Messa a Palermo in occasione della prolusione Anno accademico Facoltà teologica

L’apostolo ci indica una grande prospettiva, quella su cui si deve sempre misurare il Cristiano e che lo libera da confronti e misurazioni inutili e pericolose, come discutere su chi è il più grande. Le “genti” sono chiamate a condividere la nostra stessa eredità e noi siamo chiamati a donargliela.

Non c’è possesso nell’essere cristiani ma solo dono. Il privilegio non è essere soli o unici, come l’orgoglio fa credere, ma essere suoi e scoprire che siamo Fratelli Tutti! Le genti sono quelle della pentecoste e dei confini della terra. Le genti impediscono alla Chiesa di ridursi a setta, a circolo di iniziati, a etnia che si difende dagli altri, che finisce per vivere solo di questa alterità, temendo di perdere se stessa.

Noi e gli altri: senza l’amore di Dio si può produrre la durezza verso quelli che “non sono dei nostri”, che non “camminano con noi”. La Parola invita sempre, al contrario, a guardare l’altro come il prossimo, a servire e sfamare la folla, senza distinzioni, categorie, giudizi preventive.

Siamo inviati alla grande messe come operai. Dobbiamo amare la folla e amare significa anche capirla, conoscerla con quel di più che è la compassione. Solo questa – che deve diventare studio, approfondimento, sapienza – permette di capire nel profondo, di andare oltre la banalità, le apparenze, il vero pensiero dominante indotto da una navigazione che appiattisce tutto, che ci lascia trasportare da correnti interessate o che enfatizza il protagonismo nella perenne e vana fibrillazione dei social.

E poi dobbiamo sempre interrogarci: cosa succede se invece di comunicare ad altri teniamo per noi il Vangelo? La vita è la stessa? Comunicare richiede la necessaria preparazione e studio e questi iniziano sempre dal fermarsi ai piedi di Gesù, come Maria, e dall’ascoltare la sua parola per poi ascoltare il prossimo. Maria é teologa perché tiene fisso il suo sguardo, la sua mente e il suo cuore, su Gesù.

Gesù ci ha affidato tutto non perché diventasse uno dei tanti prodotti per rassicurazioni individuali, ma perché la sua buona notizia cambi la vita e la illumini di senso e di amore. “Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”.

Ecco la vera uguaglianza e la infinita bellezza della famiglia umana che la Chiesa realizza. Sappiamo quanto è facile chiudersi in orizzonti limitati, anche con la giustificazione di proteggere così la perla preziosa che ci è affidata. Il sale diventa senza sapore proprio quando non si perde per salare. Per questo il Vangelo ci ammonisce a restare svegli, vigilanti, per essere noi sentinelle che rispondono, e a interrogare noi le tante sentinelle che abbiamo intorno.

Teniamoci pronti “perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. Viviamo in una stagione piena di agitazioni e con la tentazione di risolverle quanto prima, di non farci inquietare a tutti i costi, anche quella di essere incoscienti! E’ il rischio di (FT35) dimenticare “le lezioni della storia” per cui “passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”. Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare”. Quando non impariamo e scegliamo – non bastano le enunciazioni e la capacità verbale o digitale – torniamo indietro. (FT 11)

Viene il Figlio dell’uomo. Questa affermazione, che è anche un grido di gioia e l’affermazione della nostra fede, non suscita in noi agitazioni o angosce, funzionali poi al sonno. Gesù libera da inquietudini ossessive che portano a vedere problemi o segni dove non ci sono!

Noi attendiamo l’amato. Attesa è un problema di amore, riconoscendo il Signore che è già in mezzo a noi, ricordandosi sempre che la nostra vera casa non è questa e allo stesso tempo amando e curando questa per preparare quella futura dove ritroveremo tutte le persone che abbiamo amato, i bicchieri d’acqua offerti, i fratelli più piccoli amati.

Viene il Signore nel pane della sua presenza spezzata ancora per noi e in quello della sua parola, tanto che la liturgia eucaristica è talmente il culmine, la concentrazione di tutto il tempo, che essa sprofonda nell’eternità, al punto che “non è altro che un unico istante eterno”.

Viene il Figlio dell’uomo e ci chiede di riconoscerlo e amarlo nei suoi fratelli più piccoli, rendendo ogni incontro occasione per offrire a Cristo che viene pane, acqua, vestito, visita, casa, insomma quello che serve a lui. Viene, ma lo riconosciamo solo se il cuore e la mente sono accesi di amore. “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così, cioè pieno di attesa”.

Come sappiamo, quando amiamo qualcuno la visita dell’amato inizia già nella sua preparazione, nel sapere che viene, nel gusto dell’attesa, che anticipa la gioia e ci rende già felici. Lo studio ci aiuta a prepararci, a restare svegli per riconoscere il già e stupirci di questo, scrollandoci di dosso l’inevitabile abitudine e ad avere fiducia nel “non ancora”. Essere amministratori è il senso e la bellezza della nostra vita, la grazia che fa di noi, sempre inadeguati e peccatori, mai all’altezza, lavoratori della sua vigna. Il vangelo stabilisce una relazione stretta tra il credersi padroni della vita, non aspettare più niente, ridurre tutto a sé, e la violenza.

Quando ci dimentichiamo di Dio e del suo amore, non riconosciamo più nemmeno i fratelli. Gesù non resta insensibile, non ignora e non copre quello che si sceglie. La conoscenza che non diventa vita e amore concreti è motivo di restare fuori dall’amore di Dio, di un giudizio severo. Se penso a quanta santità mi ha accompagnato, quanto ho ricevuto, capisco che mi è chiesto conto di cosa ho fatto di queste parole, di quei testimoni?

Eccoci in un mondo sonnolento, che non si preoccupa di tutte le ingiustizie e delle sofferenze che flagellano la terra, che preferisce ignorare o tranquillizzarsi pensando che “andrà tutto bene”, che si accontenta di agitarsi per poi riprendere il sonno, perché la resistenza chiede fatica mentre il mondo preferisce scavare tante buche pensando così di trovare l’acqua che si trova solo affrontando la fatica di scavare un pozzo nel profondo. Restiamo svegli!

Scegliamo l’intelligenza, la passione per Dio e per il prossimo, perché possiamo stupirci sempre con il già, gioire del cento volte tanto che pure abbiamo, smettendo di correre dietro a gioie che ci fanno male, sapendo vedere oggi la luce dell’eternità e iniziare a vivere il tempo che non finisce.

Palermo, Cattedrale
19/10/2022
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