messa crismale

Bologna, Cattedrale

Gesù di Nazaret – il protagonista di quell’opera arcana della redenzione nostra e dell’universo, che rievocheremo nel sacro Triduo a partire da stasera – ha affrontato la sua grande impresa non come qualcuno che agisce in proprio, ma come uno che ha ricevuto una missione. Egli non si stanca di ricordarcelo, tanto che nel quarto vangelo il Creatore del cielo e della terra è da lui preferibilmente individuato come “il Padre che mi ha mandato” (ο πεμψαq με Πατηρ). Egli così intende essere accolto da noi soprattutto come la suprema epifanìa della misericordia divina.

Questa sua missione è animata e sorretta da una ineffabile effusione dello Spirito Santo; effusione che nel linguaggio scritturistico assume la configurazione di un gesto rituale: quello del versamento dell’olio che designa e proclama i sacerdoti, i re e i profeti dell’antico Israele.

Tanto che, volendo spiegare ai suoi compaesani il proprio compito e la propria qualifica, Gesù sceglie e riferisce a sé – tra tutti i testi profetici – proprio quello che dice: “Lo Spirito Santo è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18).

“Consacrato con l’unzione”: cioè “Cristo”. Non vuol dire altro, ben lo sappiamo, questo vocabolo (traduzione del termine ebraico “messia”) che è addirittura entrato a far parte del suo stesso nome.

La celebrazione di stamattina, però, non si limita a richiamarci la prerogativa messianica del Figlio di Maria. Essa anzi vuole più specificamente farci riscoprire un’altra splendida verità della nostra fede: colui che è nativamente consacrato dall’unzione dello Spirito, di questa sua unzione ci ha resi tutti partecipi.

Che significa questo? Significa che egli comunica il proprio sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti (cfr. Prefazio della messa crismale). Sicché il popolo dei redenti da questa messa crismale è sollecitato a non lasciarsi forviare da qualche moda culturale (quella, per esempio, che tende ad attenuare sempre più ogni confine tra sacro e profano) ed è esortato invece a riscoprire, onorare, difendere la propria essenziale indole sacra, che lo distingue tra tutte le genti e singolarmente lo nobilita, come ci ricorda san Pietro: “Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa” (cfr. 1 Pt 2,9) e “venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali a Dio graditi” (cfr. 1 Pt 2,5).

In questa prospettiva, si arriva allora ad ammirare la Chiesa come una realtà trascendente e bellissima, che costituisce con il Sacerdote della Nuova Alleanza – con l’Unigenito eterno del Padre, fatto uomo per noi – un unico vivente organismo. “Una sola carne”, compaginata nel disegno eterno dall’amore di Dio; e nessuno osi separare, con la raggelante dialettica di pensieri mondani, ciò che Dio ha congiunto. Perché “questo mistero è grande”; e, prima e più che all’unità indissolubile dei coniugi, va posto in riferimento a Cristo e alla Chiesa (cfr. Ef 5,32).

Ad aiutare la contemplazione di questo “grande mistero”, con la sottolineatura di qualche aspetto rilevante della vita ecclesiale, ci vengono offerti oggi i riti insoliti di questa celebrazione.

Con la benedizione dell’olio degli infermi ci viene ricordato che le pene e i disagi, anche fisici, sono un dato inevitabile e aspro, ma soprannaturalmente prezioso, dell’esistenza. E siamo invitati all’affettuosa attenzione verso tutti i fratelli che soffrono, segnatamente i malati.

Quest’olio ci persuade che la famiglia dei credenti, finché è pellegrina sulla terra, è esposta alla prova del dolore e della debolezza, e ha bisogno di “conforto”; un conforto che ci è elargito infallibilmente dall’azione sacramentale, ma deve altresì essere supportato dalla premurosa vicinanza a chi patisce, dal soccorso operoso, dalla consolazione dell’amore fraterno.

Nell’olio così detto “dei catecumeni” – che dispone i battezzandi al santo lavacro – il Signore ci gratifica di un segno incoraggiante della sua forza divina.

“Unctus es quasi athleta Christi”, ricorda sant’Ambrogio ai neofiti: “sei stato unto come si fa con gli atleti, tu che ormai sei diventato un atleta di Cristo che deve star pronto al combattimento di questo secolo; ti sei dunque impegnato a cimentarti sul serio in una strenua e non eludibile battaglia (cfr. De sacramentis I,2,4).

Non soltanto al battesimo dunque quest’olio ci invita a pensare, ma all’intera militanza cristiana che dal battesimo prende inizio. La sequela del Signore infatti – ben diversamente da ciò che sembra insinuato dallo spensierato irenismo verso tutti e verso tutto, oggi diffuso nella cristianità – è spesso presentata dal Nuovo Testamento come una lotta strenua e senza quartiere: “State saldi – così, per esempio, san Paolo esorta i fedeli di Filippi – e combattete uniti per la fede del Vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari” (cfr. Fil 1,27-28).

C’è infine l’insegnamento e la riflessione che ci arrivano dalla benedizione del crisma. La nostra dignità di cristiani e la nostra fortuna di essere stati raggiunti, segnati e trasformati dall’onda rinnovatrice e santificatrice che trabocca fino a noi dall’oceano di luce e di grazia della Divinità ci sono efficacemente rammentate dall’inno eucologico che il vescovo pronuncia sull’olio misto a balsamo.

“Impregnalo della forza dello Spirito – egli prega – e della potenza che emana dal Cristo”, perché si effonda poi “come segno sacramentale di salvezza per i figli di Dio”; i quali – consacrati e divenuti tempio della gloria ineffabile del Padre – “spandano il profumo di una vita santa” e brillino al cospetto degli angeli rivestiti della loro nuova altissima nobiltà di “re, sacerdoti e profeti”.

L’imminenza della solenne rievocazione della “cena del Signore” – che caratterizza la giornata del Giovedì Santo – e il felice raduno del nostro presbiterio in questa cattedrale mi impongono di non concludere l’omelìa senza un rapido cenno alla bellezza e alla grandezza del sacerdozio ministeriale, nato nel cenacolo unitamente all’eucaristia e posto al servizio di quella comunione essenzialmente eucaristica che è la Chiesa. Vescovi e presbiteri che siamo oggi qui raccolti, vogliamo lodare e ringraziare il Signore per la nostra speciale vocazione e pregare perché non venga mai meno la nostra fedeltà.

Con questo spirito ci disponiamo adesso a rinnovare, affidandoci anche alla preghiera dell’intero popolo di Dio, i nostri impegni e le nostre promesse.

 

12/04/2001
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