MEMORIA DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO

Abbiamo la grazia e la gioia di iniziare la nostra «Tre giorni» nella memoria liturgica di S. Giovanni Crisostomo, pastore incomparabile. Egli è stato un uomo di preghiera e di contemplazione; è stato un pastore appassionato alla persona di Cristo; è stato un pastore prudente e forte.

1.«Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro? Gli rispose: certo, Signore, tu sai che ti amo. Gli disse: pasci i miei agnelli». Il ministero pastorale nasce dall’amore per Cristo. Ogni giorno, quando iniziamo la nostra attività, il Signore ci chiede: “mi vuoi bene?” e solo se noi rispondiamo: “certo, Signore, tu sai che ti amo”, Egli ci affida ciò che ha di più caro: “pasci i miei agnelli”.

S. Giovanni Crisostomo, pur essendo profondamente orientato alla vita monastica, non ebbe dubbi: fra l’impegno pastorale e il monachesimo, egli preferisce il primo perché è un ministero che si estende a tutto il popolo [cfr. Hom 1,4 in Tit; PG 62,669-670]. Il sacerdozio è la più alta espressione  della carità. Ed è la carità pastorale la chiave di volta di tutto l’arco dell’esistenza sacerdotale.

Da ciò derivano due conseguenze assai importanti per la nostra vita sacerdotale.

La prima è che la “forma” della nostra vita sacerdotale è una “forma eucaristica”: è l’Eucarestia che deve plasmare e configurare tutta la nostra esistenza. La carità pastorale non è il risultato di un impegno ascetico nostro: è dono che ci viene dalla celebrazione dell’Eucarestia. Attraverso essa Cristo ci rende partecipi della sua stessa carità; ci fa dono di quello stesso Spirito Santo che lo spinse a donare Se stesso sulla Croce per la redenzione dell’uomo.

L’Eucarestia diventa gradualmente il criterio di giudizio che ispira ogni nostra scelta. Dovremmo chiederci spesso durante la nostra giornata: “ciò che sto facendo, il modo con cui sto vivendo, è coerente coll’Eucarestia che ho celebrato?”

S. Giovanni Crisostomo era profondamente consapevole di questa connessione fra sacerdozio ed Eucarestia; ha scritto pagine fra le più commoventi di tutta la Tradizione. Ne leggo una.

“Quando vedi il Signore sacrificato e giacente, e il sacerdote che presiede il sacrificio e prega, e tutti arrossati di quel sangue prezioso, credi ancora di stare sulla terra e di essere tra gli uomini? Ma non ti senti subito trasportato nei cieli, e, spoglio lo spirito di ogni pensiero della carne, con l’anima nuda e con la mente pura, contempli le cose celesti?

…..

Rivolgiti ora a quello che adesso si compie e vedrai cose non solo meravigliose, ma che trascendono ogni meraviglia. Sta il sacerdote non per attirare il fuoco ma lo Spirito Santo” [Il Sacerdozio, CN ed., Roma 1989, pag. 62-63].

Racconta una leggenda che l’apostolo Tommaso non riuscì più a togliere il sangue dalla mano che aveva messo dentro al costato di Cristo. La nostra mano che stendiamo ad ogni miseria umana non perda mai il sangue di Cristo cui abbiamo eucaristicamente comunicato.

La seconda conseguenza è che solo un’esistenza formata e generata dall’Eucarestia coincide perfettamente colla missione. Tocchiamo un punto nevralgico della nostra vita sacerdotale e umana.

Nel Cristo la missione coincide colla coscienza umana che ha di Se stesso: Egli è ed è conscio di essere semplicemente ed esclusivamente Colui che è stato inviato dal Padre.

Anche in noi può, deve accadere questa coincidenza perfetta fra la coscienza che abbiamo di noi stessi e la nostra missione sacerdotale. Questa è la definizione di noi stessi: noi non siamo altro che, e non siamo consapevoli di non essere altro che i ministri di Cristo e i dispensatori dei misteri di Dio.

Quando questa coincidenza non avviene, si rischia di vivere il proprio sacerdozio come un dovere da compiere oppure si cerca altrove il senso della propria vita.

2.Nella vita di S. Giovanni Crisostomo notiamo una particolare attenzione ai più deboli, ai più esposti ai soprusi dei prepotenti. Le vicende che lo portarono due volte in esilio, dove morì a causa degli stenti del viaggio a Comana nel Ponto il 14 settembre del 407, sono ben note. Implacabile fustigatore dei vizi della Corte, non vacillò neppure di fronte all’imperatrice Eudossia.

Abbiamo ricevuto non uno spirito di timidezza, ma di fortezza. Oggi questa virtù ci è particolarmente necessaria per continuare ad annunciare il Vangelo anche quando la società ci “esilia” con la sua indifferenza.

Il santo pastore scrive:

“Chi dentro al porto siede al timone non fornisce una prova esatta della sua arte. Nessuno direbbe che non sia eccellente pilota chi in mezzo al mare e in tempesta abbia potuto salvare la nave [ibid. pag. 139].

Il momento che stiamo vivendo non è facile. Le sfide cui dobbiamo far fronte sono difficili: Cristo ci ha donato il suo Spirito di fortezza, di amore, di saggezza.

 

13/09/2004
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