La persona con disabilità. Risorsa nella comunità ecclesiale

In tutte le realtà la presenza di chi è diversamente abile aiuta a trovare abilità, a cercare garanzie che servono in realtà a tutti, come ad esempio una migliore qualità di relazioni umane o maggiore sicurezza sul lavoro. La mentalità consumista, però, disprezza nei fatti la vita che non corrisponde a requisiti come la forza, il benessere, l’autosufficienza, l’attrattività e finisce per spogliare di valore la persona, per umiliarla, tanto che diventa uno scarto. “Presentarono dei bambini a Gesù, perché li accarezzasse ma i discepoli sgridavano” (Mc 10,13). E’ il problema di oggi, perché ancora la domanda di tenerezza, di comprensione, di protezione, di sicurezza viene allontanata anche dagli stessi discepoli di Gesù. Quante volte i disabili, e con loro quindi tutti, sono allontanati o azzittiti, tanto che essi stessi pensano di avere qualche colpa, non disturbano, credono giusto non chiedere! Basta a volte solo uno sguardo di sufficienza o semplicemente insistente per far sentire un peso, poco opportuno, inutile, strano. E’ sufficiente il paternalismo, che fa sentire buoni chi lo esercita, ma priva di significato chi lo subisce. Eppure è proprio questa richiesta – che appare eccessiva ai discepoli scrupolosi tanto che credono così di proteggere il maestro, la sua verità, il suo tempo, le cose importanti che deve fare e dire – che ci fa capire la misericordia di Dio! Papa Francesco, durante i recenti esercizi spirituali per i preti, ha detto che “l’unico eccesso davanti all’eccessiva misericordia di Dio è eccedere nel riceverla e nel desiderio di comunicarla agli altri. Il Vangelo ci mostra tanti begli esempi di persone che esagerano pur di riceverla. Sempre la misericordia esagera, è eccessiva! Le persone più semplici, i peccatori, gli ammalati, gli indemoniati sono immediatamente innalzati dal Signore, che li fa passare dall’esclusione alla piena inclusione, dalla distanza alla festa”.  E’ esattamente quello che ci insegnano i nostri fratelli.
Tutti siamo chiamati a scoprire ed accogliere il loro dono, non solo alcuni cui la comunità cristiana rischia di delegare ad alcuni il compito della fraternità. Possiamo forse essere fratelli per procura? Possiamo lasciarlo agli “esperti”? Nell’Evangelii Gaudium si ricorda che (199) “Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso”. I disabili chiedono questo: essere una cosa sola con l’altro. E poi se non si accoglie e non si gareggia a stimarci a vicenda si finisce per allontanare e per disprezzare, tanto che diventano, con o senza eleganza, degli scarti.
Le persone con disabilità ci evangelizzano proprio come i fratelli più piccoli che ci fanno scoprire la carne di Cristo e ci aiutano a vivere quell’ortoprassi senza la quale le nostre dichiarazioni e i nostri intenti diventano un atroce inganno per noi e un’esclusione di fatto per loro. Esse ci insegnano a vivere il Vangelo, a comprenderne il vero significato, liberandoci da presunzioni, giudizi e distinzioni offensivi e ipocriti. Esse chiedono e vivono una comunità ecclesiale meno anonima, capace di rassicurazione nelle paure, più vicina, più comunicativa, meno “condominio”, tenera, più attenta alla fragilità di ognuno, più affettiva. Essi ci chiedono quello sguardo di vicinanza, quell’amicizia sociale, in una generazione così segnata dall’anonimato e allo stesso tempo, come scrive Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (169) “spudoratamente malata di curiosità morbosa”. I disabili ci chiedono e insegnano “l’arte dell’accompagnamento”. Del resto noi tutti abbiamo bisogno di essere accompagnati, generati, guidati, di non essere lasciati soli perché è sempre vero e per tutti che “non è buono che l’uomo sia solo”.
