Intervento al Congresso nazionale Anpi

Oggi è un giorno davvero speciale. Roma ricorda l’eccidio della Fosse Ardeatine, i martiri caduti per la libertà della Patria. “Credo in Dio e nell’Italia / credo nella risurrezione / dei martiri e degli eroi / credo nella rinascita / della patria e nella / libertà del popolo”, sono le parole incise sulla parete di una cella di tortura, in Via Tasso, a Roma, durante l’occupazione nazista. Papa Benedetto in visita al sacrario disse: «Chi ha scritto quelle parole l’ha fatto solo per intima convinzione, come estrema testimonianza alla verità creduta, che rende regale l’animo umano anche nell’estremo abbassamento».

Oggi poi è l’anniversario dell’assassinio di mons. Romero, Vescovo di El Salvador, che aveva detto: «Soldati, vi supplico, vi prego, vi ordino: non uccidete i vostri fratelli!». Il giorno dopo venne ucciso mentre celebrava la Messa. Turoldo scrisse di lui: «Ucciso infinite volte dal loro piombo e dal nostro silenzio. Ucciso per tutti gli uccisi, ucciso perché fatto popolo, ucciso perché facevi cascare le braccia ai poveri armati, più poveri degli stessi uccisi».

Ringrazio del vostro invito. È occasione per confrontarci, per comprendere cosa le radici ideali del nostro Paese consigliano in momenti che impongono scelte decisive come quelle che abbiamo di fronte. Il Pnrr e la pace, perché le pandemie possano essere sconfitte e trasformate in opportunità per migliorare l’unica casa comune del mondo. L’orizzonte, infatti, è il mondo: siamo costretti a confrontarci con il mondo, a capire quello che siamo aprendoci e non chiudendoci! La vostra associazione intende custodire i valori che animarono la lotta che portò alla liberazione dalla pandemia della guerra, che si abbatté sul mondo, in particolare in Europa, che l’aveva causata. Quest’anno sono 75 anni dall’approvazione della Costituzione, il 22 dicembre 1947. C’è un filo che unisce il 25 aprile, il 2 giugno e la Costituzione, filo da non indebolire, tanto più in un momento di grande incertezza, sia con appropriazioni esclusive sia con distinguo che ne mettono in discussione le basi e l’unità di tutti.

In un momento di scelte alte, che richiedono concordia, capacità di visione e di ideali, un confronto appassionato ma condiviso per riparare le tante fragilità rivelate dalle pandemie, penso che ripartire da questi ideali sia indispensabile. Occorre superare il rischio di confondere il confronto ideale con l’ideologia, che lascia poco spazio al cambiamento e alla costruzione, che tende ad escludere l’altro, a nutrire sospetti e incapacità di collaborazione, che fa sentire dalla parte giusta ma in realtà condanna all’autoreferenzialità. La grandezza della Costituzione era proprio la scelta di un Paese dove le idee di ciascuno erano garantite dalla libertà di tutti e dove, però, anche i diritti individuali avevano sempre un corrispettivo collettivo, perché non si affermasse mai l’individualismo, pericolosa stortura che rende la persona una monade senza il riferimento che lo unisce al prossimo. Le pandemie del virus e della guerra (della quale ci accorgiamo drammaticamente perché investe direttamente il nostro continente e con delle proporzioni inedite e contorni imprevedibili e minacciosi, ma che non deve cancellare tutti gli altri conflitti) ci impongono rigore e unità.

Nelle pandemie quello che sembrava impossibile è accaduto, rivelando le debolezze, i rimandi, le deleghe, i personalismi, le chiusure che indeboliscono l’organismo e rappresentano il terreno di cultura per il germe della violenza, nutrito dall’enfasi nazionalista. Il nazionalismo, infatti, significa odio e violenza, pregiudizio e contrapposizione, tanto che i carnefici passano per vittime, gli invasori liberatori, gli aggressori aggrediti (cercano il nemico da combattere e con cui non parlare), così diverso dall’amore per il proprio Paese e da un genuino sentimento patriottico, del quale il nazionalismo è la deformazione, la caricatura, spesso la strumentalizzazione. Il nazionalismo significa che non abbiamo imparato dalle severe lezioni degli ultimi conflitti. Perché non amiamo la nazione Europa?

È anche vero che le pandemie rivelano ciò che è saldo, le radici profonde, i valori del nostro Paese e dell’Europa. Sono questi i valori di quanti hanno combattuto contro il fascismo e il nazismo, credendo alla libertà, ad un futuro migliore, al ripudio della guerra. Morendo hanno gridato: mai più la guerra!

Non dimentichiamo certo le terribili atrocità commesse nei mesi successivi alla liberazione, non in nome di quei valori, anzi, tradendo questi. Credo sia un dovere della nostra generazione – che è quella che conserva ancora gli ultimi testimoni e ne ha ascoltato la memoria diretta – di trasmettere la storia, la drammaticità, le sfumature, la complessità ma anche una vera riconciliazione, la presa di distanza senza se e senza ma da ogni violenza. Ogni violenza arrivi a capirla ma non puoi mai giustificarla. Dobbiamo liberare dal seme della violenza: ecco la responsabilità che viene da tanto dolore. Facciamo risaltare ancora di più la grandezza di quei valori cercando, se possibile, una coraggiosa riconciliazione, liberandosi da pesi che possono sempre causare infezioni e odi, ingiusti per vittime sulle quali spesso si è gettato il sospetto, doppio tradimento della verità.

