Messa a Cesena per i 200 anni dalla morte di Pio VII

Nell’Eucarestia si uniscono sempre tanti motivi per rendere grazie e per affidare al Signore le intenzioni che portiamo nel cuore. Personalmente questa sera prego insieme al vostro seminarista, Alberto, che trent’anni or sono perse la vita in un tragico incidente insieme ad altri due ragazzi di Bologna. Li abbiamo ricordati insieme a Poggio Renatico e poterlo fare qui, nella Chiesa cattedrale, mi emoziona e mi fa sentire la comunione dei santi, che è sempre circolare.

Sono certo che prega perché tanti non abbiano paura, come lui, di servire il Signore nel ministero del presbiterato. Nell’eucarestia siamo aiutati a comprendere la gloria di Dio, quello che resta della nostra vita, che nessuno può portarci via, che diventa nostra perché Dio cerca proprio noi e ci raggiunge con il suo amore. L’arte la raffigura con le aureole che rendono luminosi i volti. Possiamo riconoscerla negli infiniti e umanissimi suoi riflessi che rendono splendente la nostra umiltà e bello il poco della nostra vita. I santi – dobbiamo esserlo tutti –  riflettono la bellezza e la forza di Dio proprio nella concretezza della nostra umanità. Si vede la gloria? Certo che si vede! Se ne accorgono subito i bambini, ce ne accorgiamo tutti noi, pur attratti dalla gloria del mondo come siamo, se apriamo gli occhi del cuore e della mente e smettiamo di rincorrere le luccicanti e abbacinanti glorie del mondo, attraenti, ingannevoli, disumane.

La gloria degli uomini è quella dei farisei, che curano l’apparenza, che si sentono a posto ma non fanno agli altri quello che vogliono, anzi, esigono sia fatto a loro; che moltiplicano con abilità parole, prive però di vita; che giudicano e non vogliono essere giudicati; che si sentono importanti per i posti e la prestazione, supponenti e alteri perché non curano il servizio ma il proprio ruolo. C’è una versione digitale e social del fare tutto per essere ammirati che è pericolosa, insinuante, subdola, dove non si distingue più il falso dal vero, la realtà dal virtuale. La gloria di Dio è invece l’essenziale della nostra vita ed è quello che resta. Si rivela in chi si fa servo, in chi si umilia e regala amore, gratuitamente. È la gloria di tanti padri, madri, fratelli, sorelle, campi che diventano nostri in questa vita proprio perché abbiamo lasciato tutto. Non prima! Bisogna perdere per conservare. Se regalo tutto, tutto diventa mio! Solo se amo e quindi dono, possiedo. Se possiedo resto solo con me stesso!

Oggi celebriamo San Bernardo, abate, insieme a Pio VII nel giorno della sua nascita al cielo e a conclusione dell’anno in sua memoria. San Bernardo di Chiaravalle insisteva che la gloria di Dio inizia sempre nel nome di Gesù, perché la gloria è “l’incontro personale, intimo con Gesù, è fare esperienza della sua vicinanza, della sua amicizia, del suo amore”. La gloria di Dio la vedono e la trasmettono quelli che amano non quelli che riducono la fede a intellettualismo o a legge. “L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di sé. Dio ama, altro non desidera che essere amato”. Quando cerchiamo altri maestri o cerchiamo noi di farci chiamare tali siamo solo deboli e perdiamo la vera forza e identità. La perdiamo noi e la togliamo al prossimo! È quello che ci ricorda il profeta Ezechiele. Quando diciamo “Io sono un dio”, e lo facciamo in tanti modi, dall’esasperato individualismo, al credersi onnipotenti cancellando i limiti della vita, da quello ultimo della morte a quello della nostra e altrui fragilità, restiamo vittime della nostra stessa forza. È l’umile che viene innalzato. Chi si crede potente, chi è superbo rimane chiuso nel labirinto del pensiero del suo cuore, non conosce l’amore e non si fa amare, sperimenta la forza violenta e impietosa del male. In questi mesi abbiamo contemplato e conosciuto la gloria di santità di Pio VII, che si è affidato nella difficoltà all’amore di Dio per il quale “tutto è possibile”, che ha vissuto il suo servizio da ultimo, da servo dei servi, come deve essere per ogni ministero che ci è affidato.

Cosa ci ha lasciato questo anno di Pio VII? Credo che ci abbia aiutato a confrontarci con le sfide che dovette affrontare, sconvolgenti come è sempre la realtà, e a capire qual è la vera gloria della Chiesa che non è forte per il suo potere mondano, ma solo per la presenza di Dio che la accompagna e anche la protegge. Pio VII visse da prigioniero per 1100 giorni. Impariamo dalla storia a saper leggere oggi i segni dei tempi, a credere che non prevarranno e che quello che c’è chiesto non è mai superiore alla nostra forza.

