Intervento alla presentazione del libro “Ubi fides ibi libertas”

Non ho mai conosciuto personalmente il Cardinale Biffi. Vivendo nelle stanze dove ha abitato mi capita spesso di immaginare la sua presenza, il suo tratto. Lo ricordo sempre nella preghiera, insieme a tutti i miei predecessori. Avevo conosciuto i suoi libri, mi era ben nota la sua figura. Ho imparato a conoscerlo soprattutto dai suoi frutti, ben evidenti nella Chiesa e nella città di Bologna. Questo libro aiuta tutti a comprenderne la grandezza. La sua lettura è emozionante, perché ci immerge nella relazione che univa persone, molto diverse tra loro, con il Cardinale e che ci aiutano una comprensione più ravvicinata della sua umanità. Questo ci aiuta a comprendere e apprezzare ancora di più la sua riflessione e dottrina. Il libro non ha la pretesa di offrire una prospettiva storica, pur così necessaria per il ruolo così importante nella Chiesa della seconda metà del XX secolo. E’ il prossimo impegno degli autori! Queste pagine, introdotte dalle parole del Papa emerito Benedetto XVI, certamente ci aiutano a comprendere la sua personalità, con l’immediatezza dei ricordi e con alcune prime letture d’insieme. Molti descrivono il suo tratto segnato da un’essenzialità ambrosiana – per parte di madre lo conosco bene anche io – mai privo di rispetto, sempre così intenso e sincero. Guazzaloca parla con intatta emozione delle sue lacrime il giorno del commiato. Brambilla ricorda il cuore, l’affabilità, la cordialità, la docilità alla Chiesa (“Chi è ordinato presbitero non fa progetti per il futuro. Farà quello che gli si dirà”). E’ come un mosaico di legami e di prospettive che riflettono la sua storia, la sua testimonianza e l’intelligenza del suo servizio e della sua riflessione teologica e pastorale. E’ un poliedro di persone molto diverse tra loro, segno della ricchezza della sua personalità e anche della comunione della Chiesa, che unisce sensibilità diverse in un amore più grande. Ricordando il Cardinale ripercorriamo tanta parte della storia recente della Chiesa e anche di quella della nostra città, forse con qualche ripianto per una dialettica così forte, ispirata a valori alti e in difesa di questi. Non possiamo capire il nostro presente senza pensare a lui e senza il suo amore indiscusso per il Vangelo e per la Chiesa. Biffi è una delle stelle di quel laboratorio singolare che è stata e che è la nostra Chiesa di Bologna. Lo ricorderemo l’11 luglio, giorno della sua scomparsa, in Cattedrale, insieme al Cardinale Caffarra. Questo anno, inoltre, sarà impreziosito dall’anniversario di altre due “stelle” che nella comunione risplendono sulla nostra realtà, i 40 anni dalla morte di Lercaro e i 20 di Dossetti. Tre carismi tutti così importanti, certo diversi tra loro ma tutti figli della Chiesa e di questa Chiesa di Bologna. Farlo ci aiuterà a sentire la forza della comunione e anche a guardare con più fiducia alle sfide che ci aspettano, alle domande che necessitano una risposta, sempre nella tradizione e nel confronto con i segni dei tempi.  La tradizione, infatti, che unisce le varie generazioni, è tutt’altro che fissità! Quella sarebbe la conservazione, tentazione che possiamo avere sia personalmente sia come realtà. La tradizione deve aiutare a interrogarci, come suggerisce Papa Francesco. Si diventa, altrimenti, conservatori nelle abitudini profonde che ci dominano e sono difficili da cambiare, quelle del “si è sempre fatto così”, del fastidio per il solo riaprire discorsi, del difendersi con stereotipi che falsano la realtà che ci fanno credere di conoscerla mentre questa si è trasformata e noi semplicemente non la sappiamo capire più. La tradizione non ha paura di confrontarsi con la realtà, con le domande vere; ci aiuta, anzi, a capirla sfuggendo alla tentazione della superficialità, aiutandoci a comprendere le correnti che richiedono, come il Cardinale Biffi, intelligenza, amore per il prossimo e per la Chiesa. La conservazione rimane muta, ci fa chiudere e quindi ammalare, perché resta impermeabile e diventa sorda alle domande della realtà. Non si tratta di cambiare la dottrina, anzi, ma di sapere donare all’uomo che incontriamo oggi la verità che riceviamo. C’è un seme che resta, che va oltre ognuno di noi, questa è la tradizione. Sono convinto di quanto è nella sapienza evangelica: raccogliamo dove altri hanno seminato. E la nostra capacità deve essere proprio quella di sapere raccogliere i frutti di altri e seminare a nostra volta, continuando quella che lui chiamava, come ricorda Mons. Vecchi, “navigazione a vela”. Il cardinale Biffi ci ha lasciato tanto.
