È sempre una grande emozione ritrovarci insieme in questa casa, santuario della sofferenza umana e anche della condivisione di Dio con noi. È un luogo universale, che ci riporta alle radici della nostra casa comune e, quindi, ci permette anche di capire il futuro. Sentiamo ancora nostra la terribile domanda delle vittime: “Perché, come è possibile?”. Facciamo nostro il loro monito affinché non avvenga più, l’indicazione a contrastare tutti i semi di violenza che poi diventano una forza brutale difficile da ostacolare, che distrugge, inghiotte la vita e cerca di cancellare “l’uomo che verrà”. La forza della vita ha bisogno di essere difesa con intelligenza, senza ambiguità, senza cedevolezze o compiacenze, perché è proprio nella mediocrità e nell’indifferenza che crescono i semi dell’intolleranza, del pregiudizio, dell’ignoranza, che portano ad abituarsi al “me ne frego” invece che scegliere il paziente, e a volte faticoso, “I care”, l’unico che difende la vita. In questi mesi ci stiamo misurando con la tragedia della guerra. Non è la prima volta in epoca recente in Europa, ma mai, dopo quella tempesta di morte che ha travolto il nostro Paese e l’Europa tutta, abbiamo assistito ad un incendio di queste proporzioni.
Le vittime ci invitano ad un nuovo inizio perché la pace non è mai acquisita una volta per sempre, la libertà va sempre difesa e deve legarsi ai valori che l’hanno conquistata, altrimenti rischia di diventare un fatto individualistico, mentre è sempre anche “sociale”. Non si è liberi da soli e se il mondo intorno è prigioniero, le vittime sono schiavizzate. È pericolosa la presunzione di dare per scontata la pace, perché così crescono inevitabilmente i semi del male, nelle loro varianti che modificano l’apparenza ma non la sostanza e rischiano di omologare la mancanza di rispetto della persona umana, di renderla ordinaria. Certamente ci sorprende la crescita di tanta violenza ordinaria. Sembriamo come tante isole che si difendono da un mondo percepito come ostile. Esprimerla con rabbia e durezza fra le mura domestiche, così come per la strada, nelle parole e nei gesti, a volte enfatizzati da ideologie che arrivano a negare il proprio prossimo, a giustificarla, ad accecare la coscienza tanto da arruolare nuovi volenterosi carnefici. Guai a rompere i ponti e far credere che così si difende il proprio interesse nazionale! Ogni ponte distrutto è un rischio in più che cresca la divisione, è la vera minaccia! Ogni ponte distrutto richiede tanto sforzo per ricostruirlo, per la riconfinazione! C’è qualcosa di anticristiano nei ponti distrutti, come avviene sempre quando la persona non viene rispettata.
A Marzabotto sperimentiamo l’abisso dell’umanità che ci rende vicini e solidali alle tante Marzabotto di oggi, conosciute o nascoste, dall’Ucraina alle camere di tortura, dai lager in Libia ai massacri nel villaggi del Nord Mozambico. Personalmente ho visto Marzabotto a Bucha, teatro di efferatezze per giorni terribili di vittoria del male. Di fronte a questa cattiveria, che rivela che siamo sempre anche un lupo (finché non conosciamo il resto della persona, aggiungeva Plauto), pensiamo che il problema sia il Signore, che non ci difende. “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ci ha dato il pianto e il riso, sta a noi dividerli! Ci lascia liberi di costruire arsenali che distruggono tutto e tutti, anche chi li produce e chi si arricchisce, oppure di costruire granai e riempirli per combattere la fame. Ecco perché dobbiamo fare tesoro delle pandemie che rivelano le nostre fragilità ma anche le complicità, le omissioni, le ignavie, gli interessi occulti e meschini che diventano ideologie prevaricanti e intimidenti. Dobbiamo cambiare e compiere ciò che è retto e giusto per vivere, è l’invito del profeta.
I cristiani hanno un testimone, il primo, perché anche noi ci aiutiamo confortandoci a vicenda. Coltiviamo i suoi sentimenti, quelli che dimostrano che davvero non siamo stati fatti per vivere come bruti, che non siamo bruti. I sentimenti di Gesù sono, in realtà, quelli più umani possibile, proposti a tutti. Il contrario della violenza, dell’umiliazione dell’altro, del possesso che rende il prossimo un oggetto, è non fare nulla per rivalità o vanagloria e che ciascuno, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Come è possibile? Questo non contraddice forse una delle regole dell’individualismo, tiranno che fa credere possibile un io senza noi e un io senza Dio? Solo con l’amore, per cui l’altro è superiore a me perché lo amo.
Cosa succede se ognuno capisce che non può trovare il proprio interesse senza quello del prossimo, se comprende che trova se stesso cercando ciò che serve agli altri, e trovando così quello che serve a me perché capisco per chi vivere, chi sono e il mio valore? Il figlio si pentì: si rese conto, lo scelse lui, si riappropriò delle cose che aveva più care. Ovviamente l’indicazione non fa distinzioni del prossimo, perché non ce n’è! L’amore ci fa riconoscere in ognuno il mio più vicino, perché solo l’amore mi fa trovare il prossimo. C’è, allora, un invito che sentiamo impellente, serio, improrogabile: lavorare nella vigna di questo mondo, con gli stessi sentimenti di Gesù, umili e fortissimi, in grado di disarmare le mani e i cuori, gli unici che possono bloccare la logica del riarmo, del pensarsi contro l’altro. Il primo figlio sorprendentemente rispose: Non ne ho voglia. F
orse pensava di poter stare bene da solo e di preoccuparsi solo del suo. Lo dice. Con il Signore non dobbiamo mai imbrogliare, difenderci da lui, curare l’apparenza. Si pente, cambia, sente finalmente la preoccupazione del Padre, e non lo avverte come un dovere. Si mette a lavorare. Ecco, davanti a questa fraternità offesa di allora e di oggi, irrisa, scegliamo, come questo figlio, di metterci a lavorare. Non diventiamo come l’altro, gonfi di dichiarazionismi, dando per scontato, senza umiliarci nelle cose concrete, finendo per pensare solo a noi stessi, alla nostra impossibile felicità individuale. Noi, con i sentimenti di Gesù, abbiamo visto “queste cose” cambiare. Non si torna uguali da Marzabotto: mettiamoci a lavorare nella vigna per costruire un mondo di fratelli tutti. È la vera richiesta di questi morti, insieme al pentimento di questi assassini, di allora e di oggi. Fratelli tutti, nell’unica casa comune. È la pace.