Mercoledì delle Ceneri

È un invito pieno di speranza quello che ci rivolge il profeta. È la Quaresima che oggi inizia: “Ritornate a me con tutto il cuore”. Ci serve avere una direzione verso cui andare, e andare ci fa ritrovare “tutto il cuore”, spesso così frammentato, diviso, contraddittorio e misero com’è, abisso che noi stessi non possiamo riempire perché solo l’amore di qualcun altro può farlo. Viviamo oggi un senso di incertezza, di precarietà. Tante parole e gesti ci risultano vani e questo riempie di amarezza, a volte piena di rabbia, e altre volte di ignavia. Ecco, il grido del profeta ferisce la nostra disillusione, la sua parola dolce e personale scioglie le nostre paure e vince le difese: “Ritorna”, ricorda che hai una casa verso cui camminare. Non farti seccare anche il cuore dalla carestia di speranza e di vita che stiamo vivendo.

Non ti abbandonare al male facendolo vincere. Ci serve questo invito perché sperimentiamo come facilmente si diventi uno scarto, non si valga niente, ci si ritrovi fragili e vulnerabili tanto da dover elemosinare possibilità, dopo averne dissipate tante. “Ritorna”. Vuol dire anche “ti aspetto”, “desidero che sei qui con me”, “mi manchi!”. E nella Quaresima capiamo quanto ci manca il Signore e abbiamo bisogno del suo amore. E in realtà noi manchiamo a Lui, tanto che ci viene incontro correndo, Padre di misericordia.  “Ritorna”, per aiutarti a scegliere oggi, perché non sei solo, e se il mondo intorno è indifferente il Padre no. Non ti considera mai perduto! È vero: volevamo essere padroni e siamo finiti schiavi di noi stessi, individualisti che devono chiedere aiuto e non lo trovano perché circondati proprio da un mondo di individualisti e non di amici. Nessuno dava ghiande a quel ragazzo, diventato uomo per le avversità della vita che gli avevano portato via le illusioni. La Quaresima inizia quando rientra in sé. La carestia già la vive.

La Quaresima non è sofferenza ma liberazione da questa, ricerca di primavera, di vita. Cerchiamo quello di cui noi e il mondo abbiamo bisogno: una casa, la casa del Padre, e quindi di essere figli, di  avere pane in abbondanza per tutti perché condiviso. È la casa dei “Fratelli tutti”. L’orgoglio può suggerire di restare dove si è e che tutto è inutile. L’amore lo fa tornare. Il tradimento è vivere per se stessi! Non siamo fatti per vivere da soli, troviamo noi stessi ritrovando il Padre e la casa, non da padroni ma da servi. Il Male non è l’ultima parola né sulla nostra vita personale né sul mondo intorno a noi. Tutto può cambiare. Io posso cambiare, cioè perdere quello che mi deforma, che mi rovina, come le tante dipendenze che comandano i miei istinti e le mie scelte.

È una Quaresima piena di tristezza e di angoscia per la tempesta terribile della violenza e della guerra con la quale siamo costretti a fare i conti, e che rivela le conseguenze di tanti ipocriti e comodi rimandi. Il profeta unisce il cambiamento personale con quello del popolo. Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli e cerchiamo il perdono. Le pandemie ci chiedono una scelta, personale e collettiva, che inizia sempre da me. Non cambiamo senza impegno. È cammino, “che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna”.

La persona inquieta e accidiosa è impaziente, vuole arrivare subito, sempre insoddisfatto delle risposte perché non sa andare nel profondo del suo cuore. Le armi della penitenza ci fanno combattere il male del quale vediamo le conseguenze drammatiche. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Non si tratta di esteriorità, quella che così tanto condiziona le nostre scelte, la cura delle apparenze, di quello che facciamo vedere e che pensiamo determini la nostra considerazione, il successo o meno, l’esaltazione o la depressione, l’accettazione o il rifiuto. L’apparenza, l’approvazione, ci fa credere di avere ottenuto ciò che ci serve. Gesù ci chiede di andare nel nostro segreto, di non fare per essere visti, ma cambiare perché gli altri finalmente trovino una persona vera.