Tra i molteplici aspetti riportati dai vari contributi al libro uno è presente quasi in tutti: l’umorismo del Cardinale. Da uomo libero, perché di Cristo, era pieno di ironia, capacità di non adeguarsi mai al politicaly correct. Per niente ideologico, le sue analisi erano “spoglie di fronzoli e genericità concordistiche e faceva venire” e facevano venire “voglia di andare ai fondamentali”, come scrive Pierluigi Bersani, aiutati dalla sua “sorridente brutalità”. L’allora presidente della regione Emilia-Romagna racconta come “in un incontro si lamentò con me (amministratore regionale comunista!) del silenzio dei parroci sui Novissimi. Nessuno se la sente più di annunciare la morte e il giudizio, l’inferno e il paradiso. A me venne in mente di dirgli che purtroppo conoscevo parecchi dirigenti della sinistra che non sentivano più l’urlo delle ingiustizie!”. Bersani commenta che “l’umorismo di Dio governa le cose”. Era la convinzione del Cardinale. Quanto è vero! Io ho l’impressione che Dio è umorista e noi sappiamo ridere poco, anzi, comprendiamo sul serio quando dobbiamo sorridere e pensiamo scherzi quando dobbiamo cambiare! La sua era un’intelligenza curiosa e insofferente. Papa Francesco direbbe inquieta. Biffi era capace di usare, come scrive Ravasi, la “spezia dell’ironia”, che diventa “fremito elettrizzante della critica netta allo stereotipo, all’asserzione scontata, al luogo comune codificato, all’enfasi retorica”. Credo che fosse la cosa che gli desse più fastidio, come le banalità da salotto, verso le quali non aveva accomodamenti a costo di risultare graffiante. Non ometteva di cogliere i limiti delle persone, per lo spirito di verità, aggiunge il Cardinale Re. A volte poteva apparire negativo, ma sempre certamente stimolante e appassionato.
Forse più di tutto quello che ha condizionato la comprensione del Cardinale è stata, lo dico con grande rispetto per la professione che era anche quella di mio padre, una sua lettura “giornalistica”. Disperata lo disse commentando dati che indicavano l’Emilia come la regione che aveva il numero doppio di suicidi rispetto alla media italiana. Alcune frasi finiscono per essere estrapolate dal contesto e diventano esse il contesto, come fossero la sintesi di tutto un pensiero! Biffi, che peraltro non cercava di apparire ed era disinteressato dalla notorietà “a tre palle e un soldo” come riporta Paolo Francia, non si sottraeva ai commenti. Punzecchiava con il gusto per le sue frasi lapidarie e efficaci ed offriva la sua personale lettura dei fatti e della realtà. Era il suo amore per la verità, che comporta diceva “una fiera e irriducibile ripugnanza per ogni presentazione sviata della realtà”. “Senza amore per la verità non c’è vero amore”. L’umorismo unisce, diceva, “il distacco dalle situazioni concrete e la simpatia per la quale si partecipa col cuore alla vicenda umana che pur si domina e si sovrasta”. “Il senso dell’umorismo- concludeva – se è rettamente inteso come  la risultante del distacco dalle cose e della carità è il fondamento e il vertice di un seria vita religiosa”. Umorismo misericordioso, allegria compiaciuta accompagnata dalla pietà, buon umore che “è contagioso”. L’umorismo, l’ironia permette di stemperare, di non dare importanza, di ridurre i problemi e allo stesso di allargarli, di non prenderci troppo sul serio e di lasciare fare ad altri, a Dio, il suo mestiere. Ad una domanda di Magister sull’ironia rispondeva che ” più che l’ironia o il sarcasmo, io amo l’umorismo vero, tipo quello di Alessandro Manzoni che sto rileggendo in questi giorni. L’umorismo non si fa travolgere dalla vicenda e nello stesso tempo vi partecipa. I due elementi legano difficilmente e per questo è una merce rara. Tant’è vero che riesce bene solo a Dio: il lontanissimo e insieme il presentissimo, come diceva sant’Agostino.
Alla festa per i suoi 80 anni con fine umanità commentava: “Arrivato a questa età  ho imparato a dire meglio, con più senso, l’ultima parte dell’Ave Maria (superando la mia anteriore superficialità e spensieratezza): “Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen”. Si è congedato dalla Diocesi dicendo: “Scusate per il disturbo e grazie della compagnia”. Noi lo ringraziamo per la tanta compagnia che continua a offrirci con la sua fede e umanità. Certamente la sua preghiera ci accompagna dal cielo.

14/06/2016
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