Abbiamo imparato a capire come vivere il Vangelo nel mare minaccioso della vita per difendere la verità che è Gesù, e non le forme esterne. La tradizione è sempre dinamica e nel presente, mai fossile, come a custodire solo il passato! Il passato lo conserviamo vivendolo e scegliendo oggi il futuro! Abbiamo anche noi la tentazione di considerare i nostri tempi i più difficili della storia e di pensare che questa inizia con noi. Pio VII si trovò a perdere tutto, ad essere sballottato da forze enormemente più grandi di lui, ad affrontare il rifiuto di Dio e della Chiesa da parte di un mondo che, per la prima volta nella storia, ha tentato di recidere le proprie radici cristiane, sia religiose che culturali. Papa Benedetto di fronte a un mondo che appare così distante dal Signore si interrogò proprio su “cosa significa una vita, un mondo senza Dio. Al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. È il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto, che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita”. Ecco come fece Pio VII: non rispose alla forza con la forza ma seppe aspettare, non umiliare, ricostruire. E nel deserto, quando si rivelano per tutti le conseguenze di tante scelte individualistiche e predatorie, c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro vita, tracciano la via verso la Terra promessa e tengono desta la speranza. Solo la fede vissuta apre il cuore alla grazia di Dio che libera dal pessimismo. I cristiani così affrontano le sfide. Non possono diventare profeti di sventura, convinti di indicare la verità e che con presunzione e ignoranza “nelle attuali condizioni della società umana non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa”.

Pio VII visse la perdita del potere temporale, il crollo dello Stato Pontificio, ma non divenne un profeta di sventura! Dopo quasi centocinquant’anni Papa Paolo VI, parlando all’ONU, si presentò solo come “esperto di umanità”, dicendo: “Voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello, e fra voi, rappresentanti di Stati sovrani, uno dei più piccoli, rivestito lui pure, se così vi piace considerarci, d’una minuscola, quasi simbolica sovranità temporale, quanta gli basta per essere libero di esercitare la sua missione spirituale, e per assicurare chiunque tratta con lui che egli è indipendente da ogni sovranità di questo mondo. Egli non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da sollevare; se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi servire in ciò che a Noi è dato di fare, con disinteresse, con umiltà e amore”.

Ecco la nostra forza ma anche la nostra responsabilità, la vera rilevanza, che conta e cambia la storia, ma anche che va spesa, libera dal pauperismo che non si prende responsabilità o dal cercare la forza temporale che finisce per tradire quella del Vangelo. Papa Chiaramonti era un uomo di grande cultura e pietà, mite. “Monaco, Abate, Vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa”. Difese con pacata e tenace perseveranza l’unità della Chiesa che ne usciva più forte e credibile. Non dobbiamo mai accettare di limitare, indebolire, l’unità.

Ha ragione Papa Francesco: “Il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!”.

Mi ha colpito che nel suo pontificato, tra l’altro, aveva voluto la revisione dei rapporti di “vassallaggio”, con conseguente emancipazione dei contadini poveri (non è così oggi con il caporalato? E per dare condizioni degne e con tutti i diritti a chiunque?), l’abolizione dell’uso della tortura e l’istituzione di una cattedra di chirurgia per il miglioramento dell’assistenza medica e l’incremento della ricerca. La tortura viene praticata impunemente anche, purtroppo, dalle forze degli Stati che devono rispettare i diritti. E non dobbiamo chiedere e potenziare la ricerca delle cure palliative, senza le quali il dolore può far credere necessario sopprimere la vita? Era furbo e buono – i due aspetti vanno sempre insieme – aveva fermezza di convinzioni e di pensiero, uno spirito di conciliazione e pacificazione. Se manca il secondo aspetto pensiamo che basti essere contundenti per rispondere alla sfida.

Quello che permetteva tutto era la totale sottomissione alla volontà divina. Dovette abbandonare la cristianità, in Francia, divenuti ormai “cittadini”, e cercò sempre un’interpretazione in chiave provvidenzialista delle sue tribolazioni. Venne chiamato a “governarla, proteggerla, onorarla e ingrandirla”. Ecco, amiamo e aiutiamo la fragile, fragilissima barca di Pietro, capendone la sua forza e amandola nelle pandemie terribili della storia perché sia la via di Cristo per la salvezza di tutti. Il Signore ci farà conoscere le opportunità, come per Pio VII, che arrivano solo dopo essersi affidati a Dio e facendo tutto quello che ci è chiesto perché la provvidenza sia efficace. Nel nostro tempo difficile, quando sembra che tutto stia cambiando e ci sentiamo trascinati e sfidati da forze tanto più grandi di noi, chiediamo la saggezza di Pio VII, la sua forza e bontà per comunicare alle nuove generazioni la gioia sempre nuova del Vangelo.

Cesena, Cattedrale
20/08/2024
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