inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Regionale Flaminio

Bologna, auditorium Santa Clelia

Il messaggio di verità e il riverbero di grazia, che sono stati offerti alla cristianità e all’intera convivenza civile dal Giubileo delle famiglie, celebrato in Roma lo scorso ottobre, possono aiutarci a cogliere per qualche aspetto non secondario il senso profondo dell’attività del nostro Tribunale Ecclesiastico per le cause matrimoniali.

Il tema di quella grande assise – e perciò anche del magistero di Giovanni Paolo II ribadito in quell’occasione – concerneva “i figli: primavera della famiglia e della società”. Guardare le vicende coniugali sottoposte al giudizio del Tribunale Ecclesiastico proprio alla luce di questo convincimento umano e cristiano, offre una prospettiva preziosa alla nostra comprensione di una realtà esistenzialmente fondamentale, qual è il matrimonio.

L’elevato numero di unioni sponsali che vengono dichiarate nulle a motivo dell’esclusione della prole, anche se può sembrare paradossale, conferma la plausibilità di quell’asserto. L’apertura intenzionale all’eventualità dei figli da parte di chi contrae il patto nuziale appartiene infatti alla natura stessa del matrimonio; e vi appartiene in modo così essenziale, che la sua deliberata mancanza ne comporta la vanificazione.

Questo è, del resto, un principio tanto radicato nell’essere di ogni uomo e di ogni donna, che finisce prima o poi con l’emergere nella coscienza psicologica e morale non irrimediabilmente alterata, anche superando a volte stratificazioni ideologiche o scelte comportamentali, che in partenza facevano ingannevolmente anteporre al dovere di trasmettere la vita l’irrinunciabile realizzazione personale o la soddisfazione dei propri particolari interessi. Il rifiuto della prole da parte dei coniugi, in realtà, si rivela in ultima analisi come la rinuncia a dare significazione primaria e valore costitutivo allo stesso loro rapporto interpersonale, alla loro donazione sponsale, al loro stesso vivere, pellegrinare e soffrire entro la misteriosa avventura terrena.

A incrinare in molti le naturali e ragionevoli persuasioni su questo argomento ha concorso fortemente l’ossessivo terrorismo antidemografico, che ha imperversato da noi negli ultimi quarant’anni, portando l’Italia al poco lusinghiero primato mondiale della denatalità, senza che in sede di legislazione, di governo, di politica fiscale siano stati mai predisposti quei provvedimenti correttivi ai quali nel frattempo molte nazioni europee, più sagge e più lungimiranti, sono ricorse.

Oggi si comincia da parte un po’ di tutti ad accorgersi dei gravi costi – anche soltanto in campo sociale, economico e previdenziale – che ci sono inflitti da questa insipienza davvero mirabile e singolare.

Il tema giubilare de “i figli: primavera della famiglia e della società” ci sollecita poi a un’altra riflessione: quella sull’intrinseca ingiustizia perpetrata nei confronti, appunto, dei figli dalla dominante cultura divorzistica, ispirata e alimentata da una mentalità esasperatamente individualistica, e oggettivamente posta al servizio, nella più parte dei casi, dell’egoismo degli adulti.

La rilevante percentuale dell’esclusione della indissolubilità quale capo di nullità del matrimonio – di coloro cioè che già al momento del matrimonio mettono in conto la possibilità di recidere il vincolo coniugale – fa capire che il divorzio non è concepito tanto come rimedio a situazioni insopportabili, quanto come riserva nei confronti della persona che si ama e che si vuol sposare.

A pagare il prezzo più alto di questa concezione aberrante sono incontestabilmente i figli. Ha detto il papa lo scorso ottobre alle migliaia di famiglie presenti in piazza San Pietro: “I bambini non sono già fin troppo penalizzati dalla piaga del divorzio? Quanto è triste per un bambino doversi rassegnare a dividere il suo amore tra genitori in conflitto! Tanti figli porteranno per sempre il segno psicologico della prova cui li ha sottoposti la divisione dei genitori”.

Ogni uomo, e quindi ogni aspirante uomo, ha bisogno della famiglia, cioè di un padre e una madre, per potersi riferire a entrambe le figure, nella complementarità dei doni. “No, non è un passo avanti nella civiltà – ha detto ancora il papa – assecondare tendenze che mettono in ombra questa elementare verità e pretendono di affermarsi anche sul piano legale”.

I bambini che vivono oggi nelle nostre regioni hanno sì la fortuna di essere gratificati di proteine, di vitamine, di cure mediche, di giocattoli sofisticati, persino di computer; ma poi in troppi casi sono derubati del loro diritto primario, più semplice e più sostanziale, di avere cioè un solo padre e una sola madre, uniti, concordi, collaboranti nella grande opera della loro educazione e della loro maturazione umana. E’ sperabile che questi nostri bimbi abbiano almeno la compassione degli angeli in cielo, poi che è così scarsa per loro la compassione degli uomini in terra.

Compito del Tribunale Ecclesiastico è anzitutto quello di attenersi alla normativa canonica sul matrimonio nella sua interpretazione costante e uniformemente condivisa; e su questa base valutare i singoli casi. Non di meno il riferimento alla legge ecclesiale, che esplicita e riafferma la natura indeformabile del matrimonio, diventa per noi occasione provvidenziale di un vaglio salutare delle opinioni soggettive diffuse e delle pretese legittimazioni sociali, così da offrire alla comunità degli uomini un preciso parametro che ne orienti le scelte.

Mentre esprimo la più viva riconoscenza, anche a nome di tutti i vescovi delle regioni interessate, per quanti con diverse funzioni e a vari livelli attendono al lavoro del Tribunale Ecclesiastico Flaminio per le cause matrimoniali, dichiaro aperto nel nome del Signore l’anno giudiziario 2001.

15/02/2001
condividi su