Desidero ricordare l’unico drammatico episodio che ha avuto un coraggioso e commovente incontro – tutt’altro che buonismo o embrassons nous ma giustizia davvero riparativa – quello dei parenti del giovane seminarista Rivi e di quanti hanno contribuito al suo assassinio. C’è più coraggio in questo che nel pensare di stare dalla parte giusta!

«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Il rischio è che la logica della guerra – perché è una logica nutrita dagli interessi sporchi del mercato delle armi – prevalga e faccia dimenticare le radici della Costituzione. La guerra si ripudia: non è solo “rinunzia” ma “ripudio” cioè un rifiuto intimo, interiore, dettato da convinzioni profonde e convinte. Non dobbiamo organizzare la pace, così come altri organizzano la guerra? Mazzolari chiedeva di guardare non alle ideologie, ma al dolore della gente e parlava della Resistenza come il compimento del Risorgimento. «Fra tante tristezze e disgrazie, l’adozione della Patria da parte del popolo è l’avvenimento consolante della nostra storia. Ora che gli umili sono saliti verso un’idea di Patria, che può essere amata da tutti perché è un bene di tutti e non sta contro nessuno neanche con quei di fuori, il Risorgimento è compiuto», scrisse.

Possiamo perdere sovranità per ridare forza a ciò che unisce, l’Europa, l’Onu, una architettura internazionale capace di risolvere i conflitti e prevenirli. «Chi non vede il bisogno di giungere così, progressivamente, a instaurare un’autorità mondiale, capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico?» si domandava Paolo VI testimone di quella generazione. «Non gli uni contro gli altri, non più, non mai! L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!», disse.

Voglio ricordare con riconoscenza David Maria Sassoli, che volle recarsi nel luglio scorso a Fossoli, con la Presidente della Commissione Europea, tedesca, e lì affermò che «la nostra Europa nasce dal punto più basso di dolore della nostra storia contemporanea, dal grido delle madri che in tutti i nostri paesi, a qualunque fronte appartenessero, ogni qualvolta hanno ricevuto la notizia di un figlio morto hanno urlato “mai più la guerra”. Quello che è accaduto è il risultato di società consapevoli dei diritti, ma incapaci di farli prevalere contro i pregiudizi e gli odi. Società che si credevano migliori del proprio vicino, esasperando un antagonismo che ha trasformato l’amore per la propria terra in nazionalismo fanatico e criminale». Aggiunse che «non possiamo permetterci di sottovalutare le manifestazioni di odio, violenza, discriminazioni che si manifestano nello spazio europeo. In fondo, c’è qualcosa che unisce il passaggio di testimone di allora, tra i resistenti, liberatori e le vittime innocenti, con quello di oggi: aprire ai giovani la porta di un domani migliore. Tutto questo ci richiama alla nostra funzione di sentinelle del domani dei nostri ragazzi. Solo così onoreremo le donne, gli uomini, sulle cui spalle siamo potuti salire per godere di un destino diverso».

Ha detto Papa Francesco ai movimenti popolari – e l’Anpi mi sembra possa farne parte a pieno titolo – che sono «un esercito che non ha altre armi se non la solidarietà, la speranza e il senso di comunità, che rifioriscono in questi giorni in cui nessuno si salva da solo. Voglio che pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità e sull’accesso universale a quelle tre T per cui lottate: tierra, techo e trabajo. La nostra civiltà, così competitiva e individualista, con i suoi frenetici ritmi di produzione e di consumo, i suoi lussi eccessivi e gli smisurati profitti per pochi, ha bisogno di un cambiamento, di un ripensamento, di una rigenerazione». Ecco la prospettiva.

Vorrei terminare con Padre David Maria Turoldo: “Il fascismo è uno stato d’animo”. La Resistenza per Turoldo non si è mai conclusa: per lui è «l’avvio di un percorso di vita che non avrà mai fine sia perché la libertà non è definitiva e deve essere difesa e ricostruita giorno per giorno, sia perché coinvolge l’esistenza umana in tutte le sue espressioni».

Chiediamo di lottare contro la violenza, ma senza diventare né violenti né indifferenti. Chiediamo di essere dalla parte dei poveri, ma capaci di parlare con tutti. Chiediamo di scegliere un impegno radicale e senza compromessi ma libero dalle scorciatoie del massimalismo. Chiediamo un impegno attento alla persona, ma anche ai diritti della comunità e del mondo tutto. Chiediamo di comprendere la complessità, ma senza perdere la chiarezza della scelta. Chiediamo di difendere i valori della libertà e del valore di ogni vita e di ogni persona, dall’inizio alla fine, pagando con l’onestà, la serietà, lottando contro la disuguaglianza che produce violenza, contro l’ingiustizia, senza mai abituarsi a questa, vincendo l’ipocrisia dei diritti dichiarati e non garantiti, aprendosi a tutti i popoli della terra per riconoscere il bene e la bellezza che sono nascosti in ognuno di essi, per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranza comune. Chiediamo Fratelli tutti, perché solo questo è il nostro futuro! E questo era il testamento dei nostri padri!

Riccione, Palacongressi
23/03/2022
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