Essi chiedono e vivono il Vangelo, finalmente un Vangelo tutto davvero per tutti! E questo non è affatto scontato!  Il dibattito che a partire dagli anni ’80 si è sviluppato nella Chiesa cattolica sull’accoglienza dei disabili nella comunità ecclesiale e sulla loro partecipazione ai Sacramenti non è ancora acquisito. Spesso essi sono ancora de factco considerati presenza passiva, secondo alcuni tollerata, tanto che i pareri divergono sull’ amministrazione dei Sacramenti. Qualcuno giudica inutile la loro partecipazione, invocando una pretesa comprensione intellettuale e della volontà del soggetto che vive la comunità o riceve il Sacramento. La tentazione di ridurre la fede a cerebralità come se le parole o categorie razionali siano l’unico modo per viverla è in realtà ancora molto pervasiva e diffusa. Nel Vangelo ci accorgiamo, invece, che la fede è un dono, è una fiducia molto concreta nella potenza di Gesù che guarisce e salva. Essa si esprime in modi molto vari, come ad esempio in un gesto che avvicina a Gesù dato come eccessivo da quegli stessi discepoli che amavano piuttosto discutere su chi di loro fosse il più grande e proprio per questo umiliavano i piccoli! Gesù si indigna con loro! La fede si rivela nella semplice richiesta d’aiuto o nel grido di pietà o anche nella stessa intercessione di altri. Non è questa la comprensione affettiva che riesce a comprendere quello che i dotti e si sapienti, invece, non riescono proprio a capire, il mistero del regno che è rivelato proprio ai piccoli? Questa si manifesta soprattutto in maniera sorprendente nella domenica. Essi ci chiedono una celebrazione che esprima un diffuso senso di gioia, per la presenza di Gesù “quell’amico che non ci lascia mai”. In esistenze segnate spesso dalla sofferenza e dal limite si manifesta un’esperienza di resurrezione di una vita più forte della morte e di una domenica che fa risorgere anche dalle difficoltà della vita quotidiana, l’accettazione del proprio limite e una gioia davvero pasquale. Essi chiedono non un vangelo a metà, ma personale, chiaro, vero, dolcemente esigente, di comunione, perché nessuno è condannato alla solitudine, quella solitudine che pesa su tutti, ma in particolar modo sui deboli. Nei disabili l’adesione al Vangelo è semplice, diretta, sempre molto concreta. Il loro modo di affidarsi, voler bene e credere esprime la fede profonda di chi ha colto quello che veramente conta nella vita: l’amicizia con Gesù e la fiducia nella sua Parola che tutto può, che salva e libera dal male.  Loro “immaginano” la presenza e pregano la sua misericordia, in tutte le loro occupazioni. Sotto il velo di quella che ad alcuni può apparire “stranezza” rivelano in realtà una grande sapienza, per noi che facciamo fatica a distinguere il bene e il male. Si esprimono per dire l’essenziale e trovano l’unico necessario nell’amore per il Signore, che dilata non solo le porte del cuore, ma anche la cultura, divenendo così la chiave per capire il mondo complesso.
Nella carezza di Gesù, descritta dal Vangelo di Marco, c’è tutta la tenerezza di Dio, il suo segreto di amore necessario a tutti. Senza una comprensione affettiva non si comprende la realtà e nemmeno il Vangelo! Il modo affettivo è quello del Buon Pastore. Sempre Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (125) afferma che “per capire questa realtà c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare. Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani, specialmente nei poveri”.Quanto c’è di presunzione e di sopravalutazione di sé nella nostra idea di razionalità! Il dono dei disabili è quello della parresia. Parlano a tutti di quello che hanno incontrato e della loro gioia. Ma anche “sentono” la tristezza o la gioia negli altri e ne sono condizionati, come deve essere nella fraternità. Abbiamo ragione noi con la nostra freddezza, con le distanze che creiamo e sappiamo giustificare oppure la loro sensibilità? L’amicizia è un messaggio che ciascuno, malgrado si senta privo di valore o di capacità attrattiva- e questo capita anche ai cosiddetti sani ed abili, pensiamo al mondo della depressione- l’amicizia è un messaggio chiaro: “Tu vali per qualcuno”. La loro fragilità e la loro semplicità smascherano i nostri egoismi, raddrizzano tante tortuosità inutili, liberano da ruoli cui purtroppo diamo tanto valore anche se sono proprio modani, rendono impossibili le chiacchiere che sovente si insinuano nelle nostre comunità e che la purezza di cuore dei disabili non possono tollerare. La debolezza diviene la nostra forza, liberando da pretese di autosufficienza e ci guidano all’esperienza della vicinanza e della tenerezza di Dio, a ricevere nella nostra vita il suo amore, la sua misericordia di Padre che, con discrezione e paziente fiducia, si prende cura di noi, di tutti noi. Le persone disabili ci aiutano ad accompagnare, perché la  sola accoglienza non basta e a difendere, cioé a metterci dalla parte di chi è più debole, per cercare i diritti ancora troppo spesso negati.
“Tu prova ad avere un mondo del cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole”, cantava un poeta. E’ questa la condizione e la condanna di tanti deboli. La Comunità cristiana può scoprire quel mondo che è nel cuore dei disabili e che aiutano tutti a trovarlo, a non perderlo, a liberarlo da tante idolatrie che lo induriscono e lo rendono disumano. 

11/06/2016
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