Non potevano esserci luogo e giorno migliori per iniziare questo pellegrinaggio di comunione e pace con tutti i fratelli e le sorelle della Terra Santa. Sperimentiamo, come gli apostoli, l’intima gioia di essere suoi, intorno a quella mensa dove continua ad essere versato e spezzato, dove la sua Parola si fa presenza nell’eucarestia e chiede di diventare carne nella nostra vita e nel nostro oggi. La comunione inizia nella prossimità, frutto di colui che si fa prossimo per farci capire chi siamo, prima vittoria sul male che distrugge, divide, allontana, rende incomunicabili, cancella il mio prossimo tanto da renderlo solo un nemico. Il vostro dolore è il nostro dolore, il loro dolore è il nostro, le vostre lacrime sono le nostre. Tutto qui, manifestazione solo di umana e profondissima comunione, premessa per cercare e contemplare, nonostante tutto, quella fraternità frutto dell’unica immagine di Dio che riconosciamo in ogni persona. La comunione l’abbiamo vissuta in questi interminabili, lunghissimi, mesi di violenza e guerra.
La preghiera di intercessione si è unita a quella dei tanti salmisti che popolano – consapevolmente o no – questa terra e nei quali la preghiera ci permette di identificarci: liberami, salvami, ascoltami, proteggimi, difendimi, aiutami, comprendimi, sollevami. Non ci possiamo abituare al grido di dolore che giorno e notte sale a Dio, ma anche alle nostre orecchie. Ecco, oggi la comunione per grazia di Dio diventa presenza, seguendo Gesù che non resta lontano, che fa sue le lacrime di Marta e Maria e piange con loro per il loro fratello che era morto, che si unisce a quella vedova che aveva perduto il suo unico figlio, perché è sempre unica la persona amata. È il nostro sentimento verso di voi, verso tutti i credenti, certi che l’invocazione è ascoltata da Dio. Saluto e ringrazio il Patriarca Pierbattista Pizzaballa, al quale ci lega anche tanta storia comune bolognese e quella comunione che abbiamo sentito così stretta in questi mesi. Con lui tutti i vescovi delle Chiese di Gerusalemme, il Nunzio, il Custode, tutti i credenti per i quali il nostro atteggiamento è uno solo: quello di intima amicizia. In questo luogo Gesù sentiva la tempesta del male, dell’odio e della violenza, del disprezzo della vita, della ferocia della cattiveria umana, mistero sempre inquietante dell’iniquità, lui è presente e ci chiede di restare vicini, perché in questo troviamo l’indispensabile, tanto da richiederlo, conforto.
È l’ora delle tenebre, dell’impero del male, pandemia di morte nella quale dobbiamo sempre scegliere di fare la volontà di Dio che non è mai quella del “salva te stesso”, ma sempre quella di combattere il male con l’amore. Domandiamo pace. Non ci abituiamo mai al grido di dolore. Diceva S. Antonio: “La prima pace devi averla con il prossimo, la seconda con te stesso e così avrai anche la terza pace, quella con Dio”. E aggiungeva: “Si dice degli elefanti che quando devono affrontare un combattimento hanno una cura particolare dei feriti: infatti li chiudono al centro del loro gruppo insieme con i più deboli. Così anche tu accogli nel centro della carità il prossimo debole e ferito”. ÈÌ quello che vogliamo fare come comunità cristiana, combattendo l’unico nemico che abbiamo, il male, in comunione con tutti i tantissimi nostri fratelli che ci accompagnano spiritualmente. Dalla pandemia deve nascere il suo contrario che è il seme piccolo dell’amore, nel quale è contenuto l’amore universale, altrimenti impossibile. “Siate forti, rendete saldo il vostro cuore voi tutti che sperate nel Signore”.