E il problema è cambiare il cuore, non l’esterno. E se il nostro è pieno di amore, questo non finisce, al contrario della ricompensa di credersi a posto, di avere quella considerazione che non dura e tradisce. È la nostra anima che nessuno ci porta via, che ci rende belli, pieni di luce. Per questo fai l’elemosina, solo perché l’amore è gratuito e sei libero di amare senza tornaconto, contabilità, considerazione, calcolo. E solo questo ci dà gioia. Non pregare dritto e per essere visto, ma perché hai scoperto nel segreto del tuo cuore la dolcezza dell’ospite più caro, sempre tardi amato, dolcezza che riempie e consola, che ispira e protegge, che libera perché insegna ad amare. Digiuni contento, senza malinconia, liberandoti da ciò che fa male e appesantisce, così che gli altri vedano, casomai, il frutto del digiuno, che è il profumo e un volto gioioso.

Ritorniamo al Signore per essere artigiani di pace. C’è fretta. C’è bisogno. È un segno dei tempi da cogliere. Tutti dobbiamo esserlo e possiamo farlo, anche quando pensiamo di poter fare poco. Se cambio io inizia a cambiare il mondo. Il male che vediamo ci spinge a non tollerare in noi nessun seme di odio, di vendetta, di intolleranza, di pregiudizio. Il Signore ci ha “fatto” cristiani perché portiamo al mondo la pace, la pace che non c’è perché troppa guerra inquina il mondo, rende invivibile l’ambiente umano, pieno di ignoranza, di incomprensione, di aggressività.

L’elemosina è regalare parole buone, attenzione, gentilezza, riguardo a chiunque, ma specialmente a chi non è considerato o è visto con sospetto e pregiudizio. E regalare solidarietà a chi è profugo nei Paesi vicini ai conflitti, o che scappa per le conseguenze delle guerre, dall’inferno della povertà e della fame. E pregare, ma con l’insistenza della povera vedova, con negli occhi le lacrime delle madri ucraine, l’angoscia dei figli separati dai padri e dei padri costretti a diventare Caino per un nemico, di chi è ferito e sente la paura della morte, di chi è torturato, dei prigionieri. Pregare per non rassegnarci e abituarci, per trasformare il dolore e l’ansia della pace in supplica.

Preghiamo avendo nell’anima le immagini, le icone del Venerdì Santo che sono le foto di sofferenza che arrivano dai conflitti e che non ci lasciano impassibili. Digiuniamo da parole dure, da atteggiamenti ignoranti e aggressivi, da prese di posizione che non ascoltano l’altro, che si compiacciono, distruttive. Digiuniamo dalla vanità di fare qualcosa per farsi ammirare o per far credere di essere capaci perché ciò rende solo competitivi e presi da sé. Digiuniamo dalle vendette per qualche torto subito, dall’indifferenza che umilia, dall’odio e dal risentimento che ostacolano le relazioni. Vado a riconciliarmi se ricordo che un fratello ha qualcosa contro di me! Ritornare al Signore significa anche ritornare dal fratello, perché è mio fratello e io sono il custode. Libero così il mio cuore dalle radici di amarezza, ho un cuore in pace per essere uomo di pace e gli altri sono “Fratelli Tutti”. Per una resurrezione di pace, che inizia dentro di me. Se ho la pace, cerco e dono pace. Ecco la Quaresima che prepara la pace. Prego con Sant’Efrem, che oggi sarebbe tra i terremotati di quelle antiche terre tra Siria e Turchia. Signore e Sovrano della mia vita, non darmi uno spirito di pigrizia, d’indolenza, di superbia, di vaniloquio. Dà a me, tuo servitore, uno spirito di sapienza, di umiltà, di pazienza e di amore. Sì, Signore e Re, dammi di vedere i miei peccati e di non condannare mio fratello, perché sei benedetto nei secoli. Amen.

Bologna, Cattedrale
22/02/2023
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