ordinazione diaconi permanenti

Bologna, Cattedrale

La nostra comunità diocesana oggi si allieta della generosa disponibilità di alcuni nostri fratelli, che sono venuti qui, consigliati e rassicurati dalle loro guide spirituali, a offrirsi per un impegno serio, esigente e definitivo, qual è l’ordine del diaconato.

“Diaconato” – lo sappiamo tutti – vuol dire “servizio”: questo, carissimi, è il convincimento elementare e previo, che non dovrete mai dimenticare in tutti i vostri anni a venire. Bisogna proprio che di questo siate persuasi sino in fondo al cuore: nella Chiesa non c’è gerarchia, non c’è autorità, non c’è superiorità di un uomo sugli altri uomini se non in loro servizio.

Essere diaconi vuol dire essere “servi” anche e prima di tutto di colui che solo è il Signore. Siamo tutti servi di Cristo: non tocca dunque a noi definire il piano di salvezza e le sue modalità sostanziali, ma a colui che è l’unico Salvatore; non tocca a noi individuare le strade e i mezzi irrinunciabili e più efficaci dell’arte pastorale, che pur siamo chiamati a esercitare, ma a colui che è il “Principe dei pastori” (cfr. 1 Pt 5,4).

A noi tocca meditare assiduamente la sua parola, assimilare la sua mentalità, cercar di capire i suoi gusti – mantenersi insomma in una totale comunione con lui – in modo che il nostro ministero appaia testimonianza trasparente dell’amore redentivo del Figlio di Dio crocifisso e risorto, e sia strumento docile della sua azione di rinnovamento e di santificazione.

Questa essenziale “relatività” e dipendenza del lavoro apostolico, che è di quanti sono irrevocabilmente segnati dall’ordine sacro, si specifica ulteriormente per voi: il diacono – che pur è chiamato a istruire i fratelli con l’annuncio evangelico, a scortarli sulla via del Regno di Dio, a partecipare attivamente al conferimento del dono sacramentale – non è mai un “protagonista autonomo” entro l’assemblea dei credenti: in tutto ciò che fa nell’adempimento della sua missione, egli agisce costantemente in connessione non solo col vescovo, che resta il suo riferimento primario, ma anche col presbitero con cui collabora, e segnatamente col parroco del territorio sul quale egli svolge la sua attività.

Appunto perché vi colloca in posizione di servizio e di subordinazione, la prerogativa di cui venite ogni insigniti non costituirà oggetto di molto apprezzamento e di molta invidia da parte di chi non si lascia ispirare dalla fede nei suoi giudizi. Il “mondo” anzi farà fatica a capirvi, dal momento che, persino con quelle tra le sue iniziative che sembrano più altruistiche e disinteressate, esso insegue quasi sempre il potere, il tornaconto, il prestigio. Perciò non vi riuscirà facile intendervi con i vari dominatori della scena sociale, perché voi siete e dovete sempre mantenervi diversi.

Di tutto ciò il Signore ci ha chiaramente avvertiti, quando ha detto: “I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere, e in più si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve” (cfr. Mt 20,24; Lc 22,25-26).

Dal rito odierno voi venite mandati all’umanità – secondo la parola che vi compete nell’azione liturgica – come annunciatori della pace evangelica; e dunque anche come operatori di pace e come fautori della civiltà dell’amore.

Ma anche a questo proposito non dovete farvi illusioni: il “mondo” – che verbalmente esalta la pace, la solidarietà, l’universale accoglienza – nei comportamenti effettivi dà spudoratamente spazio e favore alla violenza nelle molteplici forme in cui essa si manifesta ai nostri giorni. Sicché mi vien da ripetere anche a voi quanto il Signore Gesù diceva agli apostoli: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16).

Soprattutto non cedete alla tentazione di assimilarvi alla logica antievangelica di chi è indotto a rispondere per le rime a chi ingiustamente ci attacca e ci calunnia. Come dice san Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene” (Rm 12,21).

Il Signore Gesù sulla croce, agnello innocente che si sacrifica per tutti, anche per coloro che lo oltraggiano e lo mettono a morte, sia sempre sotto i vostri sguardi e sia l’attenzione costante del vostro cuore, perché possiate conformare sempre di più a lui l’intera vostra vita.

Ma non crediate di venir oggi arruolati in un esercito che abbia come suo destino la sconfitta e come suo programma soltanto la rassegnazione. Al contrario, voi siete inviati ai fratelli a proclamare la vittoria finale e definitiva di Cristo e di coloro che sono di Cristo.

Voi siete servi e ministri di uno che, avvicinandosi all’ora della sua passione, ci ha detto con piena verità : “Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).

Il vostro servizio ha come contenuto sostanziale ed emergente il Vangelo della Pasqua: il Crocifisso del Golgota è risorto, ed è il Signore dell’universo e della storia. Ce lo ha richiamato la seconda lettura: se smarriamo la certezza della risurrezione di Gesù, non soltanto rendiamo vana tutta la nostra fede (cfr. 1 Cor 15,17), ma l’intera condizione umana resterebbe senza senso e senza speranza.

Siate perciò sempre, nel vostro ministero, soprattutto proclamatori persuasi e persuasivi del trionfo del Signore Gesù, re di pace e di amore: così sarete gioiosi voi, pur nelle prove e nelle incomprensioni, e sarete efficaci e benedetti seminatori di gioia tra gli uomini.

Sarete allora come l’uomo, lodato dal profeta nella prima lettura, che pone tutta la sua fiducia in colui che ha vinto il peccato, la morte e ogni tristezza umana: “Egli è come l’albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti” (Ger 17,8).

11/02/2001
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