luce che dona gli occhi che” vedono”! Quanto c’è bisogno di uomini e donne luminosi, forti, pieni di speranza, senza agitazioni perché pieni di amore, umani che non cadono nell’inganno della paura. Uomini pieni di amore e per questo amabili ed in cui le capacità di sempre e quelle nuove, frutto tutte dell’amore incontrato, permettono di parlare la lingua del cuore, quella che ognuno capisce nella sua lingua. Certo, conosciamo e a volte misuriamo la tentazione amara di restare prigionieri dei problemi, tanto che a volte diventiamo disillusi, spenti, credendo che la nostra luce, pur accesa sempre come i nostri claustri, non interessa e non attragga. La nostra non è una luce che si impone, non abbaglia: è calda, tenera, resistentissima, piena di fiducia verso l’altro perché accesa da un Dio che si fa bambino. In una vita mutevole, in un mondo del provvisorio, dove tutto è relativo  perché si vive isolati e idolatri dell’io e dove si ha paura a capire che solo diventando relativi con l’Altro e con gli altri si trova il proprio io, in un mondo dove la vita dei deboli viene scartata e non commuove, proprio in un mondo così, capiamo il senso della nostra santità, la gioia di essere suoi e di prendere noi in braccio questo Dio bambino. “La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia”, ci ricorda Papa Francesco (GE 24) e così scopriamo il senso della nostra vita trovando qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Ecco la gioia di essere pieni della luce accesa “per illuminare le genti”, quella che libera dall’ombra della morte e indica un cammino sicuro sulla via della verità e dell’amore. “Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione”. Le nostre contraddizioni, i nostri limiti umani diventano, pieni di amore, motivo di vicinanza, perché noi non testimoniamo noi stessi, né una dottrina o una formula ma il Signore che continua, con peccatori come siamo, a compiere le grandi cose possibili agli umili che si fanno innalzare da Lui. Siamo piccoli che fanno cose grandi, non mediocri perché confidano nelle proprie forze. Siamo anche vecchi e limitati, ma non smettiamo di sognare, di trasmettere amore vero. La nostra perfezione non è perdere l’umanità per una che è tanto lontana da non interessare, ma quella di Gesù, di peccatori amati e resi nuovi. Siamo credibili non perché perfetti, perché amati nella nostra debolezza. Siamo consacrati, chiusi nel chiostro ma aperti al mondo, attenti ai segni dei tempi, con un’umanità che può sembrare paradossale ma che rende umani. La povertà mostra come le ricchezze del mondo non hanno potere su di noi, ci aiuta a scoprire che poco è tanto, che non siamo consumatori e come troviamo il necessario di cui in realtà abbiamo bisogno.  In un mondo che insegue gli infiniti piaceri dell’io, abbiamo un amore libero dai legami del possesso per amare liberamente pienamente e umanamente Dio e gli altri, tanto che non siamo isolati da nessuno e godiamo di tanta fraternità. Il mondo fa credere che siamo noi stessi quando seguiamo la nostra ispirazione e facciamo quello che vogliamo, mentre noi scegliamo l’obbedienza umile come libertà vera dall’egolatria perché ci pensiamo insieme nell’amore a cui abbiamo legato la nostra vita. Non è un’altra volontà che si sostituisce alla nostra e per la quale perdere la nostra obbedendo. E’ questione di amore, non di ruoli o regolamenti! Una persona della burocrazia ministeriale di Roma si è illuminata quando ha capito che nel fare la sua volontà troviamo la nostra ed ha pensato fosse come i documenti che richiedono la doppia firma per essere validi! La sua e la nostra, una cosa sola e l’una ha senso se c’è l’altra. Come nell’amore. Andiamo in pace come Simeone per regalare pace, senza gli affanni dei protagonisti che parlano di sé e affrancati dalla tristezza che ci rende sterili. I nostri occhi hanno visto e come Anna senza diaframmi e con tanta fiducia parliamo con la nostra vita del suo amore, per essere noi epifania di Dio nell’oggi di una Chiesa che cambia e di un mondo che ha tanto bisogno di riconoscere la sua luce che si rivela alle genti. Davvero la “Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. Chiediamo al Signore la grazia di non esitare quando lo Spirito esige da noi che facciamo un passo avanti; chiediamo il coraggio apostolico di comunicare il Vangelo agli altri e di rinunciare a fare della nostra vita un museo di ricordi. In ogni situazione, lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia contemplare la storia nella prospettiva di Gesù risorto. In tal modo la Chiesa, invece di stancarsi, potrà andare avanti accogliendo le sorprese del Signore.

02/02/2019
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